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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.11.2006 L'illusione alla base degli errori della politica estera italiana
l'analisi di Ernesto Galli della Loggia

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 novembre 2006
Pagina: 1
Autore: Ernesto Galli Della Loggia
Titolo: «L'illusione politicista»

Dal CORRIERE della SERA del 23 novembre 2006:

La politica estera ha qualcosa di spietato: il carattere nudo, per così dire assoluto, in cui si presenta quella che alla fine, a dispetto di tutte le buone intenzioni, costituisce la sua sostanza vera, e cioè la disposizione dei rapporti di forza. Chi ha più carte da giocare è difficile che si trattenga dal vincere e che non vinca; e per chi è più debole sottrarsi alla sconfitta è sempre un'impresa assai ardua. Proprio nel non intendere questa sostanza «dura» della politica estera sta la radice di tanta difficoltà nostra a muoverci sulla scena internazionale, che di volta in volta fa apparire l'Italia o pedissequamente a rimorchio o velleitariamente all'avanguardia. E che fa credere alle nostre classi politiche che si possa, solo che lo si voglia, passare con disinvoltura dall'una all'altra posizione.
L'assassinio a Beirut di Pierre Gemayel e il contemporaneo rapimento a Gaza di due volontari italiani (risoltosi per fortuna positivamente grazie all'ottima prova dei nostri servizi) sono due squilli di un medesimo campanello d'allarme per la posizione in quell'area adottata dall'Italia negli ultimi mesi. Come si sa, da un condiscendente, troppo condiscendente, appoggio alla linea americana in Medio Oriente siamo passati con il governo Prodi ad assumere iniziative e responsabilità che sono sfociate prima nell'insistenza per una missione Onu sul confine israelo-libanese e subito dopo nell'invio di circa mille e cinquecento (per ora) nostri militari in quella zona. Il tutto con l'idea che sia sufficiente manifestare la propria «apertura», enunciare propositi rappacificanti, fare appelli alla buona volontà — tutte cose che noi Italiani sappiamo fare come pochi altri, bisogna riconoscerlo — basta questo, non dico per trovare una pace che a tutt'oggi sembra un miraggio, ma se non altro per stabilire tra le parti in conflitto un minimo di distensione. Un'idea illusoria che solitamente fa il paio con un'altra, frutto di quella idiosincrasia alla valutazione realistica dei problemi che si diceva sopra: cioè la fiducia eccessiva negli effetti della politica nel senso più ristretto del termine, della politica politicista. L'illusione per esempio che basti il cambiamento di un governo a Washington o a Roma, un qualche risultato elettorale a Gerusalemme, a determinare un cambio di fase, come si dice, un mutamento reale di scenario, a fare sì che si apra (innanzi tutto per noi naturalmente) chissà quale spazio di manovra. I fatti di oggi indicano però che con questo armamentario di idee sbagliate e di illusioni ci si caccia solo nei pasticci. In Libano in realtà non stiamo svolgendo nessuna funzione né militare né politica. Il controllo nostro e dell'Unifil sull'unico e vero pericolo per la pace che è rappresentato da Hezbollah è virtualmente nullo, e per ciò stesso la nostra presenza non può che risultare irritante per Israele. Tanto meno quella presenza sembra avere poi un qualche effetto positivo sull'altro protagonista ravvicinato della crisi, la Siria, la cui escalation destabilizzante nei confronti di qualunque assetto libanese che non sia conforme ai suoi desiderata segna un ulteriore salto con l'assassinio di Gemayel, in barba a tutti gli omaggi recapitati da Roma questa estate al tiranno di Damasco. Come se non bastasse, il rapimento di Gaza serve a ricordarci che siamo in permanenza sotto scacco, che al minimo passo falso chiunque abbia un passaporto o una divisa italiani è a rischio di rappresaglia. Quello che solo tre mesi fa, insomma, sembrava un brillante successo della nostra politica estera appare già oggi in una luce ben diversa.

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