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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.11.2006 Gli storici facciano gli storici
perché Tom Segev non va ad abitare a Sderot?

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 novembre 2006
Pagina: 3
Autore: Davide Frattini
Titolo: «La striscia è ormai una terra senza legge»

Dal CORRIERE della SERA del 22 novembre 2006, un'interessante intervista di Davide Frattini allo storico israeliano Tom Segev, che in un passaggio minimizza la minaccia dei razzi kassam.

 GERUSALEMME — «Non dobbiamo dimenticare che in questa fase il conflitto tra israeliani e palestinesi è anche scontro tra palestinesi e palestinesi. Ogni fazione ha la sua visione, ambizioni e obiettivi. È difficile imporre la legge nel caos di Gaza». Tom Segev, uno dei più noti tra i «nuovi storici» israeliani, fatica a trovare una spiegazione per quello che sta succedendo nella Striscia, dopo il ritiro israeliano nell'agosto del 2005. «Non sono scelte razionali. Sarebbe nell'interesse dei palestinesi fermare il terrorismo e non aver votato per Hamas. La strategia del movimento sta solo peggiorando la vita della popolazione». Segev non crede che l'invio di una forza multinazionale potrebbe migliorare la situazione nella Striscia. «La mia non è un'opposizione ideologica, ma pratica. L'Unifil non può essere portata come modello: il sud del Libano è più controllabile. Che cosa facciamo se un soldato italiano viene ucciso a Gaza?».
Nei suoi interventi sul quotidiano
Haaretz, lo storico ha criticato Ehud Olmert. Considera la situazione politica interna israeliana non migliore di quella palestinese. «La guerra in Libano è un'indicazione di quanto sia debole il nostro governo. Non solo la gestione del conflitto, ma proprio la decisione di rispondere in quel modo».
I ministri cominciano a esprimere insofferenza per lo stallo nelle trattative diplomatiche. Meir Sheetrit, che sta alla sinistra di Kadima, il partito del premier, ha invitato Olmert ad annunciare immediatamente la disponibilità a negoziare sulla base dell'iniziativa di pace della Lega Araba. Gideon Ezra ha proposto un cessate il fuoco unilaterale di dieci giorni per rafforzare i moderati tra i palestinesi. Tzipi Livni parla di un accordo temporaneo che permetta la nascita di uno Stato palestinese. Olmert e il ministro della Difesa Amir Peretz litigano su chi debba essere il primo a incontrare il presidente palestinese Abu Mazen. «Peretz — commenta Segev — avrebbe dovuto promuovere la pace e la sicurezza. E invece... Non so che cosa possa venir fuori in un colloquio tra lui e Abu Mazen, due leader deboli, che non controllano la situazione. Tutto quello che devono fare è invitare Yossi Beilin», aggiunge ironico, ricordando quanto pochi risultati abbia portato l'iniziativa di Ginevra, definita tra Beilin e un gruppo di palestinesi. «L'incontro fondamentale sarebbe tra Olmert e Hamas. Certo, i capi di Hamas non sono venuti a bussare alla nostra porta».
L'analista Danny Rubinstein ha messo in evidenza come nei territori si siano rafforzate posizioni oltranziste: «È il ritorno dell'"entità sionista". Molti portavoce si rifiutano di usare la parola Israele, sono riapparse espressioni degli anni '60 e '70. È preoccupante che a un anno e mezzo dal sessantesimo anniversario della nascita di questa nazione la controversia più grande tra i palestinesi sia sul riconoscimento dello Stato ebraico». Segev ritiene comunque importante la proposta di un cessate il fuoco per dieci anni, che sembra l'unica opzione accettabile per i leader di Hamas. «Non costringerebbe nessuna delle due parti a rinunciare ai sogni e renderebbe la vita migliore».
I lanci di Qassam contro le città israeliane sono cominciati tre settimane dopo il ritiro dalla Striscia: da allora sono caduti 1.300 razzi. «La strategia di Hamas è incomprensibile. I Qassam non sono una minaccia contro l'esistenza di Israele, servono solo a innalzare lo status dell'organizzazione tra i palestinesi. E il governo Olmert è costretto a reagire, anche per la pressione popolare. Credo che un'offensiva più vasta sia stata fermata solo perché il caporale israeliano Gilad Shalit è ancora nelle mani dei rapitori».
I capi militari del movimento fondamentalista sembrano leggere la situazione in modo diverso. «La gente in fuga da Sderot — ha detto uno di loro al sito Ynet — dimostra che i Qassam funzionano. Svuoteremo la città».

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