Il MANIFESTO del 22 novembre 2006 pubblica in prima pagina un editoriale di Maurizio Matteuzzi che, dopo avere suggerito che la Siria non avrebbe avuto interesse a uccidere Pierre Gemayel compromettendo le ipotesi di dialogo con gli Stati Uniti, sostiene che invece Israele ne avrebbe avuto, per colpire Hezbollah e Siria.
E' un ragionamento errato per più motivi.
Israele, innanzitutto, non ha interesse a fare la guerra con il Libano o a disintegrare quel paese. Al contrario, ha interesse a un Libano pacificato, senza milizie terroriste, sottratto alle tutele di Damasco e Teheran.
La Siria vuole da sempre il controllo del Libano. E ritiene che le difficoltà americane in Iraq l'abbiano posta in una posizione di forza, non di debolezza.
Se Damasco offre a Washington un aiuto per la stabilizzazione dell'Iraq (che ha prima contribuito a destabilizzare c'è da aspettarsi che in cambio chieda mano libera in Libano.
D'altro canto, mentre Bush ha reagito all'assassinio di Hariri accusando Iran e Siria i "pragmatici" (Kissinger, Baker, Gates) che teorizzano la la necessità di un accordo con Damasco)non sembrano avere mutato la loro posizione.
Infine, va sottolineato un punto debole nel ragionamento di chi, ogni volta che viene ucciso un politico libanese antisiriano, immagina una manovra contro Damasco.
Per quanto logicamente possibile, questa eventualità è smentita dal fatto che ci troviamo di fronte a una catena di eliminazioni, non a un delitto singolo.
Eliminare un politico antisiriano e far ricadere la responsabilità su Damasco potrebbe essere una manovra antisiriana.
Eliminare sistematicamente gli oppositori del dominio siriano sul Libano, è evidentemente una forma di terrorismo di Stato, volta a riaffermare con la violenza e l'intimidazioneil controllo sul Libano
Ecco il testo dell'articolo:
Il Libano è, non da ora, il luogo forse più ideale al mondo del cui prodest. A chi giova l'assassinio, ieri a Beirut, di Pierre Gemayel, oscuro come ministro dell'industria ma chiarissimo come rampollo di una genìa famosa nella storia recente del paese dei cedri?
Il cui prodest s'impose quando furono assassinati il premier Rafiq Hariri, il giornalista Samir Kassir, il comunista George Hawi. E ora, dopo Pierre Gemayel?
Il Libano, da sempre, è un tale guazzabuglio - politico, etnico, confessionale - che l'a-chi-giova diventa un giochino troppo facile. E inconcludente. A voler eliminare quelli che sono stati eliminati erano in tanti. Dentro il Libano e fuori. Con fior di argomenti. I sunniti del premier Siniora che temono di perdere il potere, gli sciiti che vorrebbero più spazio, il campo cristiano che potrebbe ricompattarsi per l'occasione, i drusi della banderuola Jumblatt, gli hezbollah che non riescono a far passare il governo di unità nazionale o l'idea di doversi prima o poi disarmare, poi i siriani che non si rassegnano alla perdita del Libano, il Mossad israeliano che ha interesse a renderlo ingovernabile, i francesi che continuano a brigare come fosse ancora un protettorato, gli americani che sono impantanati in Medio Oriente, i terroristi islamici di al Qaeda, l'Iran che sponsorizza il Partito di dio...
Eppure scommetteremmo che oggi il dito sarà puntato solo sulla Siria e, in seconda battuta, sull'Iran.
Noi non diciamo che è escluso possa esserci il loro zampino. Anche se, volendo attenersi al cui prodest, sarebbe difficile credere che i siriani (e anche gli iraniani), nel momento in cui Bush è costretto dalla deriva irachena a farli rientrare in gioco, siano così stupidi da far saltare il tavolo.
Volendo sempre attenersi al cui prodest, si potrebbe dire che, dopo la loro prima non-vittoria (o peggio) nella guerra al Libano dell'estate scorsa, agli israeliani potrebbe fare comodo far saltare di nuovo i fragilissimi equilibri del Libano, specie adesso dopo che sono stati costretti a subire la forza multinazionale dell'Onu sul confine. O agli americani e i francesi per portare avanti l'idea insana di una cantonalizzazione etnico-religiosa del Libano. Come è accaduto nella ex-Jugoslavia e come si vorrebbe accadesse in Iraq.
Mettiamo da parte il cui prodest.
L'assassinio di Pierre Gemayel e i suoi effetti immediati sulla situazione libanese dimostrano una volta di più che il Libano e la Palestina e l'Iraq e il Medio Oriente sono arrivati a un punto di non ritorno. E' giusto chiedere che l'Italia si ritiri, subito, dall'Iraq e dall'Afghanistan, guerre di aggressione che hanno reso ancor più incontrollabile una situazione esplosiva.
E' giusto aver mandato una forza multinazionale in Libano - nonostante le ambiguità e i rischi - e mandarne una a Gaza e Cisgiordania - anche se Olmert ha già liquidato l'iniziativa di Francia-Italia-Spagna come «un fattore di disturbo» -, per cercare di tenere a freno le smanie aggressive di Israele (che, secondo qualcuno dentro il centro-sinistra, «ha sempre ragione»), il vero fattore destabilizzante della regione, anche più di Hezbollah o di Hamas.
Ma ormai non basta, bisogna fare di più e presto perché, se ai più poco importa - evidentemente - della sorte dei libanesi e dei palestinesi, il rischio è di fare il gioco di al-Qaeda.
Anche Ugo Tramballi sul SOLE 24 ORE sostiene che Israele entrerebbe nella rosa dei sospetti per l'omicidio di Gemayel
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