L'Iran si sta costruendo la bomba, la Siria si sta riprendendo il Libano sotto gli occhi del mondo
Testata: Il Foglio Data: 22 novembre 2006 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «I report segreti su Iran e Siria - Ombre da Damasco»
Dal FOGLIO del 22 novembre 2006, un articolo sui piani nucleari dell'Iran e sui rapporti di poteri all'interno del regime di Damasco:
In attesa della riunione del Board of Governors di domani e dopodomani, il direttore generale dell’Aiea, Mohamed El- Baradei, ha fornito ai paesi interessati un memorandum riservato. Riguarda lo status dei vari progetti nucleari iraniani, la loro importanza e la loro trasparenza, con un’analisi sui rapporti di cooperazione fra l’Aiea e la Repubblica islamica. Al Consiglio per la sicurezza nazionale chi ha letto il dossier ha fatto un salto sulla sedia. L’Iran sta arricchendo l’uranio a scopo militare a insaputa dell’Aiea. Questa, in sostanza, è la tesi di ElBaradei. Tutto ciò conferma le recenti analisi di Langley sulla volontà iraniana di arrivare al più presto a confezionare una bomba nucleare. Sotto l’osservazione degli esperti di ElBaradei è stato soprattutto l’impianto di Natanz, il Pilot fuel enrichement plant (Pfep). Il 13 ottobre l’Iran a Natanz ha messo 34 chili di UF6 nelle centrifughe e lo ha arricchito del 5 per cento. Teheran non permette le monitorizzazioni dei risultati finali dell’arricchimento, il che vuol dire che quantità notevoli di uranio arricchito possono sfuggire alle verifiche degli ispettori dell’Aiea. Oltre a Natanz, gli iraniani continuano ad arricchire uranio segretamente a Esfahan. Fino all’ottobre 2006, Teheran ha convertito nel complesso 150 tonnellate di uranio. Ma col ritmo attuale, fra Natanz, Esfahan e altro, l’Iran avrà in pochi mesi una vera capacità industriale di arricchimento dell’uranio. Al Pentagono dicono che l’Iran tratta diplomaticamente, arricchisce segretamente e nega l’evidenza dei fatti. Gli esperti citano il caso della contaminazione di Karaj. Gli iraniani hanno spiegato all’Aiea che la presenza di particelle di uranio arricchito (Hev), trovate dagli ispettori Aiea nei contenitori nascosti nei magazzini di Karaj, era causata da precedenti stoccaggi di materiali nucleari provenienti dal Teheran research reactor (Trr). Ma gli ispettori, guardando meglio, hanno scoperto anche la presenza di tracce di plutonio che gli iraniani si erano guardati bene dal dichiarare. Che dire poi della scoperta del misterioso “Hemisferes document”, che spiega ai tecnici come costruire una bomba nucleare? A ciò si aggiungono le notizie sulla connection scienza-industria militare-difesa. Il centro operativo delle ricerche a scopo bellico era a Lavizan. Gli iraniani lo hanno distrutto prima dell’arrivo degli ispettori dell’Aiea. Chi ci lavorava è scomparso. E gli uomini di ElBaradei non hanno potuto parlare con nessuno dei 2000 scienziati, tecnici e militari che lavoravano nella base di Lavizan. Soprattutto dopo la morte di Gemayel, a Foggy Bottom quasi nessuno condivide la benevolenza di James Baker, oggi superconsigliere di tutti e su tutto, nei confronti della Siria. Non la condivide Condi Rice. Parlando con il primo ministro israeliano Ehud Olmert, Rice ha sposato l’opinione di Gerusalemme: la Siria sarà un interlocutore soltanto quando avrà chiuso gli uffici di Hamas e del Jihad islamico a Damasco ed espulso i loro leader, Khaled Meshaal e Ramadan Shallah. Rapporti pervenuti alla Cia da Damasco e confermati al premier inglese Tony Blair dal ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, dicono che tale è l’influenza siriana su Hamas da impedire un gesto come la liberazione di Ghilad Shalit, il caporale israeliano prigioniero di Hamas a Gaza. L’idea che si ha a Washington del presidente Bashar el Assad è che si tratti di un fantoccio in mano a un duro ferocemente antisraeliano e filoiraniano. Si tratta di Farouk al Shara, vicepresidente e fedelissimo del defunto padre di Bashar, l’uomo che di fatto controlla la sicurezza e la politica estera del paese. Sono uomini di al Shara l’ambasciatore a Washington, Imad Mustafa, e il rappresentante all’Onu, Bashar al Jaafari. Farouk al Shara in queste settimane ha mosso antiche amicizie americane. Messaggi da Damasco sono arrivati a James Baker e a Henry Kissinger, vecchio conoscente dei siriani (nelle sue memorie non parla affatto male di Hafez el Assad). C’è insomma una diplomazia parallela, molto occulta, fra Siria e Stati Uniti. La Francia, sedicente potenza protettrice del Libano, difenderà il governo democratico di Beirut dagli assalti di Hezbollah e degli sciiti? Nell’entourage del premier libanese hanno dubbi. E sul Potomac lo sanno.
Un articolo sull'omicidio di Pierre Gemayel e sul ruolo di Damasco:
Gerusalemme. Il ministro dell’Industria libanese, Pierre Gemayel, cristiano maronita, figlio di Amin (presidente del Libano dal 1982 all’88), è stato assassinato ieri a Beirut. Era sulla sua auto e gli hanno sparato alla testa. Aveva 34 anni. Avvocato, era un fervente antisiriano e un membro del fronte del 14 marzo, il movimento creato dopo l’assassinio dell’ex premier, Rafiq Hariri, nel febbraio 2005. Non ci è voluto molto perché la maggioranza politica accusasse Damasco: “La rivoluzione dei cedri è sotto attacco – ha detto Saad Hariri, figlio dell’ex leader – è stato ucciso uno dei più convinti sostenitori del Libano libero e democratico. Pensiamo che le mani della Siria siano ovunque”. Oggi Beirut celebra la festa dell’indipendenza. Pochi giorni fa un altro leader cristiano, Samir Geagea, guida delle Forze libanesi, aveva profetizzato l’assassinio di alcuni ministri. Da settimane è in corso uno scontro politico tra la maggioranza e l’opposizione filosiriana e filoiraniana, impersonata da Hassan Nasrallah, leader del gruppo sciita Hezbollah, e i suoi alleati. Il Partito di Dio si sente forte del “successo” estivo nel conflitto contro Israele. Il leader chiede un esecutivo di unità nazionale e almeno un terzo dei ministri. Vuole avere influenza sulle decisioni importanti come quella presa giorni fa: la creazione di un tribunale internazionale per processare i sospetti della strage in cui morì Hariri, molti con diretti legami con la Siria. Il leader druso Walid Jumblatt ha parlato di colpo di stato. Al Foglio lo spiega così: “E’ molto semplice, in Libano ci sono due stati, quello di fatto e quello di Hezbollah”. Proprio ieri, l’Onu avrebbe dovuto approvare il documento sul Tribunale ad hoc per l’uccisione di Hariri. Nasrallah si oppone: vuole a ogni costo evitare un processo antisiriano. Alcuni ministri di Hezbollah hanno abbandonato il governo prima della votazione sul caso Hariri. Ora i dimissionari sono sei. Con la morte di Gemayel basterebbe che anche solo un’altra poltrona rimanesse vacante per dichiarare illegittimo l’esecutivo. Non ci sono ministri che “daranno le dimissioni – ha detto il leader cristiano Geagea – ma qualcuno potrebbe pensare di licenziarli”. E’ della stessa opinione un altro vecchio leader cristiano, Dori Chamoun, figlio di Camille, l’ex presidente. Conosceva Pierre da quando era ragazzo, ora è sotto choc. “Era un membro del gabinetto – spiega al Foglio – Dopo la sua morte basterebbe un altro uomo di governo (eliminato o costretto alle dimissioni) per togliere legittimità all’esecutivo”. Se un altro incarico saltasse, verrebbe a mancare il quorum dei due terzi della maggioranza dei componenti dell’esecutivo, quorum fondamentale per approvare decisioni come quella del tribunale. “Penso che l’Onu non abbia altra scelta se non quella di firmare il documento: non può restare ferma davanti a quello che è successo oggi”, dice Chamoun. Se il testo fosse approvato, il Parlamento dovrebbe ratificarlo e il premier sottoscriverlo. Non si tratta solo della morte di un ministro. Gemayel era il rampollo di una storica famiglia di politici che conta i suoi morti. Il nonno, Pierre, è stato il fondatore delle Falangi, il padre fu presidente, lo zio Bashir morì in un attentato (rimasto senza un mandante, anche se molti indicano la Siria come responsabile) nell’82. L’ospedale dove è stato portato Pierre Gemayel prima di morire è stato circondato da centinaia di persone. Hezbollah minaccia di scendere in piazza, se la maggioranza non accetterà un governo di unità nazionale. Il quotidiano An Nahar, ieri, scriveva che le strade si riempiranno a breve. “Non penso che dopo un evento simile Hezbollah manifesterà”, dice Chamoun. “Non resteremo a braccia conserte, altrimenti penseranno di avere vinto e di potersi permettere tutto”.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio lettere@ilfoglio.it