Il problema vero non è Diliberto, ma D'Alema un intervento di Antonio Polito sul rapporto tra sinistra e Israele
Testata: Il Foglio Data: 21 novembre 2006 Pagina: 2 Autore: Antonio Polito Titolo: «Vabbè Diliberto, ma perché D’Alema non dice che Israele ha ragione?»
Dal FOGLIO del 21 novembre 2006:
E’impazzita pure la piazza. Quando la sinistra è al governo, succede sempre. Perché la piazza è il luogo della doppiezza, dove ci si può far perdonare il tradimento di essere entrati nel Palazzo. Perciò ci vanno sottosegretari e leader di partito. Purtroppo però la piazza, per sua natura, incuba violenza: è nata per essere l’opposto del Parlamento, il luogo dove le idee si fanno muscoli e sovvertono i numeri. Cosa si rimprovera, infatti, Diliberto: di essere andato in piazza con i violenti? No, si rimprovera di non aver avuto il monopolio della violenza, di non avere più il servizio d’ordine d’un tempo, “che prima sterilizza, cinge e si premura di mandarli in coda al corteo, come si faceva una volta” (anche se una volta quelli che venivano mandati in coda ai cortei si comprarono una P38, e finì come finì). “Fossero stati militanti del mio partito, li avrei piegati dalle botte: ‘corcati’, come si dice a Roma”: Diliberto sa come si cavalca una piazza. Ciò che lo turba è solo di non averla saputa domare. Per una contraddizione in seno al popolo così grande ci può essere una sola spiegazione: che l’abbiano architettata i servizi per fottere lui, Diliberia, e sostituirlo al governo con Casini. Fantastico: il marxismo-piopompismo. Si dice che i media sopravvalutino la piazza. E vero, ma è vero anche il contrario: la sottovalutano. La sopravvalutano perché danno rango di questione di governo a qualche migliaio di scalmanati di professione. Ma così facendo ne sottovalutano la reale pericolosità. L’effetto più importante del corteo di Roma non è infatti la brutta figura che ha fatto fare al governo bruciando una bandiera israeliana. L’aspetto più importante è che abbia bruciato un soldato italiano, seppure in effigie. Comincia sempre con un’effigie: se tanti lo immaginano, prima o poi qualcuno lo fa. A Padova s’è già passati a qualcosa di più simile ai fatti. La sinistra al governo comporta sempre questo rischio di rigetto al suo interno, che ti impone di alzare la posta per ripristinare l’ordine naturale delle cose: la sinistra all’opposizione. E’ la ragione per cui ci dovrebbe sempre essere un’opposizione di sinistra in Parlamento, anche quando governa il centrosinistra. Il problema della democrazia italiana, in fin dei conti è tutto lì: come poter fare a meno delle due estreme, tenendole perennemente e felicemente all’opposizione; quelle soddisfatte della loro irriducibilità, gli altri a governare. Ma prendersela con Diliberto è facile. Più difficile è prendersela con D’Alema. Non serve infatti a molto che la sinistra di governo condanni i modi in cui vengono espresse certe idee se non condanna le idee medesime. Tutti quelli che erano a Roma, anche chi non bruciava bandiere, rifiutavano infatti in radice la parabola delle “due ragioni” che il buon samaritano Fassino sta provando a introdurre nel discorso sul medio oriente. Per loro la ragione stava da una sola parte, palestinese nella fattispecie, kamikaze in altri momenti, saddamista o khomeinista, purché sempre antiamericana e antiisraeliana. Bisognerebbe dunque dire che è l’idea in sé a essere sbagliata. E non cavarsela togliattianamente, mettendosi al centro, bilanciando le posizioni di Diliberto con quelle di Colombo e Vernetti, in una rinnovata edizione della teoria degli opposti estremismi. Perché Colombo e Vernetti sono sì filoisraeliani, ma sono comunque per la soluzione due popoli-due stati; mentre chi sfilava a Roma di uno dei due stati se ne fotte, e il suo partito- guida, Hezbollah, saprebbe anche come disfarsene definitivamente. C’è una reticenza sul tema di Israele, anche da parte dei migliori, che impedisce una sana pedagogia della sinistra, e dunque alimenta la piazza. Per esempio: il Libano. D’Alema se ne dice giustamente preoccupato: “Il quadro è tutt’altro che roseo. Le speranze che erano state aperte dalla fine della guerra non hanno dato i frutti che ci eravamo augurati”. Perché? Che sta accadendo? Chi sta uccidendo le speranze? Non una parola. Non sarà che Hezbollah sta tentando di far fuori il governo Siniora, quello al quale eravamo accorsi a dare solidarietà e protezione militare? Qui neanche la teoria delle “due ragioni” tiene. In Libano c’è oggi un solo torto e una sola ragione: e quest’ultima – costerebbe tanto dirlo? – è evidentemente dalla parte di Israele, che ha fatto tutto ciò che la risoluzione Onu le imponeva; mentre la Siria, in una parola, sta provando a riprendersi il Libano per il tramite dei “patrioti” Hezbollah. Se il ministro degli Esteri lo dicesse, forte e chiaro, che questa volta, solo stavolta, solo per pochi giorni, Israele ha ragione, darebbe un contributo inestimabile al rinsavimento, del paese e della piazza.
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