Inventario Shabtai Yaakov Casa Editrice Feltrinelli
Tel Aviv, Israele: quel che resta del sogno.Il sogno di un mondo nuovo, nella terra promessa, la Palestina dei pionieri sionisti. Da una parte l’amarezza se non la rabbia disperata in cui trascorrono gli ultimi anni i padri, i fondatori della nazione, paladini dei moshav e delle comuni urbane, e gli opportunisti; dall’altra lo smarrimento dei figli, presto naufragati in una inane aspirazione alla felicità o persi in un girotondo erotico compulsivo. Un inventario, tutto in presa diretta e senza sconti, nell’arco di pochi mesi: “Il padre di Goldman morì il primo di aprile, mentre Goldman si suicidò il primo di gennaio”. Si apre con Cesar e Israel, gli amici di Goldman, che rincorrono il funerale del padre di lui da un cimitero all’altro, senza successo, irritati per la calura e con la mente altrove; e si continua con il ricordo del padre di Goldman, “devoto fedele di un ordine universale fatto di male e di bene”, di cui è l’unico rabbioso depositario, un tiranno giusto, il peggiore della specie, capace di violenza efferata, come l’assassinio con la mazza da muratore del cane Nuit Sombre – “Muoia! Muoia! Deve morire!” e di condannare all’odio la moglie Regina, che ora rinasce polacca, col nome Stefana, nel silenzioso rifiuto d’Israele e della sua gente; e si passa alla casa del morto, dove si radunano parenti e amici di famiglia, ci si accapiglia sui principi (“Al diavolo la Bibbia! Non è un programma politico e nemmeno un progetto di spartizione del Paese!”), dove li aspetta Goldman, il tramite dell’inventario, che qui inizia e si dispiega, in un intrecciarsi vertiginoso della memoria, tra gli eroici sforzi e i rancori ideologici dei padri, l’affermarsi dell’opportunismo e l’inesorabile svanire dell’utopia, mentre i figli si allenano al disagio e all’inettitudine ben retribuita. Spiccano sopra tutti gli zii di Goldman: Yoel, fratello maggiore del padre Efraim, anche lui socialista e sionista ma illuminato dalla tolleranza, e sua moglie Zipporah, vera donna di frontiera, capace di allevare cinque figli e prestare aiuto ai parenti; Brachah, la sorella minore, l’unica parente benvoluta da Efraim, e suo marito Shmuel, oncle Sam, fantasioso affarista di poco conto e alterne fortune; e soprattutto lo zio Lazare, il reietto, l’anarchico ribelle capace a suo tempo di affrontare l’ira dei fratelli e di abbandonare la famiglia per andare volontario nella Brigata internazionale, di superare la prigionia e diciotto anni di deportazione nella Jakuzia sovietica, sul Mar Glaciale Artico, e il freddo rancore dei familiari al suo ritorno. E’lui l’interlocutore preferito di Goldman, che vive recluso nella sua stanza, impegnato ad immaginarsi una vita ardimentosa, affascinato dall’astronomia e dall’astrofisica tanto da dedicarsi alla traduzione del Somnium di Keplero, quella stanza da cui esce per incontrare Israel o per raggiungere i sobborghi della città dove c’erano le baracche dei tempi eroici, scoprendosi inerme e pacificato nello stesso tempo. E incamminandosi verso il suo destino, in un romanzo dalla struttura ardita e poco accostante, ma perfetta e conseguente all’intrico di motivi e aspirazioni che è la storia di Israele. Tanto da farne l’opera maggiore di Yaakov Shabtai, scrittore da scaffale alto, quello dei classici.