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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.11.2006 Ma Fassino li legge i giornali ?
e allora come fa a ripetere simili sciocchezze ?

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 novembre 2006
Pagina: 1
Autore: Piero Fassino
Titolo: «Sfilare senza doppi standard»

Riportiamo, per correttezza di informazione, l'intervento di Piero Fassino sul CORRIERE della SERA di oggi, 18/11/2006 pubblicato in prima pagina. Per sottolinerane l'inutilità, la ripetizione di concetti absoleti, superati dall'avanzare delle informazioni che al segretario DS sono evidentemente sfuggite, per permettere ai nostri lettori di rendersi conto di fino a che punto sia pericolosa, non solo per Israele ma per la democrazia occidentale, la politica estera di questo governo. Quando Fassino scrive: E viceversa la pace è stata più vicina ogniqualvolta ciascuno dei due contendenti ha riconosciuto che il diritto dell'altro è legittimo quanto il proprio. viene da chiedersi se Fassino conosce le posizioni di Hamas, cioè del legittimo rappresentante del popolo palestinese. Se le conoscesse non scriverebbe le cose che scrive. Ma questo governo, e non è certo una sorpresa, continua a blaterare chiacchiere, tanto il popolo bue si accontenta, avendo Prodi e D'Alema dalla loro parte ormai quasi tutti i mezzi d'informazione.  Ecco l'articolo:

Caro direttore, la stragrande maggioranza dei partecipanti alla manifestazione sul Medio Oriente che si svolgerà oggi a Milano sfilerà per una pace «giusta»: perché Israele abbia certezze di esistenza e sicurezza e perché i palestinesi abbiano un loro Stato indipendente. Insomma: la soluzione «due popoli/due Stati/due democrazie», che da anni è l'obiettivo di ogni azione della comunità internazionale. E per questo obiettivo — anche se non potrò essere fisicamente presente perché impegnato in Parlamento per la Finanziaria — ho dato, insieme a Francesco Rutelli, la mia adesione alla manifestazione di Milano.
La manifestazione di Milano, per l'arco vasto di associazioni promotrici e per l'impegno autentico che intende testimoniare, può rafforzare quell'ampio movimento di opinione utile a sostenere la pace in Medio Oriente. Anche oggi, tuttavia — com'è accaduto in occasioni precedenti — ci sarà chi parteciperà alla manifestazione pensandola come una iniziativa soltanto «per la Palestina». E proprio a costoro voglio rivolgermi per dire perché, secondo me, quella posizione — anche quando sincera e in buona fede — è errata.
Quando esplode un conflitto siamo abituati a chiederci chi abbia ragione e chi torto. Naturalmente le cose non sono mai così nette, ma in ogni caso se uno Stato ne attacca militarmente un altro, è chiaro chi sia l'aggressore e chi l'aggredito; se una nazione ne invade una vicina, è chiaro chi sia l'invasore e chi l'invaso; se un'etnia ne stermina un'altra, è chiaro chi sia il carnefice e chi la vittima. Il punto ineludibile da cui si deve partire è che in Medio Oriente, invece, sono in conflitto non un torto e una ragione, ma due ragioni: è del tutto legittima la richiesta di Israele di poter vivere nella sicurezza e senza paura dei suoi vicini; come è del tutto legittimo che il popolo palestinese voglia vivere in una propria patria indipendente. Tant'è che proprio sulla legittimità di questo duplice diritto si basò nel '48 la decisione dell'Onu di far nascere due Stati sovrani sulla Palestina in via di decolonizzazione.
E se si osserva la storia di questi sessant'anni, si vedrà che quel conflitto è divenuto più acuto e drammatico ogni volta che si è creduto di far vivere il diritto dell'uno a danno o contro il diritto dell'altro. E viceversa la pace è stata più vicina ogniqualvolta ciascuno dei due contendenti ha riconosciuto che il diritto dell'altro è legittimo quanto il proprio. E, anzi, che solo realizzandoli entrambi, ciascuno potrà vedere soddisfatta la propria aspirazione. Gli accordi di Oslo e Washington del '93 — sottoscritti da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat — furono possibili proprio perché fondati su quel principio. Detto in modo più chiaro: Israele non riuscirà a ottenere certezze di esistenza e sicurezza se non si arriverà presto alla costituzione di uno Stato palestinese. E viceversa i palestinesi e i suoi dirigenti — tutti, Hamas compreso — devono sapere che il loro Stato rischia di non nascere mai se non si riconosceranno definitivamente ed esplicitamente i diritti di Israele.
Per questo all'iniziativa della comunità internazionale — con il contributo determinante dell'Italia — per arrestare il conflitto in Libano, deve adesso seguire un più ampio e forte impegno che superi l'impasse della Road Map e la insufficienza dei ritiri unilaterali.
Anche perché sono venuti maturando atti — l'Iniziativa israelo-palestinese di Ginevra, la Dichiarazione della Lega Araba del 2002 a Beirut, il Documento dei Prigionieri palestinesi, le ripetute disponibilità al dialogo di Abu Mazen e di esponenti israeliani — che dicono che il cammino della pace può nuovamente essere intrapreso, per giungere a una Conferenza internazionale di Pace che — con l'assistenza determinante della comunità internazionale — porti palestinesi e israeliani a sedersi a uno stesso tavolo a decidere insieme il loro comune destino.
Il che significa sostenere tutto ciò che quella soluzione aiuta e prendere le distanze, rifiutare o condannare senza reticenze e ambiguità, ciò che invece la impedisce. E soprattutto significa escludere doppi standard — per dirla con linguaggio più chiaro «due pesi, due misure» — per cui alla giusta indignazione per bambini e donne palestinesi vittime innocenti dei cannoneggiamenti dell'esercito israeliano spesso non corrisponde un'analoga netta e immediata indignazione per i razzi sparati ogni notte sui villaggi israeliani della Galilea o per le vittime ugualmente innocenti provocate dai kamikaze che si fanno esplodere sui bus di Tel Aviv o nei ristoranti di Jaffa. Insomma: si deve agire per una «pace per due», e non per uno solo. Obiettivo che non è affidato solo a israeliani e palestinesi, ma anche alla nostra responsabilità e determinazione.

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