Oggi, sabato 18 novembre 2006, a Roma e a Milano, ci saranno le due manifestazioni organizzate dalle forze di centro-sinistra. Quelle meno estremiste a Milano, quelle estreme a Roma. Le differenze saranno però minime. Entrambe esprimono la cecità di quelle forze politiche - dalla Margherita fino ai comunisti - che ancora fingono, non si sa se per ignoranza o malafede - che il centro del conflitto mediorientale sia l'aspirazione mancata del popolo palestinese ad un proprio Stato. Sembra che tutti , da Fassino e Rutelli, giù giù fino a Diliberto, non si siano ancora resi conto delle posizioni espresse ancora pochi giorni fa da Hamas. Che, fino a prova contraria, esprime il legittimo governo eletto dai palestinesi medesimi. " Non siamo interessati al uno Stato palestinese che non comprenda anche tutto il territorio sul quale sorge Israele", hanno dichiarato i capi di Hamas. ma per i manifestanti romani e milanesi, che si nutrono solo di ostilità verso Israele, sarà l'ennesima occasione per gridare i soliti slogan sulle "ragioni del popolo palestinese". Ma quale ? quello che vuole uno Stato suo, indipendente, come sostiene anche Israele, ma che elegge Hamas a suo legittimo governo ? Come si conciliano gli slogan con la realtà della politica palestinese ? Domande che interessano poco chi è abituato a considerare i problemi del Medio Oriente con l'ottica ipocrita della politica di casa nostra. La sinistra, comunque la si possa definire, dalla componente cattolica fino a quella comunista, continua a spacciare aria fritta per progetti politici, si rifiuta di prendera atto che in quella regione è in atto una guerra fra democrazia e barbarie. Se non verrà sconfitta la seconda, affonderà la prima. Con i criminali il dialogo è non solo inutile, ma dannoso. Invece la politica del governo Prodi è proprio quella. Credere nella buona volontà dei criminali - leggi Ahmadinejad - e prendere le distanze da Israele. Su questi argomenti pubblichiamo una rassegna degli articoli usciti oggi su alcuni quotidiani. In questa pagina, cominciamo dal CORRIERE della SERA:
a pag. 16-17 il caso Prodi-Iran: ecco come Prodi va a braccetto con l'Iran, giudicandolo addirittura un partner per risolvere i problemi del Medio oriente.
Titolo: Ahmadinejad scrive a Prodi «Insieme per il Medio Oriente» di Massimo Caprara
ROMA — Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, abituato a tenere sulle corde gran parte della comunità internazionale con i programmi nucleari per il suo Paese, si è rivolto ancora una volta all'Italia. Tramite il viceministro degli Esteri Saeed Jalili, l'ex volontario delle guardie rivoluzionarie ha fatto avere ieri a Romano Prodi una lettera. «Di solito non rivelo il contenuto dei messaggi riservati. Posso solo dire che nella lettera c'è un impegno al dialogo», ha riferito ai giornalisti il presidente del Consiglio. Al colloquio con l'inviato di Teheran, che intervistiamo in questa pagina, c'era anche Massimo D'Alema.
«Abbiamo registrato una disponibilità iraniana a contribuire alla ricerca di soluzioni di pace e stabilità. Naturalmente ciò deve essere misurato alla prova dei fatti», è stato il commento del ministro degli Esteri italiano. L'agenzia ufficiale dell'Iran, l'Irna,ha specificato che la collaborazione riguarda in particolare il Medio Oriente e si è soffermata poi sull'Afghanistan.
Con i giornalisti del nostro Paese, D'Alema ha definito «positivo» l'incontro, pur ribadendo che l'Italia ha invitato la Repubblica islamica a «ottemperare» alle richieste contenute «nella risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu» sul nucleare.
Secondo l'Irna, Prodi avrebbe giudicato «fondamentale il ruolo della Repubblica Islamica in Iraq e in Afghanistan» e fallimentari i sistemi impiegati in passato. Sottinteso, dagli Stati Uniti. D'Alema, ancora stando all'agenzia, avrebbe ricordato come «durante il recente viaggio a Kabul il presidente afgano Hamid Karzai ha giudicato molto positivo il ruolo svolto da Teheran».
A differenza delle volte scorse, per esempio quando Ahmadinejad chiese un colloquio a Prodi ai margini dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite riunite in settembre a New York, l'Iran sembra essersi rivolto all'Italia non tanto per cercare una sponda utile a dividere i Paesi occidentali allarmati dalla possibilità che l'energia nucleare serva a preparare una bomba atomica. Questa volta, secondo l'idea ricavata da fonti al corrente della sostanza della lettera, Ahmadinejad è parso alla ricerca di una sponda europea adatta ad aprire un dialogo più consistente di quelli precedenti con il resto dell'Occidente.
Oltre ai tradizionali buoni rapporti tra l'attuale governo italiano e l'Iran, due delle ragioni nella scelta del destinatario della lettera stanno nell'avvicinarsi del primo gennaio, quando l'Italia diventerà membro temporaneo del Consiglio di sicurezza per due anni, e nell'aumento della proiezione del nostro Paese sulla scena internazionale, favorito finora dalla partecipazione massiccia alla forza multinazionale Unifil in Libano.
A spingere l'Iran alla sua mossa hanno contribuito i risultati delle elezioni parziali negli Stati Uniti che hanno penalizzato l'approccio a muso duro di George W. Bush. «Ormai è dimostrato che unilateralismo, militarismo, ricorso alla violenza non possono portare il mondo verso la pace. Le prove sono Iraq e Afghanistan, tant'è che pure i fanatici dell'unilateralismo devono rivedere quegli atteggiamenti», dice al al Corriere Saeed Jalili.
L'inviato di Ahmadinejad è stato anche dai presidenti delle Commissioni Esteri di Senato e Camera, Lamberto Dini e Umberto Ranieri, dal viceministro Ugo Intini e da Luciano Violante. Con Dini, che ha ottimi rapporti con Teheran da quando era ministro degli Esteri, il colloquio è durato oltre un'ora.
segue l'intervista di Massimo Caprara al vice ministro degli esteri iraniano:
Titolo: " Un invito a collaborare: con l'Italia molte affinità"
ROMA — «Siamo convinti che attraverso il dialogo e le trattative potremo dimostrare la trasparenza del nostro operato», dice al Corriere
Saeed Jalili, il vice ministro degli Esteri iraniano che ieri ha consegnato a Romano Prodi e Massimo D'Alema la lettera del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Titolare della delega per gli Affari europei e americani, 41 anni, gessato grigio e camicia abbottonata senza cravatta come si usa a Teheran, Jalili è stato direttore generale dell'ufficio del Leader Supremo della Rivoluzione islamica. Un suo libro si intitola Politica estera del Profeta dell'Islam.
Che cosa c'è scritto nella lettera di Ahmadinejad per Prodi?
«L'Italia e l'Iran sono due Stati importanti, eredi di grandi civiltà. Il vostro Paese è il nostro primo partner commerciale in Europa e abbiamo affinità di vedute su varie questioni internazionali. Perciò la collaborazione bilaterale può dare un contributo alla pace nel mondo. La lettera è su questi temi».
E sui vostri piani nucleari, causa di una partita aperta tra l'Iran e una parte consistente della comunità internazionale?
«Come le ho detto: la lettera riguarda la collaborazione tra i nostri due Paesi ai fini della pace e della stabilità del mondo».
E che cosa possono fare insieme su questo l'Italia e l'Iran?
«Noi iraniani abbiamo sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare (il Tnp), e siamo membri dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica».
«Abbiamo vedute simili sui problemi mondiali. Possiamo contribuire alla pace» PREGHIERA
Iraniani durante la preghiera del venerdì all'università di Teheran, durante la quale l'ex presidente Rafsanjani ha tenuto un sermone«Dunque teniamo fede a tutti gli impegni nel quadro del trattato. E dato che siamo convinti della natura pacifica e civile del nostro programma nucleare, abbiamo adottato misure per dimostrarlo. Significa, per rispondere alla sua domanda, che gli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) possono continuare a esercitare i loro compiti come prevedono Tnp e norme dell'Aiea» E quali sarebbero le altre misure adottate?
«Per esempio, duemila persone dell'Aiea da noi per le ispezioni. Volontariamente, abbiamo sospeso per due anni l'arricchimento dell'uranio. Addirittura abbiamo proposto a tutti i Paesi di parteciparvi. E il Parlamento ci aveva vincolati a fermarlo solo fin quando il caso non fosse finito al Consiglio di sicurezza dell'Onu».
In agosto il Consiglio di sicurezza vi aveva intimato di fermare l'arricchimento dell'uranio, invece continua. Avete teso la corda. Non temete che si spezzi?
«Abbiamo detto da subito che spostare il caso dall'Aiea al Consiglio di sicurezza è privo di qualsiasi fondamento di diritto. Strana satira della storia portare lì un Paese per attività di ricerca, da laboratorio. È una sorta di apartheid nucleare. Contrasta con le regole del Tnp, tanto più se a praticarlo sono Stati con testate atomiche. Uno le ha pure usate».
Al posto di Prodi e D'Alema, che farebbe dopo aver ricevuto la lettera del suo presidente?
«Noi abbiamo dichiarato disponibilità a collaborare con l'Italia in più campi. Ad esempio: D'Alema propone una conferenza sulla ricostruzione dell'Afghanistan. Ecco, potrebbe essere un terreno, dati i buoni rapporti tra Teheran e Hamid Karzai. Un altro, la lotta alla coltivazione dell'oppio afghano».
D'Alema ha detto di averle espresso «critica» e preoccupazione per le vostre affermazioni contro l'esistenza dello Stato di Israele. La sua risposta?
«Il progetto di Ahmadinejad sulla Palestina rispetta i diritti dell'uomo. Nelle sue parole non c'era traccia di violenza...».
Meglio non rubarle tempo, la tesi è nota. In Italia tanti dirigenti politici sono contrari all'esecuzione della condanna a morte di Saddam Hussein. Secondo lei va eseguita?
«La condanna di quel criminale non può che far piacere a chi, con la mano sulla coscienza, guarda e giudica i suoi crimini. Però iraniani e iracheni si domandano: era solo? Si sono riviste foto di Saddam Hussein e Donald Rumsfeld. Come mai Saddam Hussein non finì al Consiglio di sicurezza quando aggredì l'Iran?».
Sulle manifestazioni, sempre dal CORRIERE della SERA, due articolo di Lorenzo Salvia a pag.15:
titolo: Palestina, oggi le due marce,timori nelle comunità ebraiche
ROMA — Due cortei, due messaggi. A Milano la «Manifestazione nazionale per la pace e la giustizia in Medio oriente», organizzata dalla Tavola della pace, l'associazione che 40 anni fa inventò la Marcia Perugia-Assisi, e che ha visto l'adesione praticamente di tutto il centrosinistra, compresi Rifondazione e Verdi. A Roma la «Manifestazione di solidarietà al popolo palestinese», iniziativa dei centri sociali e del Forum Palestina con in prima fila Oliviero Diliberto e il suo Pdci, che però avrà una delegazione anche a Milano.
MILANO — Il corteo milanese di oggi, da Porta Venezia a piazza Duomo, ha avuto la benedizione dei presidenti di Camera e Senato. «Sono certo che rappresenterà un nuovo segnale di speranza e incoraggiamento per tutti coloro che hanno realmente a cuore la costruzione della pace» scrive in un messaggio agli organizzatori Fausto Bertinotti, che invita l'Unione europea a promuovere una conferenza internazionale di pace per «arrivare all'unica soluzione possibile, quella di due Stati per due popoli». Più neutro il messaggio del presidente di Palazzo Madama: «Accolgo con estremo favore la vostra iniziativa — scrive Franco Marini — volta a stimolare un'analisi delle questione mediorientale animata dal desiderio che i sanguinosi conflitti di quell'area possano quanto prima trovare una soluzione pacifica». Da nessuno dei due un accenno allo stop alla cooperazione militare fra Israele e Italia, una delle richieste degli organizzatori che spiegano come «vada rispettata la legge che vieta all'Italia di vendere armi a Paesi in conflitto». Richiesta che però ha provocato qualche freddezza anche fra Ds e Margherita.
ROMA — I Comunisti italiani dicono che rispetto a quello milanese il corteo di Roma è solo la «diversa declinazione dello stesso principio, due popoli due Stati». Ma da tutto il resto del centrosinistra la freddezza è totale. Dalla Cdl Ferdinando Adornato (Forza Italia) parla di «iniziativa carica di odio, contro Israele e contro l'Italia». Mentre Marco Ferrando che — escluso dalle liste di Rifondazione proprio per le sue frasi su Israele, sarà a Roma con il suo nuovo Partito dei comunisti lavoratori — accusa Diliberto da posizioni opposte: «Non può tenere il piede in due staffe portando il Pdci sia a Milano che a Roma. A Milano ci sono i garanti tradizionali degli interessi di Israele, a Roma si difendono i diritti del popolo di Palestina».
COMUNITA' EBRAICA — Renzo Gattegna, presidente delle comunità ebraiche italiane, si dice preoccupato: «Spero proprio che non ci siano manifestazioni antiisraeliane. Nel passato non è stato così, basti ricordare le bandiere bruciate». Timori non tanto per il corteo di Milano («Sembra puntare ad un'equidistanza, pur non realizzandola completamente, vista la richiesta di interrompere i rapporti militari»), quanto per la manifestazione di Roma: «È dichiaratamente a favore dei palestinesi e contro Israele. I promotori ignorano fatti recenti e anche le differenze che ci sono quando sono colpiti i civili: Israele riconosce i suoi errori, dall'altra parte niente».
ROMA — Due cortei, due messaggi. A Milano la «Manifestazione nazionale per la pace e la giustizia in Medio oriente», organizzata dalla Tavola della pace, l'associazione che 40 anni fa inventò la Marcia Perugia-Assisi, e che ha visto l'adesione praticamente di tutto il centrosinistra, compresi Rifondazione e Verdi. A Roma la «Manifestazione di solidarietà al popolo palestinese», iniziativa dei centri sociali e del Forum Palestina con in prima fila Oliviero Diliberto e il suo Pdci, che però avrà una delegazione anche a Milano.Il corteo milanese di oggi, da Porta Venezia a piazza Duomo, ha avuto la benedizione dei presidenti di Camera e Senato. «Sono certo che rappresenterà un nuovo segnale di speranza e incoraggiamento per tutti coloro che hanno realmente a cuore la costruzione della pace» scrive in un messaggio agli organizzatori Fausto Bertinotti, che invita l'Unione europea a promuovere una conferenza internazionale di pace per «arrivare all'unica soluzione possibile, quella di due Stati per due popoli». Più neutro il messaggio del presidente di Palazzo Madama: «Accolgo con estremo favore la vostra iniziativa — scrive Franco Marini — volta a stimolare un'analisi delle questione mediorientale animata dal desiderio che i sanguinosi conflitti di quell'area possano quanto prima trovare una soluzione pacifica». Da nessuno dei due un accenno allo stop alla cooperazione militare fra Israele e Italia, una delle richieste degli organizzatori che spiegano come «vada rispettata la legge che vieta all'Italia di vendere armi a Paesi in conflitto». Richiesta che però ha provocato qualche freddezza anche fra Ds e Margherita.I Comunisti italiani dicono che rispetto a quello milanese il corteo di Roma è solo la «diversa declinazione dello stesso principio, due popoli due Stati». Ma da tutto il resto del centrosinistra la freddezza è totale. Dalla Cdl Ferdinando Adornato (Forza Italia) parla di «iniziativa carica di odio, contro Israele e contro l'Italia». Mentre Marco Ferrando che — escluso dalle liste di Rifondazione proprio per le sue frasi su Israele, sarà a Roma con il suo nuovo Partito dei comunisti lavoratori — accusa Diliberto da posizioni opposte: «Non può tenere il piede in due staffe portando il Pdci sia a Milano che a Roma. A Milano ci sono i garanti tradizionali degli interessi di Israele, a Roma si difendono i diritti del popolo di Palestina».Renzo Gattegna, presidente delle comunità ebraiche italiane, si dice preoccupato: «Spero proprio che non ci siano manifestazioni antiisraeliane. Nel passato non è stato così, basti ricordare le bandiere bruciate». Timori non tanto per il corteo di Milano («Sembra puntare ad un'equidistanza, pur non realizzandola completamente, vista la richiesta di interrompere i rapporti militari»), quanto per la manifestazione di Roma: «È dichiaratamente a favore dei palestinesi e contro Israele. I promotori ignorano fatti recenti e anche le differenze che ci sono quando sono colpiti i civili: Israele riconosce i suoi errori, dall'altra parte niente».
titolo: "Vado da Hezbollah,pensiamo a sanzioni per Israele", intervista a Jacopo Venier, responsabile degli esteri dei Comunisti italiani.
ROMA — Tra Roma e Milano Jacopo Venier ha scelto Beirut. Oggi il responsabile esteri del Pdci sarà nella capitale libanese per partecipare ad un incontro sul futuro del Medio oriente organizzato dal Partito comunista locale e da Hezbollah. E da lì chiede a D'Alema di «fare pressione» affinché l'Unione europea adotti «sanzioni economiche se Israele non rispetterà i diritti umani». E conferma il giudizio dato quest'estate durante i bombardamenti in Libano: «Israele è come i terroristi». Parole sottoposte ad un sondaggio sul suo sito internet: «La maggioranza mi ha dato ragione».
Perché ha scelto di andare a Beirut?
«Per spiegare che la nostra missione militare non ha uno spirito di guerra come in Iraq e Afghanistan ma è a garanzia del cessate il fuoco e a sostegno della loro sovranità nazionale».
Sì, ma andare lì proprio nel giorno delle due manifestazioni in Italia può sembrare una scelta di campo: io sto con i libanesi e contro gli israeliani.
«No. Non c'è alcuna contraddizione fra i due cortei italiani e la mia presenza qui. Sul Medio oriente siamo tutti per il principio due popoli due Stati».
Il corteo di Roma è per la solidarietà alla Palestina. Nemmeno questo vuol dire essere schierati?
«Sì, in questo caso giustamente schierati. Perché se l'obiettivo è due popoli due Stati è dall'emergenza che bisogna partire. E l'emergenza è la continua violazione dei diritti umani fatta da Israele sia qui in Libano che nei territori palestinesi».
A Beirut incontrerà i rappresentanti di Hezbollah, partito che Israele vorrebbe nella lista europea delle organizzazioni terroristiche. Nessun problema per lei?
«A noi laici e progressisti non fa certo piacere che un movimento integralista sia diventato così potente. Ma chi vuole la pace deve andare a cercare interlocutori anche di là dal confine. In ogni caso, qui in Libano Hezbollah non è considerata un'organizzazione terroristica ma un movimento di resistenza popolare».
E lei come li considera?
«Allo stesso modo. Non hanno mai attaccato i civili se non in un contesto di conflitto».
Durante la guerra di questa estate l'hanno fatto.
«E infatti abbiamo condannato quelle azioni. Ma qui in Libano sotto i bombardamenti dell'aviazione israeliana di civili ne sono morti più di 3 mila».
Colpire i militari è meno grave?
«Quando c'è un'occupazione illegale del territorio è un diritto riconosciuto non dal Pdci ma dalla carta delle Nazioni Unite».
Quest'estate lei disse «Israele è come i terroristi». Non c'è proprio nessuna differenza?
«No, ogni azione che colpisce i civili è un crimine oltre che un errore politico».
Su quella frase lei ha fatto un sondaggio sul suo sito. Tre su quattro le danno ragione, gli altri torto. Il 5 per cento la definisce antisemita. Probabilmente sono suoi elettori: proprio nessun dubbio?
«È la solita falsa equivalenza: criticare il governo di Israele non vuol dire essere contro gli ebrei. Una falsa equivalenza usata anche dai politici israeliani per giustificare ogni loro azione».
Come si è mosso sul Medio Oriente il ministro degli Esteri D'Alema?
«Bene, con lungimiranza, ma ci aspettiamo più coraggio. Va da Abu Mazen a dire che la loro lotta è legittima ma serve fare pressione su Israele perché consenta questo risultato. Ad esempio sospendendo i rapporti commerciali che l'Ue ha con Israele se loro non rispettano i diritti umani».
Rifondazione sarà solo al corteo «moderato», quello di Milano. Il Pdci anche a quello più radicale, a Roma. Alla nascita i moderati eravate voi. Vi state scambiando i ruoli?
«Noi teniamo le nostre posizioni, forse sono gli altri che si sono spostati».
Se non fosse a Beirut andrebbe a Roma o a Milano?
«A Gaza».
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