Ingenuità e trionfalismi fuori luogo al quotidiano napoletano la pace sembra facile, ma la realtà del Medio Oriente è diversa
Testata: Il Mattino Data: 17 novembre 2006 Pagina: 1 Autore: Ennio Di Nolfo - ALMERICO DI MEGLIO Titolo: «Palestina il rilancio dell’Europa - «Medio Oriente, dall’Ue soluzione di pace»»
Il MATTINO del 17 novembre pubblica in prima pagina un editoriale di Ennio Di Nolfo. Editorialista ingenuo (i sogni al di sopra della realtà), male informato (Shubeir “moderato”? Ma non lo era già Haniyeh? “Riconoscimento indiretto di Israele”, quando i fatti dicono del netto rifiuto, reiterato in questi giorni, all’esistenza dello stato ebraico? “Strisciante” riarmo di Hezbollah, quando i fatti dicono che il riarmo sta avvenendo alla grande?) e quasi comico, non fosse per la tragicità dell'argomento (quando scrive della “politica di graduale pacificazione già avviata da Arafat” !).
Dopo il Libano, Israele. Non è un caso che le prime notizie sul possibile dinamismo della diplomazia mediterranea vengano dalla Spagna: la Spagna che non aveva assunto un ruolo di primo piano durante la crisi libanese, in conseguenza della rapidità con la quale il ministero degli Esteri italiano aveva preso l’iniziativa. Sebbene si tratti, per ora, solo di conversazioni che hanno avuto come protagonisti il primo ministro spagnolo Zapatero e il presidente francese Chirac, durante una visita a Girona nella Catalogna settentrionale; e sebbene queste conversazioni abbiano subito coinvolto, in lunghe conversazioni telefoniche, anche il primo ministro italiano Prodi, il quale ha manifestato la sua piena disponibilità a partecipare all’iniziativa, il fatto che i governi delle tre principali potenze mediterranee discutano di prendere una forte iniziativa rispetto alla situazione israeliana segna una svolta ricca di potenziali conseguenze positive. Francia, Italia e Spagna partecipano all’embargo decretato contro l’Autorità palestinese dopo la vittoria elettorale del partito di Hamas, sempre dichiaratosi ostile al riconoscimento di Israele, e boicottato dall’Occidente dopo la formazione del governo diretto da Ismail Haniyeh, in manifesta opposizione al presidente Abu Mazen, esponente di Al-Fatah e seguace della politica di graduale pacificazione già avviata da Yasser Arafat. L’intento (per ora si può usare solo questo termine, poiché l’iniziativa muove oggi i suoi primi passi palesi) di cercare una soluzione di compromesso segna dunque, rispetto alla precedente intransigenza, quanto meno la volontà di uscire dall’angolo dell’impotenza per avviare un discorso di pacificazione. Ciò vuol dire che, cogliendo il momento favorevole, nel quale anche la diplomazia americana, dopo la sconfitta elettorale di Bush, è impegnata in una profonda revisione della sua politica mediorientale, finalmente l’Unione europea prende un’iniziativa che può portare a una svolta. Non è possibile, né utile, abbandonarsi ai facili ottimismi, ma è chiaro che la situazione dei rapporti israeliano-palestinesi aveva assunto da alcune settimane un carattere potenzialmente esplosivo. Chiusa, almeno in apparenza, la fase militare della crisi libanese (pur con gli strascichi interni al governo di Beirut e con la strisciante notizia del continuo riarmo degli hezbollah) la vita israeliana e palestinese si trascinava da troppo tempo lungo una serie di scontri che non avevano altra apparente via d’uscita se non la ripresa di un conflitto più vasto. La diarchia palestinese, determinata dalla contrapposizione fra Hamas e Al-Fatah, appare da mesi alla vigilia di un superamento. L’ipotesi di un compromesso, grazie al quale Haniyeh si ritirerebbe dal governo, per essere sostituito dal più moderato Muhammad Shubeir, sulla base di un programma che, se pur indirettamente, conterrebbe il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, viene inseguita da alcuni giorni ma stenta a tradursi nei fatti. Intanto, lo stillicidio di azioni e rappresaglie, provocato dal lancio di rudimentali razzi Qassam sulle località israeliane prossime alla striscia di Gaza e dalle risposte israeliane, affidata a rapide incursioni di mezzi militari che colpiscono i militanti di Hamas ma talora acquistano risvolti drammatici (come nel caso del recente “errore tecnico”, causa dell’uccisione di una ventina di palestinesi) appare come una spirale senza fine o, peggio, come un susseguirsi di scontri dall’effetto prevedibile: l’impossibilità del dialogo, l’impossibilità di un governo di coalizione palestinese e un avvenire sempre più oscuro. Sono, queste, le ragioni che portano a giudicare quanto mai opportuna e felice la volontà europea di “fare qualcosa” per riaprire la via del dialogo. Che cosa si possa fare è stato indicato a Girona in termini abbastanza generici: cessate il fuoco, scambio di prigionieri, formazione di un governo palestinese di coalizione e preparazione di una conferenza internazionale durante la quale sia possibile riprendere il dialogo. All’apparenza queste intenzioni descrivono un approccio molto graduale al tema. Ma la vera importanza che esse assumono sta proprio nel fatto che a muoversi non siano gli Stati Uniti, guardati per definizione con sospetto da una parte del mondo arabo, bensì i tre Paesi europei che più sono interessati e più hanno operato per delimitare il conflitto mediorientale e favorire una soluzione politica. Non è ancora un passo risolutivo ma si tratta pur sempre di un’iniziativa che lascia scorgere una tenue luce in fondo al tunnel del pessimismo. Ennio Di Nolfo
A pagina 7 troviamo un trionfalismo mal riposto nel titolo, «Medio Oriente, dall’Ue soluzione di pace» . Al quale si aggiunge la negazione del diritto di Israele ad avere come capitale Gerusalemme (un trafiletto è intitolato Domani doppio corteo «Non contro Tel Aviv», e in un piantina ancora Tel Aviv è indicata come capitale di Israele ). Va aggiunto, però, che l’autore del pezzo parla di “governo di Gerusalemme”. Ecco il testo:
Il presidente Jacques Chirac ha annunciato ieri mattina un’iniziativa congiunta di Francia, Italia e Spagna per il concreto rilancio del processo di pace in Medio Oriente. La decisione è stata ufficializzata al termine del vertice bilaterale ispano-francese svoltosi a Gerona. La conferma di Romano Prodi è giunta poco dopo, durante la conferenza stampa che ha seguito il suo incontro a palazzo Chigi con il premier neozelandese Helen Clark. Il presidente del Consiglio ha rivelato di essersi sentito «lungamente a telefono con Chirac e Zapatero», ribadendo che i tre governi, sulla base dell’esperienza maturata con la missione in Libano, stanno lavorando sull’«aspetto operativo di un’azione più vasta» nell’area mediorientale. Accoglienza favorevole, e scontata, dei palestinesi all’iniziativa. Ma le prime reazioni di Israele e dello stesso inviato Ue per il Medio Oriente non sono state incoraggianti. Il progetto - ha precisato il premier - «nei prossimi giorni avrà la sua espressione più definita» e consiste in «una serie di processi e azioni, soprattutto rivolti ad ottenere risultati e obiettivi concreti». Insomma, «i Paesi europei impegnati nella zona hanno l’obbligo di cercare soluzioni per uscire da questa situazione e preparare un processo di pace». Di qui, un’iniziativa che riguardi sia la crisi israelo-palestinese (Chirac ha definito «drammatica la situazione umanitaria della popolazione palestinese»), sia le altre, come quella che sta travagliando l’Afghanistan, dove - ha nuovamente sottolineato Prodi - «la soluzione militare da sola non è sufficiente». Posizioni condivise e ribadite dal ministro degli Esteri, Massimo D’Alema: «Non si può rimanere inerti di fronte alla spirale di violenza», c’è la «necessità di agire». Se l’obiettivo dell’iniziativa è (dopo un un vertice tra il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen) una missione di osservatori internazionali a Gaza e una conferenza internazionale di pace, scopo più immediato è di associare in quest’impegno Germania e Regno Unito per poter estendere l’iniziativa all’Ue, portando il progetto all’attenzione del Consiglio europeo di dicembre. Ma ha tradito un certo sconcerto la reazione dell’inviato dell’Ue per il Medio Oriente, Marc Otte, informato al termine di un consulto, al Cairo, del ”quartetto“ sul Medio Oriente (Onu, Usa, Russia e Ue): «Bisogna essere prudenti su una tale iniziativa, esaminarla e verificarne la legittimità nel quadro europeo». Diffidente il governo di Gerusalemme, pur se non ufficialmente: «È molto dubbio - il commento della radio pubblica - che Israele possa essere interessato a ciò che hanno da proporre Spagna, Francia e Italia, tra Stati i cui governi sono su posizioni abbastanza distanti nei suoi confronti» (significativo il ribaltamento della considerazione verso il governo di Roma, a dispetto dell’iniziale favore con cui era stata accolta la missione in Libano, ma Hamas non è stata disarmata). «Accogliamo con favore - ha invece affermato il portavoce di Abu Mazen - l’idea di una conferenza internazionale sul Medio Oriente, la cui convocazione è prevista anche dalla Road Map». In un’intervista alla BBC, Prodi ha confermato che l’Italia punta a una conferenza di pace in Afghanistan, dove manterrà gli impegni militari ma non aumenterà le forze, né amplierà l’area d’intervento. Ha attaccato nuovamente l’unilateralismo Usa, perché «il mondo può essere gestito solo attraverso un sano multilateralismo» e «quando la Cina si sveglierà ciò diverrà ancora più vero». Ha ribadito che la campagna in Iraq è stato un «errore» e s’è detto «profondamente colpito» dalla mancanza di comunicazione tra i leader con le maggiori responsabilità nelle crisi.
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