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Europa Rassegna Stampa
17.11.2006 La storia riscritta da Ali Rashid
suggerimenti al centrosinistra per dare forza alle posizioni antisraeliane, cancellando i fatti

Testata: Europa
Data: 17 novembre 2006
Pagina: 1
Autore: Ali Rashid
Titolo: «Non inseguite consensi sul Medio Oriente»

Abbandoniamo i luoghi comuni sul Medio Oriente, suggerisce Ahmed Rashid ad EUROPA, in un articolo nel quale esorta la maggioranza di governo ad ignorare le critiche rivolte alle dichiarazioni di Massimo D'Alema e alle due manifestazioni antisraeliane di sabato 18 novembre.
E quali sono i luoghi comuni da abbandonare? Ecco l'elenco di Rashid:
  "parole come «unica democrazia del Medio Oriente», «offerte generose» e «ritiro unilaterale da Gaza»."
Perché Israele non è una democrazia? A Camp David non ha fatto ai palestinesi un'offerta ragionevole? La risposta non sono stati gli attentati suicidi (anche questo termine è da eliminare?) Non si è ritirata unilaterlmente da Gaza, ottenendo in cambio lanci di razzi kassam?
No, questi fatti sono fastidiosi, disturbano la propaganda di Rashid, e vannno cancellati. Se ne deve perdere il ricordo.
Riscrivere la storia per meglio attuare e difendere una politica antisraeliana, ecco la proposta di Ali Rashid alla maggioranza di governo.
Vorremo proprio sapere chi, al suo interno, è d'accordo. E chi no.
Ecco il testo completo:
 
Osservando da qui il dibattito che negli ultimi giorni è degenerato in una polemica stantia e controproducente, ho maturato la convinzione che nessuno si renda conto della gravità della situazione che sta montando in Medio Oriente.
Una situazione che, continuando ad aggravarsi, avrebbe dovuto ricevere maggiore attenzione, aumentare il senso di responsabilità di chi governa, offrire un’occasione per elevare la qualità della politica, che se viene maltrattata dalla Finanziaria non trova un’espressione adeguata nemmeno nella gestione dei grandi affari internazionali.
Tutto, anche gli eventi dolorosi che colpiscono altri popoli e non riusciamo ad arginare, si trasforma in surrogato di politica interna ad uso e consumo delle polemiche tra maggioranza e opposizione e all’interno della stessa maggioranza. Ad essere privilegiati sono gli aspetti tattici da cui è possibile guadagnare un minimo consenso da parte di qualche leader di destra o di centro, non certo la politica estera del paese, che finalmente c’è, né tantomeno l’oggetto in discussione.
L’oggetto è il conflitto che divampa da anni in Medio Oriente, che col tempo si è allargato, ha acquisito nuovi elementi, primo fra tutti il fattore religioso, superando le questioni nazionali e regionali e sembra ormai senza via d’uscita. Dalle ceneri del lungo, irrisolto e devastante conflitto israelo-palestinese nascono altre drammatiche questioni, quella del popolo palestinese ridotto in modo irreversibile alla condizione di profughi e occupati, quella della legalità internazionale ignorata e violata con arroganza e quella dei diritti umani, che sembrano ormai materia di discussione riservata ai circoli di idealisti inconcludenti. Tali questioni rischiano paradossalmente di trasformarsi in pretesto per un conflitto molto più ampio. L’assenza di una soluzione giusta delle rivendicazioni nazionali, politiche e storiche del popolo palestinese non solo non aiuta a disinnescare questa situazione esplosiva, ma rischia di essere la causa, a volte anche in modo strumentale, di un allargamento del conflitto. La scorretta attenzione e il mancato impegno politico rendono improbabile la fine di una guerra che consuma i suoi protagonisti e ne mette quotidianamente a rischio la sopravvivenza, mentre dal dibattito che appare sui giornali e dalle dichiarazioni dei politici trapela un atteggiamento che non solo non pone fine alla guerra, ma la alimenta e la estende.
La guerra all’Iraq, malgrado il massiccio impegno americano e degli stati “volenterosi”, e la guerra che in Libano in pochi giorni ha prodotto un’inimmaginabile quantità di distruzione e di morte, dimostrano che il concetto di guerra come strumento efficace per la risoluzione dei conflitti è superato e fallimentare, a maggior ragione se i conflitti oltre agli interessi classici degli stati e delle potenze toccano e alimentano componenti di carattere storico, nazionale e religioso. Lo sforzo che tutti sono chiamati a compiere, ben oltre l’espressione della propria solidarietà a questa o a quella parte, è farsi guidare dal senso di responsabilità anche nell’atteggiamento verso chi riscuote maggiore simpatia, in una situazione esplosiva che non offre più e a nessuno inesistenti scorciatoie. È evidente che è irreversibilmente esaurito il tempo delle guerre facili, le guerre che mettono a tacere le contraddizioni sotto le macerie e la desolazione.
Non è più rinviabile una politica seria in un quadro di garanzia e di certezza del diritto e della legalità, di soluzione dei troppi problemi lasciati nel tempo a marcire, a partire dalla questione palestinese, e di superamento di parole che non devono più essere ripetute (perché semplicemente non sono vere, sono pura propaganda e non funzionano più nemmeno come meccanismo di consenso), parole come «unica democrazia del Medio Oriente», «offerte generose» e «ritiro unilaterale da Gaza».
Dopo 60 anni di conflitto e di immensa sofferenza per tutti, in particolare per i palestinesi che, nonostante i colpi mortali inferti alla loro vita, storia, cultura, dignità e identità, sono ancora lì e non intendono rassegnarsi, è miope non affrontare i problemi con il massimo della giustizia possibile e non la minima, ipocrita “concessione”. C’è un unico modo per tentare di disinnescare un conflitto destinato a diventare sempre più ampio, distruttivo e minaccioso per tutti ed è un gesto di responsabilità molto più importante dell’accattivarsi la simpatia di questa comunità o di quel settore politico. Quel gesto può essere proseguire consapevolmente l’iniziativa nata dalla Conferenza di Roma come stabilizzazione della tregua in Libano, in cui il governo italiano ha assunto un ruolo da protagonista, e trasformare la missione di pace in una conferenza internazionale con l’obiettivo di ricondurre le popolazioni del Medio Oriente verso nuovi orizzonti, lontano dalla minaccia perenne della guerra e della sopraffazione e di garantire a tutti la sicurezza, la stabilità e il pieno rispetto del diritto.

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