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Il Giornale Rassegna Stampa
17.11.2006 L'iniziativa di pace di Chirac, Zapatero e Prodi è irrealizzabile
analisi di un piano illusorio

Testata: Il Giornale
Data: 17 novembre 2006
Pagina: 11
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «Israele boccia il piano benedetto da Prodi»

Dal GIORNALE del 17 novembre 2006:

Bella, ma impossibile. L'iniziativa di pace messa a punto dal presidente francese Jacques Chirac e del premier spagnolo José Luìs Rodriguez Zapatero con l'appoggio esterno del nostro Romano Prodi sembra proprio questo, un ingenuo e irrealizzabile desiderio senza grande futuro. Anche perché Israele, pur non esprimendosi ufficialmente, fa già capire di non volerne sentir parlare. «L'iniziativa ispano-franco-italiana non esiste - ripetono fonti anonime del ministero degli Esteri israeliano -. Zapatero parla di una cessazione delle violenze, ma è come dire che per fermare la guerra, bisogna fare la pace. Una banalità da discorso al caffè». Il piano, emerso dal vertice franco-spagnolo di Gironda, è un festival delle buone intenzioni. I cinque punti messi assieme da Chirac e Zapatero, con la benedizione di Prodi, prevedono un immediato cessate il fuoco, la formazione di un governo d'unità nazionale palestinese, lo scambio di prigionieri, l'avvio di colloqui tra il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Mahmoud Abbas, l'invio di una missione internazionale a Gaza per monitorare il cessate il fuoco. Da quei cinque punti, a cui Zapatero vuole aggiungere una conferenza internazionale sul Medio Oriente simile a quella svoltasi nel 1991 a Madrid, dovrebbe nascere un piano europeo da approvare nel Consiglio europeo di metà dicembre. Il problema dell'iniziativa ispano-franco-italiana, al di là dello scarso entusiasmo israeliano, è che ripropone esattamente quanto i governi israeliani e la presidenza palestinese di Mahmoud Abbas, con l'aiuto di Stati Uniti, Egitto e altri discreti mediatori, inseguono da almeno dieci mesi. Chirac, Zapatero e Prodi, oltre ad elargire consigli risaputi, non spiegano come realizzarli. Per capirlo basta un esame dettagliato. Il cessate il fuoco proposto al primo punto viene inutilmente rincorso dal settembre dell'anno scorso quando Israele completò il ritiro da Gaza. Da allora Mahmoud Abbas non è mai riuscito bloccare il lancio di missili Kassam e i colpi di mortaio dalla Striscia di Gaza contro il territorio israeliano. Da allora i governi di Sharon prima e di Olmert poi non hanno mai rinunciato alle operazioni preventive per smantellare le organizzazioni armate. Le iniziative politiche e di sicurezza dispiegate da Stati Uniti ed Egitto per rafforzare la capacità di controllo di Abbas e consentirgli di assumere il controllo della situazione hanno solo avvantaggiato Hamas, contribuendo al suo trionfo elettorale. Lo stesso governo Hamas quando ha poi tentato di controllare gli altri gruppi armati ha rischiato lo scontro interno. La formazione di un governo d'unità nazionale, auspicata al secondo punto dell'iniziativa, è un altro bell'augurio su cui Abbas e il premier di Hamas Ismail Haniyeh continuano, nonostante ripetute dichiarazioni su una raggiunta intesa, a non tirar fuori un ragno dal buco. Difficile anche qui capire novità e vantaggi della proposta franco-ispano-italiana. Il punto numero tre è un altro desiderio irrealizzabile. Lo scambio di prigionieri con Hamas continua ad essere in pieno stallo nonostante una raggiunta intesa di massima a cui si sono adoperati mediatori egiziani e arabi. Quello con Hezbollah è in alto mare nonostante il lavoro di un uomo dei servizi segreti tedeschi, già al centro di riuscite trattative in passato.

Su questo punto occorre fare un'osservazione: i soldati israeliani in mano ad Hezbollah e Hamas non sono "prigionieri".
Innanzitutto perché a differenza dei terroristi in mano alla giustizia di Israele non hanno commesso nessun crimine, né alcuna aggressione. Sono stati sequestrati all'interno del loro territorio nazionale.
In secondo luogo perché non si sa dove si trovano, non possono essere visitati dalla Croce Rossa, e in realtà di loro non si sa proprio nulla di certo.
Definire lo "scambio di prigionieri" come principio di un processo di pace significa equiparare i soldati israeliani ai terroriti palestinesi e accettare la pratica dei sequestri per far liberare i terroristi (probabilmente incoraggiandoli)


I colloqui tra Olmert e Abbas al quarto punto, continuano dopo sei mesi di progetti a dissolversi all'ultimo momento per ragioni di politica interna dei due interlocutori. Il quinto punto, quel dispiegamento di una missione di pace a Gaza sostenuto con vigore dal governo Prodi, sconta gli insuccessi dell'operazione di monitoraggio del valico di Rafah, al confine tra Gaza e l'Egitto, affidata all'Unione Europea. Secondo Israele quella missione di controllo sull'operato dei doganieri palestinesi si è rivelata un colabrodo consentendo l'andirivieni di ricercati, documenti, denaro e armi. Romano Prodi rilancia, invece, proprio l'intervento diretto a Gaza. «Bisogna mettere a punto misure concrete che possano attenuare la tensione ed accrescere la fiducia tra la parti, partendo proprio dalla situazione nella Striscia di Gaza – ha detto ieri il nostro presidente del Consiglio auspicando un'iniziativa europea capace «di ottenere subito risultati tangibili, efficaci, duraturi e condivisi».

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