"Noi non ci saremo". Potrebbe sembrare un grido di guerra, una affermazione coraggiosa, una presa di posizione dura e chiara. E'invece l'ennesimo pigolìo di "Sinistra per Israele", dove i tre firmatari sembrano piuttosto scusarsi per la loro assenza alla manifestazione invece di opporre argomentazioni serie alla sciagurata politica estera del governo Prodi. Comprendiamo le loro difficoltà, è arduo andare contro i voleri del capo, in fondo la tessera e la poltrona occupata in Parlamento hanno il loro peso. Ma allora perchè non un dignitoso silenzio invece di una patetica presa di distanza, che tale poi non lo è ?. Ci sono pure gli auguri ! "Sinistra per Israele" è una bella sigla, e un gran lavoro da svolgere l'avrebbe pure, vista la sinistra che abbiamo. Ma i nostri vivono in un mondo dei sogni, dove la sinistra ha il volto di Tony Blair o di Clinton, non vogliono prendere atto che invece da noi la sinistra, quando va bene, ha il ghigno di un D'Alema accanto a quello di un Prodi. Colombo e gli altri amici del club, perchè non fanno un bell'esame di coscienza, perchè non si chiedono quale sia veramente la funzione di "Sinistra per Israele", oltre a quella di un bel sopramobile da esibire nei vari salotti.
Ecco l'articolo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17.11.2006, a pag.16:
Cari amici della Tavola della Pace e organizzatori del corteo del 18 Novembre a Milano, di fronte a un accorato e forte appello di pace come il vostro, innanzitutto va a voi il nostro saluto di amici di Israele e della pace tra Palestinesi e Israeliani. In passato gli amici di Israele, e in particolare chi, come noi, si batte perché a sinistra vengano riconosciute le ragioni dello Stato di Israele e venga cancellata ogni lettura unilaterale del drammaisraelo- palestinese, hanno polemizzato con parte dello schieramento di forze che lotta per la pace, giudicando che spesso nei ragionamenti, negli slogan e nei simboli, le ragioni di una parte pesassero più di quelle della parte contrapposta. Voi scrivete: «La pace è l'unica sicurezza per Israele, per la Palestina e per tutti». Parole che moltissimi cittadini di Israele condividono. Una verità pronunciata recentemente con forza ancora una volta da David Grossman, che ha visto morire suo figlio Uri nel dovere — sacro per ogni israeliano — di difendere la propria patria. «Abbiamo scoperto che la forza militare non può alla fine assicurare la nostra esistenza», diceva pochi giorni fa, aggiungendo chiaramente che Israele rimane per lui un «miracolo» laico: nazionale, politico, umano. Ha detto il suo dolore, il suo dissenso dal governo Olmert, ma ribadendo sempre il valore di Israele per il mondo tutto e per qualsiasi coscienza democratica che non ammetta ipocrisie sulla parola libertà, sulla parola pace, sulla parola giustizia. Voi dite: abbattere il muro, comprensibilmente sentito come simbolo di distanza, di incomunicabilità. Noi siamo con voi, se giustamente criticate il tracciato, quando una scelta di Israele porta a volte a prendere con il muro fette di territorio palestinese. Se il ragionamento è quello, anche la corte suprema di Israele, sappiatelo, è con voi. Ma vi chiediamo: è vero o no che con il muro il numero di attentati suicidi in Israele è drasticamente diminuito? Se Israele ponesse il tracciato del muro sui propri confini; non sarebbe allora un suo legittimo diritto utilizzarlo per fermare i kamikaze? Scrivete di combattere con i mezzi della legalità internazionale il terrorismo. Vogliamo provare a dire che un passo necessario di quella lotta è il disarmo senza condizioni e immediato di tutte le milizie che combattono in Palestina, e che impediscono con la loro esistenza la nascita di un vero Stato palestinese, il cui presupposto come per ogni Stato è il monopolio della forza? Perché non diciamo nettamente che il governo palestinese e l'Anp, se vogliono avere forza e legittimità, devono neutralizzare il nemico interno, e stabilire un'autorità unica e indiscutibile, che impedisca il proliferare delle organizzazioni terroristiche? Voi scrivete che la questione israelo-palestinese è il cuore di tutti i conflitti del Medio Oriente. Ma la guerra in Libano, per esempio, — con la determinante azione dei regimi liberticidi siriano e iraniano — aveva qualcosa a che fare con la questione palestinese? La guerra Iran-Iraq che per anni scosse quel panorama, aveva ragione nelle politiche di Gerusalemme? La repressione delle libertà che oggi avviene in Iran e in altri Paesi di quell'area ha veramente una sua ragione nella questione israelo- palestinese? E pensate davvero che la sciagurata azione del presidente iraniano abbia la sua ragion d'essere nei diritti dei palestinesi? Voi chiedete di sospendere ogni cooperazione militare con Israele. Potete indicarci un'altra situazione di dissenso per la quale si sia chiesto un simile blocco? Abbiamo per esempio mai interrotto o sospeso o allentato rapporti di cooperazione di qualunque tipo con l'Inghilterra di Blair che pure si è presa la responsabilità della tragica guerra in Iraq? Perché Israele non dovrebbe essere trattato da Paese amico nel momento in cui, giustamente, si vuole esprimere solidarietà e amicizia anche con i palestinesi? I ragazzi che domani abiteranno Israele e Palestina come Stati in pace, lo potranno fare se anche noi sapremo superare le visioni preconfezionate e le semplificazioni simboliche. Noi sappiamo che Israele potrà vivere solo nella pace, solo se ci saranno due popoli, due Stati, due democrazie, ma sappiamo anche che oggi Israele vive in stato d'assedio, circondato da potenti nemici armati. Perciò diciamo un sì convinto alla pace e un altrettanto no convinto a processare Israele. Noi dunque non ci saremo, per evitare che un pur legittimo dibattito possa prestarsi a diventare processo. Vi auguriamo il successo pieno di una manifestazione pacifica e serena. Furio Colombo Peppino Caldarola Emanuele Fiano
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