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Il Giornale Rassegna Stampa
16.11.2006 Inutile e pericolosa: l'Unifil non disarma Hezbollah e mette a rischio i nostri soldati
gli articoli di Fausto Biloslavo e Vittorio Dan Segre

Testata: Il Giornale
Data: 16 novembre 2006
Pagina: 1
Autore: Fausto Blioslavo - R. A. Segre
Titolo: «Soldati italiani dimenticati e inutili in un Libano pronto a riesplodere - Paradosso libanese»
Dal GIORNALE del 16 novemnre 2006:

I caschi blu italiani in Libano sono finiti nel dimenticatoio, ma sul terreno lo stesso comandante della missione Unifil ammette che l'area potrebbe riesplodere da un momento all'altro. I soldati italiani, come tutto il contingente Onu, hanno le mani legate sia con gli Hezbollah sia con gli israeliani. Non sono autorizzati a perquisire veicoli sospetti e tantomeno abitazioni, quindi figuriamoci se possono andare a cercare gli arsenali che i miliziani sciiti hanno già ricostituito. Il compito di disarmare gli Hezbollah spetterebbe all'esercito libanese, ma una fonte del Giornale sul posto ammette che «esiste un tacito accordo con il Partito di dio. Loro non mostrano le armi e i soldati non le vanno a cercare». Il risultato è che gli italiani non devono mettere in piedi neppure un posto di blocco, perché altrimenti rischierebbero di fermare qualche carico sospetto. Allora è stata coniata la denominazione di «static point» al posto di check point, ovvero un posto di controllo statico, più che altro visivo, che non ferma nessuno. Ogni settimana atterrano in Siria degli Antonov provenienti dall'Iran con nuove scorte di missili e tecnologie destinate ai miliziani sciiti del Libano. A Cipro è stata bloccata una nave che secondo le carte di bordo trasportava frigoriferi diretti in Libano, ma in realtà conteneva 18 camion con radar mobili per la contraerea e 3 veicoli con apparecchiature di controllo, in palese violazione della risoluzione 1701 dell'Onu. Inoltre il Partito di dio, per stessa ammissione di sheik Hasan Izz ad-Din, capo Hezbollah nel sud, ha ricostruito la rete di tunnel e bunker nel Libano meridionale, compreso un sistema di comunicazione protetto. Il materiale viene spesso mascherato come aiuti umanitari e Jihad al Binna, la costola per la ricostruzione di Hezbollah, ha ammesso di avere a disposizione 450 milioni di dollari per intervenire a sud del fiume Litani. Il contingente italiano sta più che raddoppiando e sarà il più numeroso della missione Unifil. Il 20 novembre l'operazione Leonte dovrebbe contare su quasi 2.500 uomini sul terreno, in gran parte della brigata Pozzuolo del Friuli. Il cambio della guardia fra la forza anfibia di 1.000 uomini, il cui sbarco è stato altamente pubblicizzato, con il generale Paolo Gerometta comandate della Pozzuolo, è avvenuto l'8 novembre, ma in fragoroso silenzio. All'inizio abbiamo avuto delle grane per ottenere i terreni dove costruire le basi, perché i proprietari, alcuni dei quali filo Hezbollah, temevano di non venir pagati dal governo libanese, che a sua volta riceveva i soldi dall'Onu. Per il campo di Bar'Achit, il sindaco Hezbollah non aveva alcuna intenzione di mollare il terreno ai francesi, poi gli è stato proposto l'insediamento dei soldati italiani e ha accettato considerandoli «amici». Con i francesi c'erano già state aspre proteste dei prefetti locali, perché i loro carri armati rovinavano le strade provocando grossi problemi alla viabilità. La brigata Pozzuolo ha portato i blindo Centauro, dipinte di bianco, che sono belle grosse, seppure ruotate e potrebbero creare intasamenti nelle strade strette del Libano meridionale. L'idea di «italiani brava gente» è stata offuscata dalla notizia denunciata dalla stampa libanese di un furto, agli inizi di novembre, in un negozio di Hariss vicino alla base di Bint Jbeil. I responsabili sono due marò del reggimento San Marco, che entrando con altri commilitoni nel negozio, hanno approfittato della confusione per sottrarre alcuni articoli in vendita. L'esercente se ne è accorto e ha chiamato la sicurezza libanese. Il maltolto è stato restituito e i marò rimpatriati e indagati. I veri problemi sono altri come ha spiegato in una recente intervista sulla stampa libanese il generale francese Alain Pellegrini, comandante della missione Unifil. L'alto ufficiale sostiene che la situazione potrebbe deteriorarsi rapidamente per varie cause: attacchi contro Israele, proseguimento dei voli di ricognizione sul Libano degli aerei di Gerusalemme, instabilità politica del Paese dei cedri e tensioni provenienti dai campi profughi palestinesi non molto distanti dalla zona controllata dagli italiani. Pellegrini ha inoltre dichiarato: «Il problema con Hezbollah è che non si sa mai con chi hai a che fare: che differenza c'è tra un combattente senza uniforme e un abitante del villaggio? Anche non armati continuano la loro attività e ci sorvegliano».

Di seguito, il commento di Segre:

Èun assioma logico, comprensibile che solo dalla guerra può nascere la pace sia per vittoria, sia per sconfitta, sia per esaurimento delle forze in campo. Lo si è visto nei conflitti nazionali e ideologici europei; lo si è visto persino nel Medio Oriente quando due Stati arabi in guerra con Israele - Egitto e Giordania -, dopo aver perduto varie guerre hanno compreso essere loro interesse fare la pace piuttosto che continuare ad essere sconfitti. Meno logico invece appare l’assioma che è la pace a creare sempre le (...) condizioni per iniziare o rinnovare la guerra. Per cui è difficile soprattutto per i professionisti della pace capire quanto sia pericolosa, illogica e autodistruttiva l’idea che forze militari - nazionali o internazionali - di pace possano garantirla senza avere diritto di fare la guerra proprio per garantire la pace. In altre parole queste forze cosiddette di pace, nonostante i loro armamenti e la loro missione dichiarata, stanno creando nel Libano le condizioni di un conflitto che in una precedente fase di scontro aveva permesso loro di intervenire proprio per rendere il conflitto meno pericoloso. È quello che sta succedendo in questo momento in Libano dove una costosa forza militare internazionale dell’Onu ha l’ordine - politico - di osservare impotente la violazione quotidiana della tregua e le preparazioni per ripristinare il conflitto. È una situazione frustrante per il contingente italiano che, numericamente maggioritario in questa forza internazionale, si vede relegato alla costruzione di quartieri di inverno» che rischiano di trovarsi presto presi tra due fuochi senza avere chiari ordini, autorità e motivazione per rispondere. La forza internazionale nel Libano si sta trasformando in una nuova forza di osservatori dell’Onu che come la precedente osserva, fotografa e di fatto permette lo spiegamento offensivo delle milizie sciite pro iraniane del «Partito di Dio» contro Israele. I nuovi Caschi blu vedono come dalla Siria stiano arrivando sempre più numerose e camuffate le armi che il governo di Teheran invia agli hezbollah contro tutti gli impegni presi dalle Nazioni Unite; come le informazioni che regolarmente Israele trasferisce ai comandi della Forza internazionale dell’Onu vengono comunicati dai Caschi blu all’esercito libanese il quale a sua volta, salvo qualche rara eccezione, afferma che sono false. Osservano come i miliziani di hezbollah, che nelle prime settimane della tregua avevano smesso di circolare in divisa ma continuato a nascondere le loro armi nelle abitazioni civili nei villaggi del Libano meridionale, a sud del fiume Litani, stanno ora ricostruendo sotto gli occhi dei Caschi blu le fortificazioni disegnate dagli ingegneri iraniani, pagati coi petrodollari europei e distrutte dagli israeliani. Ma in passato si è assistito in maniera più ipocrita alla trasformazione del principio romano «si vis pacem, para bellum» in «si vis bellum, para pacem». Ma se si può ingannare qualche volta qualcuno su qualche cosa è difficile ingannare sempre tutti su tutto anche se si appartiene alle Nazioni Unite. È quello che purtroppo sta succedendo nel Libano. I governanti dei Paesi che hanno inviato i loro soldati in questa «missione di pace» se ne rendono conto e hanno preparato piani di azione, di inazione o di evacuazione quando fra non molto nel Libano meridionale e forse su un fronte più largo si ricomincerà a sparare?

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