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Informazione Corretta Rassegna Stampa
14.11.2006 Dossier Iran: un regime che vuole distruggere Israele
ma per i giornali italiani a minacciare sono Stati Uniti e Israele

Testata: Informazione Corretta
Data: 14 novembre 2006
Pagina: 0
Autore: la redazione
Titolo: «Dossier Iran: un regime che vuole distruggere Israele»

Dal CORRIERE della SERA del 14 novembre 2006, una corretta cronaca di Davide Frattini sui rapporti Stati Uniti- Israele dopo la vittoria elettorale democratica, in particolare per ciò che riguarda il pericolo iraniano.
Ecco il testo:

GERUSALEMME — I diplomatici tra Washington e Gerusalemme la chiamano la «guerra fredda». Dopo il conflitto in Libano di quest'estate, in Medio Oriente si contrappongono due blocchi: da un lato, gli Stati Uniti, Israele e l'«asse dei moderati» tra i Paesi arabi; dall'altro, Iran, Siria, l'Hezbollah e Hamas.
«Entrambi i fronti — commenta Aluf Benn su Haaretz
— stanno cercando alleati, posizioni di influenza e strategie per indebolire l'avversario. Per ora l'opzione militare sembra improbabile». L'analista del quotidiano di Tel Aviv riporta i dubbi degli americani sulla possibilità di un attacco israeliano contro i siti nucleari iraniani: «La cosa peggiore sarebbe se provaste e non doveste riuscirci», commenta una fonte del Dipartimento di Stato.
Così la seconda visita del premier Ehud Olmert a George W. Bush è sotto il segno del nervosismo. Nervosismo perché gli israeliani sono convinti che la comunità internazionale stia ammorbidendo le sue posizioni verso Teheran, nervosismo perché la vittoria dei democratici nelle elezioni di
mid term potrebbe ridurre il sostegno dell'alleato più importante. «Olmert è arrivato negli Stati Uniti con il record non invidiabile di aver perso ancora più popolarità di Bush per la gestione di una guerra — scrive in un editoriale il
Jerusalem Post —. Sfortunatamente, stiamo parlando degli ultimi leader sulla terra a far sul serio, quando dicono che l'Iran vada fermato a tutti costi. A questo punto, non è neppure chiaro se il presidente americano può essere ancora considerato in questa categoria».
Gli israeliani non si sono dimenticati il rapporto sull'Iran realizzato nel 2004 da Robert Gates, che Bush vuole come neo-ministro della Difesa, e da Zbigniew Brzezinski. Scrivono: «Negli ultimi venticinque anni, Teheran ha scelto una strategia internazionale molto più moderata. Oggi i suoi leader hanno rinunciato in gran parte agli sforzi di ribaltare l'ordine esistente nella regione». Il Jerusalem Post commenta: «Questa non è dottrina realista. Sono fantasie, le classiche illusioni che vengono di solito imputate alla sinistra ».
Lo storico Michael Oren, studioso allo Shalem Center di Gerusalemme, ha dedicato il nuovo libro Power, Faith and Fantasy: America in the Middle East: 1776 to the Present
(in uscita a gennaio) alla relazione tra gli Stati Uniti e il Medio Oriente. Comprende il «nervosismo» israeliano: «Non sono gli altri Paesi a essere minacciati da Mahmoud Ahmadinejad di venire cancellati dalla mappa. Il governo di Olmert deve far capire agli americani di essere pronto ad agire da solo. Credo che con Washington verrà definito un calendario, con una linea rossa: se viene sorpassata da Teheran e nessuno interviene, toccherà a Israele». Oren non pensa che la vittoria dei democratici e un eventuale cambio alla presidenza fra due anni modificheranno il rapporto tra le due nazioni. «Ci sono sempre state amministrazioni più o meno amiche. Eisenhower, Bush padre, Carter: nessuno di loro era particolarmente vicino allo Stato ebraico. Ma l'intesa di fondo non è mai stata messa in discussione».

Ahmadinejad, intanto, per l'enensima volta ha minacciato la distruzione di Israele:

M.O.: AHMADINEJAD, DESTINO ISRAELE E' LA DISTRUZIONE =
(AGI/AFP) - Teheran, 13 nov. - Ennesimo attacco verbale a
Israele da parte del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, a
detta del quale lo Stato ebraico e' "destinato alla
distruzione" e pertanto sparira' presto. "Le grandi potenze
hanno creato il regime sionista per estendere il loro
predominio sulla regione", ha dichiarato Ahmadinejad, citato
dalle agenzie di stampa locali, durante un incontro avuto in
serata con i suoi ministri. "Ogni giorno quel regime massacra i
palestinesi ma, poiche' esso va contro il cammino della vita,
presto ne vedremo la scomparsa e la distruzione". Le parole
dell'oltranzista leader di Teheran, che a suo tempo invoco' la
cancellazione d'Israele dalle carte geogrefiche, sono coincise
con l'arrivo a Washington del premier israeliano Ehud Olment il
quale, dopo aver incontrato il segretario di Stato americano
Condoleezza Rice, oggi sara' ricevuto alla Casa Bianca dal
presidente George W. Bush; al centro dei colloqui, tra gli
altri temi, il controverso programma nucleare iraniano. Ieri
l'Iran aveva ammonito che sarebbe "distruttiva" e "arriverebbe
nel giro di un secondo" la reazione a un eventuale attacco
dello Stato ebraico contro i propri impianti atomici. Olmert
dal canto suo, in un'intervista rilasciata al quotidiano 'The
Washington Post', ha affermato che la Repubblica Islamica non
e' intenzionata ad accettare alcun compromesso in materia
nucleare, "a meno che non abbia fondate ragioni per avere
paura", e quindi "e' il momento di fare si' che l'Iran cominci
ad averne", aveva sottolineato, aggiungendo che il suo Paese ha
"diverse opzioni a disposizione". (AGI) 

Vanna Vannucini su La REPUBBLICA offre , coadiuvata da una titolazione quasi incredibile  (titolo: Teheran: "Gli Usa cambino tutto" , sottotitolo: "Gli ayatollah: per trattare ci vuole una svolta a 180 gradi" , occhiello: "Soddisfazione e cautela della diplomazia iraniana: un negoziato è possibile ma prima finisca l´attuale politica guerrafondaia") e da un'analista iraniano vicino al "pragmatico" Rafsanjani (incriminato per un attentato antisemita che nel 1994 ha fatto 84 morti a Buenos Aires), un'interpretazione assai singolare dei tentativi di avvicinamento diplomatico degli Usa all'Iran.
Il problema, veniamo a sapere, è la fine della politica "guerrafondaia" dell'America.
Ecco l'articolo:

«Ci vuole una svolta a 180 gradi», ha detto ieri mattina il portavoce del governo iraniano Elham. «Se ci fosse questa svolta nella politica americana sarebbe un evento benedetto. Noi speriamo che l´America riveda la propria politica guerrafondaia, smetta di sostenere gruppi terroristici e lasci la regione. Se gli americani decidono di cambiare, tutto può essere risolto». Anche il portavoce del ministero degli Esteri Mohammad Ali Hosseini conferma che l´Iran «esaminerà qualsiasi proposta americana di colloqui, se avanzata ufficialmente».
È passata meno di una settimana dalla vittoria dei democratici e dall´uscita di scena di Donald Rumsfeld e su Bush sono cresciute le pressioni interne ed esterne per coinvolgere Iran e Siria in un confronto costruttivo sulla situazione in Iraq. Era stato soprattutto Rumsfeld, che riteneva di poter indebolire il regime degli ayatollah servendosi del gruppo di opposizione armata dei Mujaheddin del popolo, a spingere Bush nel 2003 a rifiutare l´offerta negoziale di Teheran (che comprendeva tre punti: cooperazione contro Al Qaeda, moderazione degli Hezbollah libanesi e apertura sul programma nucleare). Da allora la Casa Bianca ha sempre mantenuto ferma la politica di rifiuto di qualsiasi collaborazione con l´Iran. Ha puntato ad ottenere da Teheran la massima concessione - l´abbandono dell´arricchimento dell´uranio - senza dover dare nulla in cambio. Così fece in Afghanistan, quando poche settimane dopo la conferenza di Bonn, in cui gli iraniani ebbero un ruolo cruciale nel convincere i diversi signori della guerra afgani a sostenere Karzai, Bush collocò l´Iran nell´Asse del male. I gesti di buona volontà iraniani non furono ripagati.
«Nel gioco a somma zero degli americani per ora tuttavia ha vinto l´Iran», dice l´analista iraniano Said Leylaz, un riformatore moderato vicino ai tecnocrati dell´ex presidente Rafsanjani. Anche Tony Blair, l´alleato più fedele di Bush, riconosce ormai che Iran e Siria sono la chiave per una exit strategy in Iraq. Nessun progresso è possibile né in Iraq né sulla questione nucleare iraniana se le due cose non vengono collegate. «Solo collegando la cooperazione iraniana alla disponibilità americana a trovare un compromesso sul programma nucleare può essere trovata una via d´uscita dall´impasse», sostiene Leylaz.
L´incontro ieri di Bush con il Gruppo di Studio sull´Iraq, un gruppo bipartisan guidato dall´ex Segretario di Stato Baker e dall´ex deputato democratico Hamilton, era considerato a Teheran il primo test sulla disponibilità della Casa Bianca a cambiare politica. Per il momento tuttavia il presidente, che pure aveva affermato di «essere aperto per nuove idee», non ha cambiato linguaggio. Ma anche gli iraniani pretendono oggi molte più carote di quante non ne chiedessero nel 2003, dice Leylaz. «Vogliono colloqui bilaterali su una serie di questioni strategiche. Potrebbero rinunciare al programma nucleare solo se Washington offrisse un nutrito pacchetto di garanzie di sicurezza, il trasferimento di tecnologie e l´annullamento di tutti i progetti di rovesciamento del regime: qualcosa di simile a quello che Kissinger e Nixon fecero con la Cina trent´anni fa». Il responso di Bush, dopo il colloquio con il gruppo di esperti, è stato negativo. Il presidente ha detto che l´Iran dovrà affrontare l´isolamento economico se proseguirà nel suo programma nucleare.
«La questione è sapere se Stati Uniti e Israele vogliono rischiare una situazione ancora peggiore di quella in Iraq per fermare il programma nucleare iraniano anche con la forza, o sono disponibili a trovare un compromesso», dice ancora Lelylaz.
L´Iran ha subito risposto minacciando che l´Opec ridurrà ulteriormente la produzione di petrolio per far risalire i prezzi. E prosegue intanto nella sua tattica di riaffermare il proprio diritto alla tecnologia nucleare in base ai trattati internazionali. Il governo iraniano ha chiesto all´Aiea, l´Agenzia per l´energia atomica, di fornirgli assistenza per la costruzione di un reattore nucleare ad acqua pesante nel suo sito di Arak.
La politica nucleare iraniana - insiste il vice ministro degli Esteri Said Jalili - «si fonda su due pilastri: difendere i diritti garantiti dal Trattato di Non Proliferazione e non deviare dall´uso pacifico dell´energia nucleare».

Arturo Zampaglione dipinge d'altro canto un  Olmert  "minaccioso" verso l'Iran (non è piuttosto l'Iran a minacciare Israele?).
Ecco il testo dell'articolo, intitolato "Olmert: "Mettiamo paura all´Iran" :

NEW YORK - Poco prima di incontrare George W. Bush nello studio ovale, il premier israeliano Ehud Olmert ha aperto uno spiraglio di dialogo con il futuro governo di unità nazionale palestinese e ha usato toni minacciosi nei confronti di Teheran.
Il premier israeliano in versione diplomatica ha dichiarato: «Se Hamas accetterà le condizioni di Usa, Russia, Ue e Onu - ripudiare la violenza, riconoscere Israele e aderire agli impegni passati dell´Anp - il dialogo potrà riprendere». Quello minaccioso ha invece detto: «Non tollereremo il possesso di armi nucleari da parte dell´Iran. Su questo argomento non accetteranno compromessi se non avranno una ragione molto valida per temere le conseguenze di un rifiuto. In altre parole, l´Iran deve cominciare ad avere paura».
Parole che hanno subito fatto pensare a un attacco preventivo simile a quello ordinato nel 1981 da Menachem Begin sulla centrale atomica irachena di Osirak. Ma Olmert ha cercato di smussare le preoccupazioni: «Spero di non dover arrivare fino a quel punto». E non ha neanche raccolto le provocazioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sulla distruzione dello stato di Israele e ha insistito, invece, sulla strada diplomatica per risolvere il contenzioso con Teheran, avallando a priori ogni soluzione indicata da Bush.
L´Iran è stato al centro del colloquio di ieri alla Casa Bianca. Ma Olmert e Bush, che non si vedevano da sei mesi, hanno discusso per un´ora in una atmosfera molto diversa da quella della scorsa primavera. Gli Stati Uniti sono ancora il grande alleato di Gerusalemme: lo hanno dimostrato durante la guerra contro gli Hezbollah e lo hanno confermato proprio sabato scorso mettendo il veto a una risoluzione del consiglio di sicurezza sul comportamento israeliano a Gaza. Si comincia però a vedere un certo sfilacciamento nel rapporto tra i due paesi.
La crisi libanese ha sollevato alcuni interrogativi, a Washington, sulle capacità politiche e strategiche di Olmert, che ha ereditato un po´ per caso la poltrona di Ariel Sharon. E le elezioni americane di mezzo termine della settimana scorsa hanno umiliato Bush e dimezzato il suo potere. Non solo: a Gerusalemme c´è chi sostiene che la guerra in Iraq abbia finito per distrarre l´attenzione dall´atomica iraniana, che agli occhi israeliani è sempre stato considerato un problema ben più grave della dittatura di Saddam Hussein. Le recenti dichiarazioni di Ahmadinejad non hanno fatto che accentuare questi timori; e così anche i test di missili "Shahab-3" che hanno una portata di 2mila chilometri, quindi in grado di colpire il territorio israeliano.
Naturalmente, le frizioni sotterranee non sono venute alla luce durante i colloqui di ieri, né tanto meno durante un breve incontro di Bush e Olmert con la stampa, durante il quale i due leader hanno mostrato di essere sulla stessa lunghezza d´onda sul coinvolgimento della Siria e dell´Iran.
«Non abbiamo nulla in contrario sui negoziati con la Siria - ha detto Olmert - ma deve prima cambiare atteggiamento sul Libano, l´Iraq e i terroristi di Hamas».
«Se l´Iran vuole un dialogo - ha ribadito Bush - deve sospendere le attività di arricchimento dell´uranio e permettere dei controlli. L´Iran nucleare ha un ruolo destabilizzante nella regione e in tutto il mondo. Dobbiamo convincerlo ad abbandonare le sue ambizioni, facendogli capire che rischia di essere ulteriormente isolato, anche dal punto di vista economico». Per quanto riguarda la Siria, il presidente americano ha ricordato che, a differenza dell´Iran, gli Stati Uniti hanno una loro ambasciata a Damasco. «Dai siriani - ha detto - noi ci aspettiamo che stiano fuori dal Libano, che non concedano rifugio agli estremisti e che aiutino la giovane democrazia in Iraq».

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