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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.11.2006 Errore di Israele, 19 civili ucisi a Beit Hannoun
l'obiettivo era una postazione di lancio di missili kassam

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 novembre 2006
Pagina: 12
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Massacro a Gaza, uccisi 18 civili «Rammarico» di Israele: «Un errore» - La famiglia Asamne, cancellata da «uno scoppio come tanti»»

Dal CORRIERE della SERA del 9 ottobre 2006:

BEIT HANOUN — Diciotto morti. Otto bambini, cinque donne, cinque uomini. Diciassette fanno parte di una stessa famiglia, il clan degli Asamne. Le loro case sono state centrate da una batteria dell' artiglieria israeliana. Dodici proiettili finiti fuori bersaglio, che sono caduti all'alba tra i palazzi della città di Beit Hanoun, a nord della Striscia di Gaza.
«Dovevano finire a un chilometro di distanza dagli edifici — spiegano i militari —. Non sappiamo che cosa sia successo, se sia stato un errore tecnico o umano». Il ministro della Difesa Amir Peretz ha aperto un'inchiesta e ha ordinato di fermare i bombardamenti con l'artiglieria, fino a quando non ci saranno i risultati delle indagini. Il premier Ehud Olmert ha espresso «rammarico» e ha offerto ai palestinesi assistenza medica per i feriti. Il ministro degli Esteri Tzipi Livni ha parlato di una «tragedia», ricordando che la risposta dell'esercito è imposta dai lanci di Qassam contro le città israeliane.
I raid nella Striscia sono andati avanti. Nella notte un missile ha ucciso due militanti, mentre altri sette palestinesi sono morti tra Gaza e la Cisgiordania (quattro in un'operazione delle forze speciali nel campo profughi di Jenin). «Israele non vuole la pace, non vuole la sicurezza né un partner con il quale dialogare», ha accusato il presidente Abu Mazen. Che ha attaccato «chi giustifica le atrocità commesse», un'allusione agli Stati Uniti che la settimana scorsa avevano ribadito il diritto dello Stato ebraico a difendersi. Ieri sera il segretario di Stato Condoleezza Rice ha telefonato al leader della Mukata per esprimergli «profonda tristezza» e Abu Mazen le ha chiesto di muoversi «per fermare l'aggressione».
La Casa Bianca ha lanciato un appello perché «entrambe le parti evitino di colpire i civili» e Margaret Beckett, ministro degli Esteri britannico, ha condannato il bombardamento su Beit Hanoun: «Non si capisce quali obiettivi volesse raggiungere e come possa essere giustificato».
Adesso Hamas minaccia di rompere definitivamente la tregua del marzo 2005. Il movimento fondamentalista aveva aderito al cessate il fuoco fino alla fine dell'anno, quando i suoi miliziani avevano annunciato di essersi uniti agli altri estremisti nelle operazioni per i lanci di razzi contro Israele. Ma l'organizzazione non sarebbe coinvolta in un attentato suicida dal 2004. «Imploriamo i nostri combattenti di riprendere gli attacchi kamikaze a Tel Aviv, Gerusalemme, Jaffa, dappertutto», ha dichiarato ieri il portavoce Nizar Rayan. Anche il Fatah, il partito di Abu Mazen, ha ordinato alle Brigate Al Aqsa di organizzare «operazioni di martirio».
Da Damasco, Khaled Meshal, leader di Hamas all'estero, ha lanciato un appello a tutte le fazioni («dev'esserci una risposta clamorosa per vendicare queste vittime») e ha accusato Washington e i governi arabi: «Il bombardamento è avvenuto con la copertura americana e il silenzio degli Stati arabi». L'ala militare di Hamas ha invocato «l'intervento di tutti i musulmani, per dare una lezione agli americani».

Di seguito, un articolo sulla gamiglia Asamne, alla quale appartengono 17 dei  morti di Beit Hanoun.
E che ha ben chiare,a  differenza di  molti giornalisti e commentatori italiani, le responsabilità di chi lancia razzi contro Israele da zone abitate.

BEIT HANOUN — La prima lapide della famiglia Asamne è un pacchetto di sigarette vuoto. Majdi apre i portelloni dell'obitorio per identificare un figlio, un fratello, un cugino. Scrive i nomi sull'unico pezzo di cartone che si è ritrovato in tasca, quando ha cominciato il giro degli ospedali, quando ancora sperava di rintracciare feriti. Invece conta i morti: diciassette.
I bambini occupano poco spazio. Le celle frigorifere non bastano e suo figlio Saad, 10 anni, è disteso con lo zio. I più piccoli sono stati messi tutti insieme. Come quando dormivano, prima che un proiettile d'artiglieria centrasse il tetto della casa. Un colpo, il boato, il risveglio nell'aria diventata bianca per la polvere. Tutti cominciano a correre, dai piani più in alto scendono verso la strada: fuori, lontano dai pezzi di cemento che crollano, sembra sicuro. Altri obici colpiscono i palazzi intorno, il vicolo diventa una trappola. Dodici esplosioni, un batteria di colpi da 155 millimetri finita fuori bersaglio, sostiene l'esercito israeliano. «Doveva cadere in una zona aperta usata come base di lancio per i razzi Qassam». Invece è finita sulla città.
Tutti gli Asamne vivevano qui. Quattro case, una vicina all'altra, alla periferia di Beit Hanoun, verso i campi e il confine con Israele. «Quando ho sentito la prima cannonata, ero appena uscito per andare a lavorare, verso le 5.30», racconta Ibrahim. «Non ci ho fatto caso, sembrava uno scoppio come i tanti degli ultimi mesi. Poi ho sentito gli altri e sono tornato indietro di corsa. C'era sangue dappertutto, ho perso sette fratelli, i miei figli sono feriti».
Le pozze di sangue sono ancora lì, rosa.
I pompieri non hanno potuto cancellarle. Dopo sei giorni di offensiva israeliana a Beit Hanoun l'acqua è poca e gli idranti hanno solo stinto le macchie. «Non siamo riusciti a portare via i feriti — dice Said — perché i militari hanno distrutto le nostre auto». Durante l'operazione Nuvole d'autunno, la casa degli Asamne era stata occupata. «Ci dicevano di non aver paura — racconta Hanin, da un letto d'ospedale —. Ripetevano di volere la pace. Invece hanno commesso un massacro, il loro obiettivo è far fuggire tutti gli abitanti di questa città».
Le strade di Beit Hanoun sembrano danneggiate da un terremoto. Le ruspe e i tank le hanno trasformate in canali di terra e fango, dove scorre l'acqua delle fogne che salta fuori dalle tubature spaccate. Mustafa Barghouti, leader di un piccolo partito indipendente, è il primo politico ad arrivare tra la gente.
«Non vogliamo vedere nessuno di Hamas o Fatah — gli urla un uomo del clan Asamne —. I miliziani devono smetterla con i Qassam. Loro giocano con i fuochi d'artificio e a noi c'ammazzano. Non vogliamo un governo sotto occupazione, che non ci può difendere».
Il premier Ismail Haniyeh e il presidente Abu Mazen non si sono fatti vedere. Insieme sono andati all'ospedale di Beit Lahiya, dov'è stata raggruppata la maggior parte dei 58 feriti. Insieme hanno donato il sangue. L'unità nazionale finisce qua. Il primo ministro ha già dichiarato che il massacro fa saltare i colloqui per la nascita di un nuovo governo, il Fatah è impegnato a celebrare con i megafoni i «martiri» per dimostrare che anche i suoi miliziani hanno partecipato ai sei giorni di battaglia per le strade di Beit Hanoun: Hamas accusa le forze di sicurezza legate al presidente «di non prendere parte alla resistenza». «L'organizzazione fondamentalista — spiega una fonte palestinese — userà la strage per rinviare l'accordo con Abu Mazen e per cercare di ottenere che il premier nominato sia un politico legato al movimento». I consiglieri del presidente restano più ottimisti: «Siamo all'ultima tappa, stiamo superando le differenze».
Da quando il caporale israeliano Gilad Shalit è stato rapito il 25 giugno, nella Striscia di Gaza sono stati uccisi 247 palestinesi, senza contare le vittime di ieri. Tra loro — rileva Physicians for Human Rights, associazione umanitaria di Tel Aviv — i civili sono 155, dei quali 57 minori. L'operazione Nuvole d'autunno, i sei giorni di occupazione a Beit Hanoun, è stata usata anche per raccogliere informazioni sui depositi di armi. I maschi della città, tra i 16 e i 45 anni, sono stati raggruppati nelle aule di una scuola. «Sono passati per le strade e ci hanno ordinato attraverso gli altoparlanti di andare all'istituto — racconta Ashraf Al Masri - . Quando sono arrivato con i miei fratelli, ci hanno fatto spogliare nel cortile e ci hanno lasciato in mutande sotto la pioggia per quattro ore. Poi ci hanno fatto entrare per l'interrogatorio, divisi a gruppi di dieci nelle stanze. Mi hanno fatto andare via il giorno dopo».
Suo fratello Majdi, un soldato della Forza 17, è stato trattenuto. «Non è mai stato in prigione, è entrato nella guardia presidenziale a gennaio perché aveva bisogno di soldi per la moglie e le tre figlie. E ha ricevuto lo stipendio per un mese soltanto».

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