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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.11.2006 Plauso a Piero Ostellino e Giovanni Sartori
per aver infranto l'ipocrisia imperante sulla condanna di Saddam

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 novembre 2006
Pagina: 1
Autore: Piero Ostellino - Stefano Montefiori
Titolo: «IL TIRANNO E GLI EUROPEI - «L'agitazione dell'Europa è ridicola Saddam è come Hitler e deve morire»»

Plauso a Piero Ostellino e Giovanni Sartori per un editoriale e per un'intervista, pubblicati dal CORRIERE della SERA che infrangono la cortina di ipocrisia intorno al processo e alla condanna di Saddam Hussein
Ecco l'editoriale, dal CORRIERE dell'8 novembre 2006 :

Giovanni Sartori ha messo il dito nella piaga: «Tutta questa agitazione dell'Europa contro la pena di morte a Saddam la trovo un po' ridicola, o comunque poco seria (...) L'Europa — ha dichiarato ieri al Corriere — non è mai unita su niente e lo diventa per salvare quel macellaio. Un modo per far bella figura a buon mercato e dire: ecco, i soliti barbari americani (...) Se l'ordinamento giuridico prevede la pena capitale, e quello iracheno, come in pressoché tutti i Paesi islamici, lo prevede, non capisco perché non giustiziare Saddam». Contrari come siamo alla pena di morte, queste espressioni che faranno scandalo presso qualche «anima bella» ci appaiono tutt'altro che prive di fondamento.
A me pare che Sartori si sia chiesto che vantaggio ci sia — se non quello di «far bella figura a buon mercato» — nell'investire di rilevanza morale le leggi di un Paese tanto culturalmente lontano da noi, mentre si possono comprendere molto più facilmente con argomenti empirici. Il suo ragionamento non è, infatti, un giudizio di valore sulla nostra idea della pena di morte — che ai più fa giustamente orrore, anche se è stato uno di noi, San Tommaso, a dire «chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio» — ma è un «giudizio di fatto» sull'idea che ne hanno loro. Senza cadere nel relativismo culturale ed etico — peraltro apprezzato da chi, ricorda Sartori, ci ripete che dobbiamo rispettare l'Islam e poi si erge a difesa del diritto del tiranno con argomenti della nostra civiltà — discutibile è, allora, l'esprit de système dei nostri neo-illuministi che — parafrasando lo storico — «vorrebbero ricostruire Bagdad secondo le norme del Colonnato di San Pietro». Sostenere che il tribunale iracheno avrebbe dovuto applicare le garanzie dei nostri ordinamenti è assurdo quanto — direbbe il teorico politico — «cercare di coltivare la canna da zucchero in Siberia».
Ma Sartori, con la sua «scandalosa» sortita, non mi pare si sia limitato a distinguere fra i (nostri) valori e i fatti (loro), bensì, in punto di filosofia del diritto, fra legalità e legittimità come le intendiamo noi e come le intendono loro. Nella nostra cultura giuridica, il principio di legalità impone al giudice di attenersi alla lettera della legge, evitando di fare riferimento alla morale e alla religione; a sua volta, il principio di legittimità pretende che la legge sia fondata sul rispetto dei valori della democrazia liberale e sulle garanzie dello Stato di diritto. Nella cultura giuridica islamica, al contrario, il principio di legalità coincide con quello di legittimità solo se ha a proprio fondamento la morale religiosa (che non è propriamente lo Stato di diritto). Si tratta di due piani differenti — quello occidentale, giuridico, che spiega il rifiuto etico-politico della pena capitale; quello islamico, morale, che la giustifica giuridicamente — da cui valutare il processo, ma che fanno tutta la differenza fra la nostra e la loro civilizzazione. Ma, allora, perché sollevarla per Saddam e non quando una donna è lapidata per adulterio in un Paese musulmano?
A Bagdad si è celebrato — da parte di un tribunale iracheno — una sorta di «processo di Norimberga» secondo il rito islamico. Ma quegli stessi che plaudono alle condanne dei criminali nazisti lo stanno trasformando in un processo agli Stati Uniti (che non erano sui banchi dell'accusa). Perché? Perché li ritengono «colpevoli» di aver abbattuto il tiranno? Se è questo che pensano, lo dicano, allora, assumendosene la responsabilità morale e politica.
postellino@corriere.it

Dal CORRIERE del 7, l'intervista a Sartori:

Il magma radiofonico di canzoni, spot e commenti ieri è stato tagliato all'improvviso da una voce diversa: «Saddam Hussein è come Hitler, e se il dittatore nazista non si fosse ucciso, a Norimberga lo avrebbero giustamente condannato a morte come gli altri. Tutta questa agitazione dell'Europa contro la pena di morteaSaddam la trovo un po' ridicola, o comunque poco seria». Nelle ore dell'unanimismo continentale, quando solo il ministro degli Esteri britannico Margaret Beckett plaude alla giustizia irachena per venire poi subito corretta dal premier Blair («sempre contrari, per Saddam e per chiunque altro»), l'opinione espressa dal politologo Giovanni Sartori nella trasmissione Baobab di Radiouno fa scalpore. «La mia non voleva essere una provocazione — spiega poi il professore —, mi sono limitato a osservare che trovo un po' sorprendente questo pianto europeo sulla pena di morte a Saddam Hussein. L'Europa non è mai unita su niente. Lo diventa per salvare la vita a Saddam? Mi sembra una bella figura a buon mercato».
Però l'Europa che si divide su tutto ritrova nel no all'esecuzione capitale un dogma unificante, che le permette di inorgoglirsi a ricordare — soprattutto in Italia — la lezione di Cesare Beccaria. Sartori è perplesso. «Ci viene continuamente ripetuto che dobbiamo rispettare l'Islam, che l'Occidente non deve intromettersi nelle leggi di una civiltà diversa dalla nostra. E poi l'Europa si erge a difendere che? Il diritto dei tiranni a sentenze giuste? Ma in tutto il mondo questi processi sono sempre irregolari. L'unica eccezione è quello di Carla Del Ponte contro Milosevic, ma così l'imputato ha fatto in tempo a morire».
Quindi la pena di morte per Saddam è giusta? «Non vedo che altra condanna avrebbero potuto comminargli. Saddam è stato un macellaio tra i più crudeli di questa fine secolo, uno sterminatore. Se l'ordinamento giuridico prevede la pena capitale — e quello iracheno, come in pressoché tutti Paesi islamici, lo prevede —, non capisco perché non giustiziare Saddam». Ci sono ragioni morali, il no alla pena di morte, come ha ribadito Blair, è assoluto e non negoziabile caso per caso. «Certo, ormai questa è la posizione di principio dell'Europa. Ma resta una posizione, nel mondo, di forte minoranza. Gli Stati Uniti, che sono la più antica delle nostre democrazie, prevedono la pena di morte, come la Russia, la Cina, molti Stati africani e asiatici». L'Europa su questo si sente diversa, migliore. «Uno scatto di presunzione, e anche un riflesso anti-americano, la scusa per poter dire "questi barbari di americani che ancora condannano a morte". Ripeto, non vedo come Saddam Hussein possa aspettarsi clemenza. Se non si deve dare la pena di morte a lui, allora neanche a Hitler (se non si fosse suicidato), sono carnefici equivalenti. Tutto questo clamore è un po' assurdo e persino ridicolo. Diverso è il discorso sulla opportunità, sui costi e i benefici della eventuale impiccagione di Saddam».
La pena di morte è barbara, e pure controproducente, dicono in molti. «Può darsi, ma non ne sarei tanto sicuro. Saddam è stato il tiranno di una minoranza, i sunniti, che sono in rivolta da tempo. La condanna del dittatore da questo punto di vista può essere ininfluente. La maggioranza sciita, invece, può trovare un motivo di soddisfazione nell'esecuzione del tiranno. Senza contare che se il nuovo Stato iracheno avesse risparmiato la vita a un dittatore responsabile della morte di centinaia di migliaia di persone, si sarebbe screditato nel mondo arabo, dove la pena di morte è coranicamente ammessa e praticata, fino ad autorizzare la lapidazione di povere donne che non hanno mai fatto del male a nessuno».
In un referendum pro o contro la pena di morte, lei come voterebbe?
«Io non sono favorevole alla pena capitale, ormai sono anche io corrotto del conformismo intellettuale europeo... Ma protestare in difesa di Saddam mi sembra scegliere l'occasione sbagliata sulla persona sbagliata». È una questione di principio, proprio i colpevoli vanno difesi, non a caso gli attivisti italiani hanno chiamato la loro associazione «Nessuno tocchi Caino»: il caso di Saddam è perfetto. «Può darsi — ribatte Sartori —, ma io lo trovo soprattutto reclamistico. Dicevo, una bella figura a poco prezzo».

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