Le contraddizioni degli antifascisti di professione 07/11/2006
Spettabile Redazione,
in una lettera al Direttore de “Il Foglio” in data odierna, il Sig. Federico Selmi pone in rilievo una contraddizione degli attuali discendenti dei giustizieri antifascisti (i quali non ebbero nessuna remora ad applicare la pena capitale nei confronti di Mussolini, e non solo di lui), che oggi si indignano e protestano per la condanna a morte inflitta a Saddam Hussein. «A voler essere puntigliosi - osserva il Sig. Selmi - la storia non riporta nessun processo o possibilità di difesa nei confronti del dittatore fascista, cosa che invece più o meno è stata concessa a Saddam. Che i partigiani comunisti, e i loro figli spirituali, siano diventati più democratici e garantisti col passare degli anni? Oppure è facile fare dell’idealismo spicciolo quando le ferite, le angherie subite e il desiderio di vendetta sono degli altri e non propri? A mio avviso la seconda ipotesi è quella più vera. La sinistra italiana (politica e non) è maestra nell’idealismo spicciolo quando a pagare per questi ideali sono gli altri e non loro stessi». L'osservazione è precisa e pertinente, ma ad essa vorrei aggiungere da parte mia un'osservazione su un'altra contraddizione dei suddetti signori professionisti dell'antifascismo permanente: essi sono infatti sempre in prima fila a condannare le turpitudini nazifasciste, ma poi li si trova a perorare la causa di gente come Ahmadinejad e Nasrallah i cui propositi non differiscono in nulla rispetto a quelli di Adolf Hitler. Il fatto è che i benpensanti quando parlano di Auschwitz o Mauthausen non condannano il crimine in sé ma l'ideologia di chi li commise; il vero delitto di Hitler, in fondo, per costoro, fu l'uso della svastica anziché della mezzaluna. Per questo essi parlano indignati degli assassini di ebrei di sessanta anni fa, mentre degli assassini attuali è lecito solo tessere le lodi. Evviva la coerenza!