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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.11.2006 Sottrae all'oblio le vittime della Shoah
la storia di un disegnatore israeliano

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 novembre 2006
Pagina: 16
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Il disegnatore che immagina i volti dell'Olocausto»
Dal CORRIERE della SERA dell'11 novembre 2006:

TEL AVIV — Rachel non ha più guardato i suoi genitori. Per sessantadue anni. Da un pomeriggio di primavera del 1944, quando vennero separati nel campo di concentramento di Auschwitz. Loro verso la morte, lei verso la vita, salvata da una polacca che le impedì di seguire la madre nella fila degli «anziani».
Rachel Herczl è rimasta sola e oggi, a 77 anni, anche i ricordi la stanno abbandonando. Senza una foto è difficile impedire alla memoria di sbiadire, di cancellare i due volti che ha tanto amato. Senza una foto è difficile far rivivere un'espressione, una piega del volto, il calore di uno sguardo.
«Senza un'immagine e senza neppure una tomba è più difficile commemorare i propri morti», commenta il ritrattista Gil Gibli. Che con la sua matita e l'aiuto di Rachel ha viaggiato indietro nel tempo per recuperare quei visi che stavano scomparendo. Insieme hanno lavorato per giorni, un segno dopo l'altro, partendo da episodi, situazioni che avevano colpito la ragazzina di allora. A scuola con il padre Chaim, in sinagoga con la madre Gitel. «È il mio metodo — spiega Gibli —. Non chiedo mai di concentrarsi sui tratti, sui dettagli delle facce. Suggerisco di richiamare alla memoria un momento importante, di ricostruire quella scena, l'ambiente e da lì far riaffiorare i volti. Per questo non uso le raccolte della polizia per gli identikit, rischiano di essere fuorvianti. Come fai a ricordare un naso che hai visto l'ultima volta sessant'anni fa?». Con Rachel ha provato a tirar fuori il manuale ufficiale dell'Fbi, per sentirsi rispondere «mio padre e mia madre non avevano occhi da criminali».
Gibli, un ultraortodosso che vive con la moglie e i cinque figli nella cittadina di Bnei Brak, lavora come vignettista per il giornale finanziario Globes.
L'ufficio alla periferia di Tel Aviv è pieno dei suoi ritratti di uomini d'affari e politici israeliani. Sulla scrivania, un viso fatto di poche linee geometriche, che sembra un quadro cubista o un disegno tribale. «E' da qui che parto. Figure semplici — un tondo, un triangolo, un rettangolo — per offrire un linguaggio grafico alle persone che interrogo. Dopo aver imparato a parlare la stessa lingua, passiamo ai dettagli».
Da nove anni Gibli collabora anche con la polizia per gli identikit più complicati e nel 2002 è riuscito, dopo sei mesi di ricerche, a far dare un nome all'unica vittima di un attentato suicida che fosse stata seppellita senza essere identificata. Sul caso è stato girato un documentario ( Numero 17: anonimo)
e da allora il ritrattista, 49 anni, viene chiamato da sopravvissuti all'Olocausto — in Israele sono circa quattrocentomila — che vogliono poter contemplare i genitori o i fratelli scomparsi. «In realtà, sono i figli o i nipoti a telefonarmi. Perché i superstiti sono convinti di non farcela, di non riuscire a ricordare e si sentono in colpa perché stanno dimenticando quei volti».
Una donna di Haifa voleva ritrovare uno zio, l'unico parente rimasto in Polonia, e si è presentata da Gibli con una foto di lui a 14 anni. Insieme hanno abbozzato un ritratto di come avrebbe potuto essere diventato oggi. «Quando ha pubblicato il disegno su un giornale locale, un uomo l'ha contattata perché la somiglianza era troppo netta. Eppure si è presentato e ha negato di essere ebreo. Lei gli ha parlato in yiddish e lui capiva, ma ha detto che aveva imparato qualche parola da un amico. Da ragazzino era stato convertito al cattolicesimo e adesso non poteva rivelare la sua vera identità alla famiglia che si era costruito».
Due fratelli di Herzliya, ultraottantenni, hanno chiesto il suo aiuto, quando a scuola uno dei nipotini doveva ricostruire l'albero genealogico della famiglia: non esistevano immagini dei bisnonni, uccisi in un campo di concentramento. I Kassirer erano fuggiti in nave dall'Europa, per fare naufragio sulla costa davanti alla Striscia di Gaza. In mare, avevano perso i pochi bagagli e le uniche foto dei genitori. «Li abbiamo fatti riemergere da quelle acque. Davanti ai volti del padre e della madre sono scoppiati a piangere. Dopo averli strappati all'annientamento anche della memoria, per loro è come poterli seppellire per la prima volta».

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