Dal CORRIERE della SERA del 6 novembre 2006 un articolo sul vignettista italiano premiato in Iran per una vignetta sulla Shoah. Dall'intervista ad Alessandro Gatto emerge tutto il più tipico armamentario del pregiudizio antisraeliano e dall'antisionismo. Altrettanto tipicamente Gatto, che si considera onorato dal premio fornito da un regime che vuole distruggere Israele, esordisce precisando di non essere "antisemita".
Ecco il testo:
«Prima di tutto vorrei precisare...». Prego. «Non sono antisemita, non ho nulla contro gli ebrei, anzi». Anzi? «Sono appena stato ad Auschwitz, dove ho visitato il campo di concentramento. Sono senza parole per quello che ho visto». Il cronista un po' si stupisce. Non pensava che Alessandro Gatto, 49 anni — «artista e umorista» — avrebbe accettato di spiegare le ragioni che lo hanno portato a spedire una sua vignetta sull'Olocausto, al concorso organizzato a Teheran per volere del presidente iraniano Ahmadinejad. «Sono stato invitato — dice Gatto al telefono —. Ricevo richieste da tutto il mondo. Io valuto volta per volta se partecipare o meno». Questa volta non ha avuto dubbi. «Sì — risponde senza esitazione, una lieve inflessione che tradisce le sue origini: Castelfranco Veneto (Treviso) —. Ho sentito particolarmente stimolante il tema proposto dagli iraniani, mi dava la possibilità di esprimere un mio pensiero senza sentirmi schierato da una parte o dall'altra. Sa, io non sono né di destra né di sinistra, sia chiaro. Ma adoro il politicamente scorretto». Dunque la vignetta è partita. Destinazione Teheran, dove ha fatto bella mostra sul sito Iraniancartoon.com per alcune settimane insieme ad altri lavori che non avrebbero sfigurato sui fogli di propaganda nazista: ebrei con il naso adunco, spietati e guerrafondai. Gatto non è arrivato primo, ma è tra i premiati: «Tre monete d'oro, una coppa e menzione d'onore». La sua vignetta (una giacca da internato con un riquadro, una «finestra» incorniciata dalle righe bianche e azzurre: dietro, come fosse in prigione, il viso triste di un palestinese) è piaciuta. In Iran. Contento? «Ho saputo l'altro giorno del premio — dice —. Ero ad Atene per un altro riconoscimento. Certo che mi ha fatto piacere...». Il vignettista italiano, fino a ieri sconosciuto al grande pubblico («Vivo del mio lavoro di artista»), respinge ogni contestazione di «buon gusto». «A Teheran — spiega convinto — hanno proposto in modo provocatorio un tema decisamente scottante: parlare dell'Olocausto. Sembra che questo termine debba essere per forza un tabù. Rivendico la libertà di esprimere il mio pensiero». L'ha avuta. Ma non crede di aver esagerato? «No. Perché? Sono stato ad Auschwitz. Sono entrato in quelle baracche. Ho percepito il senso del dolore assoluto. Nella mia vignetta ho preso a simbolo la giacca dell'ebreo, lacerata, sporca. Quella stessa giacca mi deve aiutare a capire il dolore che provano altre persone, la popolazione civile araba e palestinese a Gaza, nei Territori, in Libano. Insomma, gli ebrei sono stati oggetto di una strategia diabolica di sterminio. Ma anche occupare i territori è una strategia subdola, machiavellica...». Nessun dubbio nemmeno sull'opportunità di inviare una vignetta a un concorso con fini chiaramente politici e strumentali. «Io rispondo solo del mio lavoro. Sono il primo a condannare le altre vignette che hanno partecipato al concorso. Ma voglio essere libero di dire al governo di Israele: ricordatevi di quella giacca». A sinistra, la vignetta premiata in Iran. Sopra, l'autore: Alessandro Gatto
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