Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Saddam Hussein condannato alla pena capitale potrà ricorrere in appello
Testata: Corriere della Sera Data: 05 novembre 2006 Pagina: 2 Autore: Ennio Caretto - Paolo Rastelli Titolo: ««La pena capitale, un atto di giustizia mostra che i dittatori vengono puniti» - «Certo che merita di morire Per questo va risparmiato»»
Sadam Hussein è stato condannato a morte dal tribunale di Bagdad. Ecco la cronaca dal CORRIERE.IT :
BAGDAD- Sentenza capitale per l'ex dittatore dell'Iraq Saddam Hussein: è stato condannato all'impiccagione. Lo ha deciso il tribunale di Bagdad. Condanna a morte anche per l'ex presidente del tribunale rivoluzionario Awad al Bander. L’ex vice presidente iracheno Taha Yassin Ramdan è stato invece condannato all’ergastolo per omicidio premeditato nel massacro di Dujail, il primo processo nei confronti di Saddam Hussein e altri sette gerarchi del deposto regime. Lo ha annunciato l’Alta corte penale irachena, riunita nella Zona Verde a Bagdad.
IL GRIDO DI SADDAM: «LUNGA VITA ALL'IRAQ» - Non appena il giudice ha iniziato a leggere la sentenza per gli imputati del processo di Dujail, nell'aula dell'Alta corte di Bagdad si è levato il grido di Saddam. «Lunga vita all'Iraq, lunga vita al popolo iracheno», è esploso Saddam Hussein. L'ex presidente iracheno che per decisione dei giudici sarà impiccato, ha continuato a urlare «Dio è più grande degli occupanti». Poi, rivolto ai giudici: «Vergognatevi, voi non siete iracheni, siete dei criminali. Vergogna agli invasori».
L'ECCIDIO SOTTO PROCESSO - L’ex dittatore e i co-imputati sono giudicati per la morte, negli anni Ottanta, di 148 sciiti del villaggio di Dujail, sessanta chilometri a nord di Baghdad, uccisi nei mesi e negli anni successivi a un fallito attentato al convoglio dell’ex presidente in questo villaggio durante una visita nel 1982. Saddam potrebbe essere condannato a morte per impiccagione, ma avrebbe diritto di inoltrare appello contro la sentenza. La pena capitale è stata chiesta anche per due dei sette coimputati: Barzan al-Tikriti, suo fratellastro ed ex direttore dei servizi di intelligence, e lo stesso Yassine Ramadan.
05 novembre 2006
Il CORRIERE della SERA del 5 novembre pubblica due interviste, rilasciate prima della sentenza, che sprimono due differenti punti di vista sulla condanna a morte di Saddam Hussein. Di seguito, quella allo storico Richard Pipes, favorevole alla pena capitale:
WASHINGTON — Nella sua lunga vita — ha superato gli 80 anni — lo storico Richard Pipes, un ebreo polacco, scampò miracolosamente al nazismo rifugiandosi prima in Italia poi in America, partecipò alla lotta contro l'Urss come consigliere del presidente Ronald Reagan, e testimoniò nei suoi libri dei massimi travagli della seconda metà dello scorso secolo. Oggi vede nella probabile condanna a morte di Saddam Hussein «un atto di giustizia». Sorprendentemente, non esclude che l'esecuzione non abbia poi luogo: «Per l'Islam estremista il raís diventerebbe un martire — spiega —, è anche il suo obiettivo, forse si vorrà evitare che lo raggiunga». Ma la sua fine, rileva, «segnerebbe una svolta per il Medio Oriente». Secondo Pipes, un conservatore che ha appoggiato la guerra all'Iraq, la condanna sarebbe un motivo di riflessione: «Un'altra prova che dovunque nel mondo i dittatori pagano le atrocità, e che le democrazie tutelano i cittadini». Uno dei difensori del raís, l'americano Ramsey Clark, sostiene che questa è la giustizia dei vincitori. «Saddam Hussein si macchiò dei peggiori crimini di guerra e contro l'umanità, e deve risponderne. Meritava un processo come quello di Norimberga contro i leader nazisti, che espresse il giudizio di tutta la comunità internazionale, non solo dei vincitori. Ma non è stato possibile. In ogni caso, il tribunale di Bagdad non è made in Usa, è il tribunale di un Paese libero e democratico». Non riterrebbe equa una condanna all'ergastolo? «In maggioranza voi europei siete contrari alla pena di morte, ma noi non lo siamo, né lo sono gli arabi. C'è sempre un dilemma etico quando si emette una sentenza capitale. Lo Stato di diritto tuttavia applica le leggi, e quelle irachene sono chiare: viene giustiziato anche il singolo omicida, e il raís ha commesso gravi eccidi». Al Tribunale internazionale dell'Aia, Saddam Hussein non avrebbe rischiato la morte. «Non credo che gli iracheni avrebbero accettato il suo deferimento all'Aia. Furono le sue vittime, e in maggioranza reclamano giustizia. Fanno eccezione molti sunniti e baatisti, che dovettero a lui le loro fortune. Purtroppo, l'Iraq è minacciato dalla guerra civile, e l'esecuzione del raìs potrebbe innescarla». Per questo non esclude che l'esecuzione venga sospesa, anche se in Iraq non c'è potere di grazia? «Saddam Hussein ha chiesto di essere fucilato, non impiccato, per dimostrare che muore da soldato. È un modo di passare alla storia come martire della resistenza contro gli invasori americani, quindi d'incitare i seguaci alla rivolta. Presumo che sogni la rivincita postuma, la riabilitazione come patriota. Una questione politica delicata per il governo iracheno». C'è chi dice che la sentenza viene emessa adesso per aiutare il presidente Bush alle vostre elezioni congressuali. «Sciocchezze. Nonostante le sue pecche, il processo si è svolto e concluso regolarmente. La guerra all'Iraq, inoltre, purtroppo divide non unifica l'America. Non credo che se il despota fosse giustiziato oggi stesso qui qualcuno cambierebbe posizione». Lei approva ancora l'invasione dell'Iraq? Alcuni leader «neocon» hanno cambiato idea. «L'approvo ancora perché altrimenti Saddam Hussein avrebbe fatto altri massacri e altre guerre. Non scordiamo che causò un milione di morti nel solo conflitto di otto anni con l'Iran. È vero che non possedeva armi di sterminio, ma se le sarebbe di nuovo procurate, e le avrebbe adoperate. A mio parere, era più pericoloso dei terroristi e ha ragione il presidente Bush quando dice che il Medio Oriente sta meglio senza di lui, in carcere o morto». Non si poteva evitare questa guerra, che fu preventiva e offensiva, non difensiva? «Non sono d'accordo coi pacifisti, secondo cui non bisognerebbe mai combattere. Da vecchio storico, penso che taluni conflitti siano inevitabili. Che cosa sarebbe successo, per esempio, se non avessimo eliminato Hitler nella seconda Guerra Mondiale? Aveva già in mano l'Europa, la Russia e il Nord Africa. Dove si sarebbe fermato un Saddam con l'atomica?». Ma gli Usa contennero l'Urss per quasi mezzo secolo. Non potevano contenere anche il raís? «Tentammo di contenere l'Iraq negli anni Novanta, ma non funzionò. Quella dell'Urss fu un'eccezione, dovuta alla consapevolezza che l'impiego di armi nucleari avrebbe distrutto il mondo. Io ricordo che il presidente Reagan aveva l'incubo dell'olocausto atomico, doveva averlo anche il Cremlino».
Lo scrittore italiano Sandro Veronesi esprime invece un parere contrario:
«Se Saddam sarà ucciso, sarà un grave errore. Molto meglio sarebbe, per l'Iraq e per il mondo, dire: "Nessuno più di lui merita di morire. Ma siccome per l'Iraq è cominciata, con la sua caduta, una nuova era, allora lo lasciamo vivere"». Sull'opportunità che l'ex Raís venga giustiziato, il giudizio di Sandro Veronesi è netto. Nessuna sorpresa, peraltro: lo scrittore toscano, 47 anni, premio Strega 2006 con Caos Calmo, milita da anni nel fronte abolizionista, ha appena pubblicato per Bompiani Occhio per occhio, la pena di morte in quattro storie e ha sottoscritto circa tre settimane fa un appello a favore dell'ex dittatore di Bagdad patrocinato dall'associazione «Nessuno tocchi Caino». Va bene. Nessuno deve toccare Caino. Ma qui siamo di fronte a un dittatore sanguinario. E non è infrequente che una dittatura si concluda con la morte del tiranno. «Saddam merita la morte. Ma proprio per questo non bisogna ucciderlo. Perché la legge non deve uccidere. E perché per l'Iraq sarebbe un segno di pacificazione abolire la pena di morte». Anche in Italia la dittatura finì con la morte di Mussolini. Perché per l'Iraq il discorso dovrebbe essere diverso? «Perché Mussolini non fu ucciso sulla base di una sentenza del tribunale regolare. La sua morte fu un ultimo atto di guerra, non un primo atto di pace. E' assurdo che un periodo che si vorrebbe di pace inizi con la morte di una persona. A Norimberga però ci fu un tribunale regolare. Fu un errore anche giustiziare i gerarchi nazisti? «Bisogna considerare che all'epoca di Norimberga praticamente tutti i Paesi avevano la pena di morte, abolirla sembrava un'utopia. Oggi più di metà delle nazioni del mondo l'hanno abolita: oggi l'esito che ebbe Norimberga sarebbe sbagliato».
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