Da La REPUBBLICA del 2 novembre 2006, riportiamo un articolo di Alberto Stabile.
Sulle operazioni militari israeliane a Gaza Stabile opera una completa disinformazione.
Esse avvengono dopo mesi di aggressioni terroristiche palestinesi compiute la nciando razzi kassam, ma per il giornalista di REPUBBLICA è Israele ad aver "riaperto" il fronte di Gaza.
Ecco il testo:
GERUSALEMME - Non sono neanche trascorsi tre mesi dalla fine della guerra in Libano che una sequenza di segnali allarmanti sembra scuotere la fragile tregua. Ultimo, in ordine di tempo, e più grave per l´autorevolezza della fonte, la messa in guardia lanciata ieri dal portavoce della Casa Bianca Tony Snow, «sempre più preoccupata da prove crescenti che i governi di Siria e Iran, gli Hezbollah e i loro alleati libanesi stiano preparando i piani per rovesciare il governo democraticamente eletto del Libano guidato dal Primo Ministro Fuad Sinora».
L´obbiettivo di quello che non si potrebbe definire altrimenti che un complotto è, sostiene il collaboratore di Gorge W. Bush, il tentativo di evitare il processo ai responsabili dell´omicidio dell´ex premier libanese Rafik Hariri, ucciso da un autobomba il giorno di San Valentino del 2005. Omicidio del quale vengono sospettati esponenti di primo piano del regime di Damasco. Far cadere il governo Siniora significherebbe, in sostanza, impedire l´emanazione della legge che istituisce il tribunale Hariri. Ma, avverte la Casa Bianca, qualsiasi tentativo di sabotare il giudizio fallirà, «perché la comunità internazionale può procedere stabilendo il tribunale a prescindere da ciò che succede internamente in Libano».
E´ presto forse per affermare che dopo il fallito attacco israeliano contro gli Hezbollah, tra luglio ed agosto, già s´avvicina quel «secondo round» considerato da parecchi osservatori come inevitabile. E´ certo, però, che nelle ultime ore la «questione libanese» s´è improvvisamente riaccesa. Bisogna andare a Beirut dove da settimane è in atto un braccio di ferro tra gli Hezbollah e il premier Sinora sul futuro assetto politico del paese. Si sapeva sin dal primo giorno di tregua che il Partito di Dio e il suo leader politico, Al Sayyed Hassan Nasrallah, sull´onda della «vittoria divina» proclamata contro Israele, avrebbero rivendicato un maggior peso all´interno del governo in cui contano, assieme al movimento sciita filo siriano, Amal, cinque rappresentanti.
Ieri Nasrallah ha deciso di scoprire le carte con un intervista rilasciata nel cuore della notte alla Tv del partito, Al Manar. E quello che ha dettato Nasrallah, è né più né meno un ultimatum al premier Siniora, in quanto capo del governo ed esponente di punta della coalizione «14 Marzo». Quella formazione politica antisiraiana, composta da esponenti sunniti, maroniti e società civile che ha conquistato la maggioranza alle elezioni della primavera-estate del 2005.
Ciò che vuole Nasrallah è molto semplice. A conferma di una coincidenza d´interessi tra Damasco e Teheran, il leader dell´Hezbollah, ispirato e sostenuto dal regime degli ayatollah, vuole un governo d´unità nazionale in cui le forze filo-siriane assommino ad un terzo dell´esecutivo, così acquisendo il diritto di veto su quei provvedimenti che non ritengono confacenti ai loro obiettivi politici. E l´istituzione del Tribunale Hariri, visto l´appoggio mai negato da Amal ed Hezbollah alla Siria, potrebbe essere fra questi.
Da qui l´ultimatum di Nasrallah: se il negoziato politico non poterà alla conclusione da lui auspicata, cioè al governo di unità nazionale, «allora le forze di opposizione scenderanno nelle strade e l´obiettivo della protesta sarà quello delle nuove elezioni». Un ultimatum, quello di Nasrallah, che il leader druso, Walid Jumblatt, ha etichettato come «una minaccia pericolosa».
E´ come se, improvvisamente, ma anche inevitabilmente, sia esploso il contrasto latente tra due visioni politiche contrapposte. Da un lato quella moderata e filo occidentale del premier Sinora, il quale apertamente rivendica d´aver salvato il Libano «dall´aggressione israeliana» con le armi della diplomazia, ma tacitamente accusa Hezbollah d´aver precipitato il paese in una guerra non necessaria. Dall´altra la filosofia estrema di Nasrallah, tutta incentrata sulla «resistenza contro l´occupazione israeliana», sul rifiuto di ogni compromesso e su un non taciuto sentimento anti americano.
Dal quadro che si va delineando, «preoccupante», anche secondo l´inviato dell´Onu in Medio Oriente Terje Roed-Larsen, Israele trae conferme al proprio scetticismo nei confronti della risoluzione 1701, che ha portato alla tregua, e alla possibilità che venga correttamente applicata. Il punto maggiormente in questione è il sospetto che armi dirette agli Hezbollah continuino ad essere contrabbandate attraverso il confine siriano. Sospetto che, a giudizio del governo israeliano, giustifica le continue violazione dello spazio territoriale libanese da pare dei propri aerei. Sarebbe l´incapacità del governo libanese ad adempiere ai propri obblighi imposti dall´accordo di tregua, ha avvertito il portavoce del ministero degli Esteri, Mark Regev, a mettere Israele nella condizione di poter «riconsiderare» i suoi impegni derivanti dalla risoluzione 1701.
Ieri, però, Israele non ha esitato a riaprire il cosiddetto secondo fronte, quello di Gaza, che dalla fine di giugno procede parallelamente al fronte libanese, lanciando una massiccia operazione militare contro la cittadina di Beit Hanun, dai cui paraggi vengono lanciati i missili kassam. Otto palestinesi, fra cui almeno cinque miliziani, e un soldato israeliano sono morti negli scontri.
Analoga disinformazione si trova nell'articolo di Paola Caridi pubblicato dal RIFORMISTA dove si sostiene che "da tempo l'esercito israeliano stava premendo per ampliare la pressione militare sulla Striscia di Gaza", senza collegare queste "pressioni" dell'esercito alla minaccia dei razzi kassam e soprattutto al riarmo di Hamas, dotatasi di armi anticarro, che ovviamente rendeva consigliabile anticipare i tempi di un'operazione che comunque l'aggressione contro le città israeliane avrebbe prima o poi reso necessaria.
Particolarmente fuorviante risulta il titolo"Tsahal lancia un'offensiva su Gaza Piovono razzi sulla città di Sderot", dal quale i razzi sparati contro Israele risultano essere l'effetto e non la causa dell'offensiva di Tsahal
Ecco il testo:
Gerusalemme. L'attacco era nell'aria da giorni. Da quando era apparso chiaro che l'esercito israeliano stava premendo per ampliare la pressione militare sulla Striscia di Gaza, attorno alla quale - peraltro - non è mai finito l'assedio iniziato il 25 giugno dopo il rapimento del caporale Gilad Shalit. Semmai, si poteva immaginare che l'attacco in grande stile sarebbe arrivato a sud, verso Rafah, visto che i vertici di Tsahal avevano in questi ultimi giorni chiesto a gran voce di riprendere il controllo della cosiddetta Philadelphi Route che corre lungo il confine con l'Egitto. Obiettivo: bloccare i vari tipi di contrabbando lungo una frontiera che è sì porosa, ma in cui non riesce a funzionare regolarmente un varco “legale” come quello di Rafah, sotto la supervisione internazionale degli osservatori dell'Unione europea.
L'operazione condotta ieri dall'esercito israeliano, invece, si è concentrata a nord. A Beit Hanoun, cittadina che da anni è al centro dello scontro tra i gruppi armati di Gaza che tirano razzi verso il Negev, e l'esercito israeliano che non riesce a fermare il lancio degli artigianali Qassam, diretti soprattutto verso la città di Amir Peretz, Sderot. Un'operazione dura, una delle più consistenti in questa estate segnata dal fronte aperto (e dimenticato) di Gaza, nonostante il governo israeliano abbia poi precisato di non voler rioccupare la Striscia ma di voler concentrarsi su operazioni come quella di ieri. Tre raid aerei, poi la fanteria appoggiata da una sessantina di carriarmati e blindati che hanno circondato Beit Hanoun e, secondo le fonti palestinesi, si sono spinti fino a Jabalya e Beit Lahya. Il bilancio parziale parla di otto palestinesi, in gran parte miliziani, uccisi, e di un soldato di Tsahal morto. I feriti tra i palestinesi supererebbero la cinquantina, vittime di scontri a fuoco pesanti, in cui i gruppi armati hanno risposto all'artiglieria israeliana usando anche razzi anticarro.
Se l'attacco in larga scala di Tsahal a Beit Hanoun aveva come obiettivo il blocco dei lanci di Qassam, il risultato non è stato raggiunto. Nel pomeriggio, a Sderot sono piovuti ben sette razzi, per fortuna senza provocare vittime. C'è però un altro obiettivo, dichiarato dal governo di Tel Aviv, dietro all'operazione, secondo il comunicato finale del gabinetto di guerra riunitosi ieri mattina alla presenza, per la prima volta, del neoministro per gli affari strategici, l'ultranazionalista Avigdor Lieberman, che aveva chiesto di usare a Gaza gli stessi metodi che i russi usano in Cecenia. «Aumentare la pressione su Hamas e autorizzare passi che possano consentire ai partiti responsabili nell'Anp, che non fanno parte del governo Hamas, di mettere in pratica la loro influenza», questo uno degli scopi descritti nel comunicato. Che conferma le notizie di questi ultimi giorni, rilanciate soprattutto da parte americana, secondo le quali Washington starebbe sostenendo gruppi come Forza 17, il nucleo della guardia presidenziale di Mahmoud Abbas, per rendere più consistente il potenziale militare di Fatah contro Hamas.
Non è un segreto, ma è anzi vox populi, che in molti si attendano per le strade non solo di Gaza, ma anche della Cisgiordania, uno scontro armato tra Fatah e Hamas all'indomani di una tregua de facto come il mese sacro del ramadan e la successiva festa di Eid el Fitr. Uno scontro che molti paventano potrebbe raggiungere il livello di guardia e precipitare nella guerra civile. L'intensificazione delle operazioni israeliane dentro la Striscia aumenta la tensione e il caos, certo. Ma è anche la confusa situazione politica interna e le forti pressioni americane su Abbas e Fatah a rendere il quadro molto delicato. Pochissimi sanno, ad esempio, come stia veramente andando il negoziato ancora in corso sul caso del caporale Shalit. Una trattativa che è di nuovo tornata agli onori della cronaca proprio due giorni fa, quando è arrivata al Cairo una delegazione di alto livello di Hamas all'estero. Mentre ieri, da Gaza, si è detto chiaro e tondo che l'operazione di Beit Hanoun non migliora il lavorio dietro le quinte che parla della liberazione di Shalit in cambio dell'uscita dalle prigioni israeliane di circa mille palestinesi, compresi quelli che hanno trascorso in carcere lunghe pene detentive.
Il MESSAGGERO pubblica un articolo di Eric Salerno, nel quale si sostiene che lo scopo dell'operazione israeliana sarebbe, come recita anche il titolo "eliminare i militanti di Hamas" (oltre che della Jihad e delle altre "formazioni").
Lo scopo di Israele è in realtà fermare i lanci di razzi kassam.
Per altro, eliminare i terroristi di Hamas, della Jihad islamica e della Brigate Al Aqsa sarebbe anch'esso un obiettivo legittimo, ma l'uso del termine "militanti" confonde deliberatamente il giudizio morale del lettore facendo passareTsahal per una specie di "squadra della morte" da dittatura militare sudamericana, dedita all'omicidio politico
Salerno , come Michele Giorgio sul MANIFESTO , specula anche su una frase di Avigdor Lieberman , che in una riunione di governo ha detto che gli israeliani dovrebbero agire a Gaza come i russi in Cecenia.
Ecco cosa scrive in proposito Davide Frattini sul CORRIERE della SERA:
Il leader del partito «russo» di estrema destra ha poi precisato in tv: «Voglio dire che non bisogna abbattere il governo di Hamas, fino a quando non sappiamo con chi sostituirlo. In Cecenia i russi hanno individuato subito forze locali che potessero controllare la situazione».
Questa informazione, che dà il vero senso delle parole del ministro israeliano, manca totalmente nell'articolo di Giorgio e in quello di Salerno. Quest'ultimo evoca invece "bombardamenti a tappeto", " repressione attuata nei confronti della popolazione civile" , "tortura e stragi".
La disinformazione è completata da una semplicistica etichetta. Lieberman è identificato come "il razzista Lieberman".
Anche il SOLE 24 ORE disinforma, con un articolo intitolato "Raid israeliano a Gaza, nove morti" L'occhiello recita "Ha perso la vita anche un soldato israeliano- I vertici palestinesi: "Un massacro"
Nel testo i terroristi sono "militanti" e i lanci di razzi kassam precedenti all'operazione israeliana a compaiono solo quando il giornalista riferisce di una "precisazione" del portavoce militare israeliano, non come fatti accertati e indiscutibili (quali sono)
"Pugno di ferro" israeliano su Gaza titola AVVENIRE Il sottotitolo è: "Otto, forse 10 i morti nei raid all’alba. Abu Mazen: basta massacri Lieberman: «Agire nella Striscia come la Russia fa in in Cecenia»Tank nella zona di Rafah, a Sud, e raid a Nord su Beit Hanun Il governo Olmert «si riserva» altre massicce incursioni".
Nemmeno nel testo i terroristi vengono chamati con il loro nome. Si tratta semplicemente di "persone" uccise da Israele.
Nell'articolo si legge anche che "secondo fonti palestinesi" la maggior parte dei feriti sarebbero civili.
Ma Ha'aretz cita fonti della sicurezza palestinese che affermano esattamente il contrario: la maggior parte dei feriti sono "uomini armati".
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