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Hannah Arendt Esistenza e libertà, autentitcità e politica – Paolo Flores d’Arcais Casa Editrice: Fazi Euro 16,50 “Fu immediatamente una presenza eccezionale” evocò sconvolto, durante il rito funebre per Hannah Arendt, l’amico filosofo Hans Jonas.La ricordava giovane, negli anni universitari, quando si erano conosciuti a un seminario di Martin Heidegger, che di Hannah era stato amante, ma soprattutto maestro riverito per l’intera esistenza. “Timida e chiusa, dai lineamenti di straordinaria bellezza, dagli occhi pieni di solitudine….con un’assoluta determinazione a essere sé stessa”. Era il 1975, dicembre, Hannah Arendt moriva a New York, dove si era rifugiata tanti anni prima sfuggendo il nazismo, fra il cordoglio inconsolabile degli amici di una vita, la sua “tribù”, fatta di ebrei come lei e di gentili, di americani e di tedeschi emigrati. Aveva 69 anni essendo nata, in provincia di Hannover, il 14 ottobre 1906. Quella determinazione “a essere se stessa” l’aveva portata ad affermare idee spesso scomode, in polemica con la sua gente (La banalità del male), a sfuggire facili etichette (destra, sinistra, conservatrice, rivoluzionaria), a segnalare al mondo diviso nella guerra fredda che non solo il nazismo era stato una dittatura totalitaria, ma anche lo stalinismo (Le origini del totalitarismo). Il centenario della nascita è un’occasione per conoscerla e amarla, cominciando dal fascino della sua personalità, che la celebre biografia “Per amore del mondo” della sua allieva Elisabeth Young.Bruehl (ora riedita da Bollati e Boringhieri) illustra in innumerevoli aneddoti. C’è poi stato recentemente l’acuto studio di Julia Kristeva, sospeso fra vita sentimentale e impegno sociale e letterario, La vita, le opere (Donzelli) mentre dalla Fazi è uscito “Hannah Arendt. Esistenza e libertà, autenticità e politica, di Paolo Flores d’Arcais, direttore di Micromega (nell’ultimo numero è ospitata una tavola rotonda sulla filosofa tedesca), che riunendo i suoi studi su Arendt dall’85 analizza la grande attualità di questo pensiero. Dice Flores d’Arcais: “Sono attualissime la sua analisi e la sua contestazione dell’establishment. La sua critica alla politica come professione, allo scollamento di questo modo di far politica dalla realtà dei comuni cittadini. Il suo attacco al conformismo (di destra e di sinistra) in cui individua il pericolo della perdita dell’autonomia di giudizio e quindi della libertà. Il suo autentico impegno etico e morale”. Di quell’impegno colpisce il coraggio nel correre il rischio dell’impopolarità pur di sostenere le proprie idee, un pagare di persona in nome di quell’”azione” (Vita activa) che riscatta l’uomo dalla sua condizione di dipendenza, dandogli una chance di salvezza tutta terrena. C’è qualcosa di radicale e intimamente femminile nelle prese di posizione di Arendt che non lascia indifferenti, un’identità fra pensiero e destino che rende più forte ogni parola da lei scritta. Chissà se si deve a questo elemento “femminile” il fatto che “il pensiero arendtiano non lascia in eredità rigide contrapposizioni”, come osserva Laura Boella nell’introduzione a “L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing”, di Hannah Arendt, ora tradotto dalla Raffaello Cortina. Per Lores d’Arcais è evidente il parallelismo fra l’anticomunismo degli anni 50 o la guerra in Vietnam e l’atteggiamento verso il terrorismo dopo l’attentato alle Torri gemelle. “Ancora una volta” dice “s’individua un nemico per restringere le libertà e giustificare la menzogna”. Era proprio ciò che la Arendt temeva di più e che fa sembrare “scritte oggi” tante sue tesi. Se il suo pensiero politico e quello filosofico (La vita della mente) sono stati studiati, a completare il profilo di una così ricca personalità ci sono anche la meno nota attività poetica e la cultura sterminata che fece dire spiritosamente all’amico e corteggiatore (respinto) lo scrittore ebreo viennese Hermann Broch: “Non si dovrebbe permettere a nessuno di sapere tante cose”! Sandra Petrignani Panorama |
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