Chiesta l'espulsione dall'albo dei giornalisti di Renato Farina un attacco alla libertà di stampa
Testata: Il Foglio Data: 31 ottobre 2006 Pagina: 1 Autore: Giuliano Ferrara Titolo: «La spia, il giornalista, la libertà»
Dal FOGLIO del 31 ottobre 2006:
Renato Farina, inviato di Libero, ha fatto la spia. La spia è la figura professionale più vicina in natura, e nella cultura, a quella del giornalista. Fare il giornalista non è moralmente commendevole, almeno secondo grandi scrittori e letterati muniti di un prestigio notevolmente superiore a quello di coloro cui viene di tanto in tanto comminato un Nobel (Balzac, per esempio, o James o Kraus). Fare la spia è proverbialmente cosa da cattivo ragazzo, chi-fa-la-spia-nonè- figlio-di-Maria. Però anche George Orwell, scrittore più asciutto di Farina, faceva la spia contro i comunisti durante la Guerra fredda, e gli vogliamo pur sempre tutti bene. “Animal Farm” l’ha scritto lui. Sotto il profilo legale, ciò che ha fatto Farina riguarda i suoi avvocati e il suo giudice naturale in tre gradi di giudizio. Auguri all’indagato, e al senso di giustizia dei suoi giudici. Sotto il profilo deontologico, che è poi la legalità specifica di un albo professionale, quello dei giornalisti, la norma dice che il comportamento di Farina è censurabile, ed è stato censurato con una sospensione temporanea dalla professione, decisione eccepibile – nella logica che stiamo per esporre – ma tutto sommato compromissoria, diciamo prudente. Della massima imprudenza è invece responsabile il sostituto procuratore generale di Milano, che ha raccolto una supplica impudente del sindacato dei giornalisti e ha impugnato la decisione dell’Ordine professionale che ha sospeso Farina, chiedendo che venga cacciato definitivamente dall’Albo e destituito dunque della possibilità di continuare a fare il giornalista per tutta la vita. Qui non c’è da eccepire, c’è da protestare virilmente e seriamente, senza indulgere a quel piagnisteo gnoccolone che fin qui si è visto, anche da parte dei suoi amici e di lui stesso, intorno a Farina. Farina e chiunque di noi scrive sui giornali per due motivi, uno dei quali è il più importante. Il motivo più importante è l’articolo 21 della Costituzione, che protegge la libertà di espressione. Quello meno importante è la legge istitutiva dell’Ordine, che organizza la professione e ne stabilisce i termini, anche deontologici. La libertà di stampa non si esprime quintessenzialmente nella deontologia e cioè nei doveri del giornalista, ma nella libertà di pubblicare giornali diversi, liberi di parteggiare chiaramente per diversi interessi in campo, per diverse idee in gioco. Un giornalista ligio è commendevole, un giornalista libero è utile. Se io volessi fare un giornale per sostenere le ragioni del Sismi nella guerra al terrorismo, e per difendere gli apparati di sicurezza da coloro che giudico loro nemici, dovrei essere autorizzato a farlo. In fondo, la collezione di Libero in cui compaiono gli articoli di Farina per i quali è stato censurato il suo rapporto stretto e pagato con la fonte spionistica sono questo: un giornale dalla parte del Sismi e del suo vertice oggi periclitante, che per cinque anni ha dato seriamente la caccia ai terroristi, ha protetto le nostre truppe in Iraq (italiani, inglesi, americani) e ha liberato giornaliste e operatrici umanitarie cadute nelle mani di islamisti violenti. Lo stesso vale per chi voglia fare un giornale dalla parte della Digos e della procura di Milano che attacca gli “illegalismi” del Sismi in nome dell’obbligatorietà dell’azione penale, contro un debole segreto di stato; e qui è evidente che, su un piano deontologicamente e legalmente inappuntabile, Repubblica ha giocato pesantemente una sua partita legittima, politica ed editoriale, parteggiando con chiarezza contro il generale Pollari e a favore del dottor Spataro e del prefetto De Gennaro (todos caballeros, si parla di campagne giornalistiche). Si vorrebbe che queste battaglie fossero un po’ più esplicite da ogni parte, e che il lettore venisse messo in grado di sapere più chiaramente di quanto non avvenga che il suo giornale, in un caso e nell’altro, è sì vestale dell’opinione pubblica, è sì al di sopra delle parti, è sì al servizio della verità, ma fino a un certo punto. Perché la libertà di espressione e la verità non coincidono. Anzi, dove c’è libertà di espressione, in genere ci sono più verità. Non siamo una cultura relativista? Non siamo una democrazia? P.Q.M., per questi motivi, ci sembra imbarazzante e censurabile l’idea che un giornalista sia imbavagliato a vita, con la scusa incrociata della legalità e della deontologia, per avere, in modo stilisticamente discutibile e con molti gravi errori di fatto, militato dalla parte di un pezzo dello stato (Sismi) e contro un altro pezzo dello stato (Digos e procura di Milano). Direte: ma allora come facciamo a riconoscere un giornalista che si nutre delle fonti da una spia che si nutre attraverso le fonti? Bè, leggete. Chi ha detto che il lettore non debba fare uno sforzo di comprensione? Meglio quello che essere presi per mano come bambini. Eppoi c’è sempre qualche giornale che si incarica senza boria, per libertà e per sfizio, di dire tutta la cinica, grigia e anche sporca verità, o quasi tutta. Questo che leggete, per esempio, che non parla mai a nome del lettore anche e soprattutto per rispetto del lettore. Con un caro saluto al nostro amico Pio Pompa, che è stato per noi una buona fonte, di cui né lui né noi ci dovremo mai vergognare, e ai redattori confratelli di Repubblica che hanno anche loro compiuto il peccato veniale, e più che veniale, di passargli i pezzi di D’Avanzo e Bonini in anticipo. Farina kaputt? Farina solitario all’ergastolo? Ma fateci il piacere.
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