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La Stampa Rassegna Stampa
28.10.2006 Ancora una tribuna per Tariq Ramadan
sul supplemento culturale del quotidiano torinese

Testata: La Stampa
Data: 28 ottobre 2006
Pagina: 1
Autore: Tariq Ramadan
Titolo: «Corano e Occidente giù il velo»
Se in passato l'islam ha visto nella questione dei diritti femminili il principale tererreno di "resistenza all'occidentalizzazione" (ovvero se ha pensato che continuare a negare i diritti femminili e la aprità uomo-donna fosse un modo di rsistere all' "imperialismo culturale" occidentale) oggi si colgono segnali positivi.
Per esempio quelli provenienti... dall'Iran.
Paese dove le adultere vengono lapidate, dove le vittime di violenze sessuali vengono considerate adultere e le "malvelate" vengono incarcerate.
Basterebbe questa fiducia nel "femminsmo" emergente nella Repubblica islamica di Iran a mettere in discussione l'onestà dell'intellettuale islamista ( antisemita) Tariq Ramadan.
Tuttolibri del 28 ottobre 2006 di dubbi però non ne nutre, e pubblica senza una parola di avvertimento l'anticipazione della relazione che Ramadan terrà al Salone del Libro storico di Roma.

Da parte nostra ricordiamo ancora una volta che Ramadan, la cui avversione ideologica verso l'Occidente è del resto evidente anche dal testo pubblicato dal  supplemento culturale  della STAMPA , teorizza e pratica la dissimulazione al fine di meglio promuovere in Europa e nel mondo  un' agenda politica fondamentalista (vedi in proposito  
La sinistra francese scopre il vero volto di Tariq Ramadan )
I suoi scritti e le sue parole non mirano a un reale confronto, ma a una manipolazione propagandistica dell'opinione pubblica.
Ecco il testo:


Se ne parla molto dall'11 settembre 2001, ma la presa di coscienza risale già a una decina d'anni fa. Le sfide che sono oggi di fronte al mondo islamico in generale, e ai musulmani d'Occidente in particolare, impongono una riflessione fondamentale sull'Islam in quanto religione e in quanto sistema di riferimento.
Il mondo musulmano attraversa una reale crisi di rinnovamento intellettuale e di progetto socio-politico. La sola opposizione all'Occidente e/o all'occidentalizzazione non è sufficiente a costruire un'alternativa. S'impone dunque una riforma, e in profondità. Una celebre tradizione profetica (hadith) riferisce: «Ogni secolo Dio invierà a questa comunità (islamica) qualcuno (un uomo o un gruppo) che ravviverà la religione». Tra i sapienti musulmani, sia sunniti che sciiti, questo rinnovamento non ha mai significato una messa in questione dell'affidabilità delle scritture fondamentali - Corano e tradizioni profetiche - ma una rilettura legata al radicamento degli esseri umani nella storia e alla naturale trasformazione politica e culturale delle società.
Le tendenze tradizionaliste, letteraliste o totalmente politicizzate operano come minoranze attive e diffondono l'idea che tutti i progetti di riforma siano in realtà una «occidentalizzazione», una perdita d'identità, e quindi un tradimento. Le tensioni interne sono profonde e il dialogo intra-comunitario praticamente inesistente. In tempi di crisi, il discorso - fortemente diffuso e finanziato dagli stati del Golfo - che invita al ripiegamento identitario e alla concentrazione sul rituale e i limiti (lecito, illecito; halal, haram) è molto efficace, come si può vedere in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Occidente. Se si aggiunge che la quasi totalità dei musulmani fa esperienza della dittatura, della discriminazione o della marginalizzazione (in Europa o negli Stati Uniti), si capiscono meglio le ragioni della tentazione a ritrarsi nel cuore di una tradizione islamica statica e percepita come protettrice.
Dovunque i musulmani si siano istallati storicamente, sia in Africa o in Asia, il carattere universale dei principi tratti dal Corano ha permesso loro di integrare la cultura locale come un elemento della propria identità. Oggi noi assistiamo al fenomeno esattamente inverso: spaventati da un'occidentalizzazione prepotente, l'attaccamento pauroso alle culture nazionali o locali imprigiona le intelligenze e impedisce di ritrovare un nuovo dinamismo alla luce dei principi islamici globali. (...)
I due esempi più significativi sono, tra gli altri, l'evoluzione del pensiero musulmano sulla democrazia e la cittadinanza da una parte e la condizione femminile dall'altra. Gli antichi dibattiti sul concetto di «democrazia», le modalità di gestione del pluralismo, lo statuto dei «non musulmani» (ahl adh-dhimmi) nelle società islamiche si è molto evoluto. La maggioranza delle correnti di pensiero oppone, quasi naturalmente, il modello della democrazia occidentale ai principi islamici, portando a credere che si sia di fronte a un'incompatibilità di sostanza e di fatto. Il lavoro degli ulema e degli intellettuali contemporanei è consistito nel cambiare i termini del dibattito e a comparare i principi, anziché opporsi a modelli storici. La rilettura delle fonti ha permesso uno sganciamento dalle convergenze intellettuali passate, fino a promuovere l'idea di una cittadinanza ugualitaria tra tutti i membri di una comunità, indipendentemente dalla confessione. La proposta è nuova, utilizza il concetto di cittadinanza - fino ad allora assente dalla terminologia islamica classica - e la maggior parte degli intellettuali non temono di parlare di «democrazia», riferendosi ai principi di gestione del pluralismo e lasciando aperta la questione del modello che potrà prendere una forma o un'altra in funzione del paese, della sua storia o delle scelte della sua popolazione.
Per lungo tempo il principale bastione della resistenza all'occidentalizzazione è stata la questione della condizione delle donne, ed è ancora così in alcuni paesi o all'interno delle correnti di pensiero più tradizionaliste e letteraliste.
Uno studio delle dinamiche mostra tuttavia evoluzioni fondamentali. L'esempio iraniano, con una partecipazione sempre più importante delle donne nello sforzo di rilettura dei testi e nell'impegno politico, non è il solo. Nelle società storicamente più influenzate dalle culture tradizionali, come il Pakistan o l'Indonesia, sempre più donne sono presenti nelle associazioni islamiche, sulla scena pubblica, a livello dell'insegnamento, dell'azione sociale e del dibattito politico. (..).
I dibattiti in Marocco, in Egitto, in Malesia, in Arabia Saudita, in Qatar e Bahrein sono espressioni nuove di un processo in marcia, qualunque siano le ricadute immediate - e non sempre favorevoli - dei rapporti di forza presenti oggi. Negli Stati Uniti e in Europa uomini e donne si interrogano direttamente sull'eredità classica e sul senso delle risposte islamiche tradizionali. Non si tratta, per queste donne, di opporsi all'islam e di rifiutarne l'insegnamento, al contrario, molte di loro spiegano la loro resistenza e la loro battaglia contro le discriminazioni nel e per l'Islam. Associazioni e collettivi di donne si sono costituiti in Germania, Francia, Gran Bretagna, Usa e persino in Sud Africa, per affermare allo stesso tempo la fedeltà all'islam e l'opposizione alle discriminazioni nella società, troppo spesso attribuita alla religione. Questo fenomeno è interessante e testimonia una realtà nuova: le riflessioni dei musulmani d'Occidente, nel cuore delle società industrializzate e delle loro numerose carenze sociali, economiche e etiche, hanno sempre più influenza sul mondo islamico. Di fatto, ciò che si chiama «re-islamizzazione dei giovani» in Occidente, spesso in funzione peggiorativa o come espressione di un potenziale pericolo, sta mettendo in moto, al contrario, un processo di riforme in seno all'islam che ridefinisce le modalità di schiudimento dell'«essere musulmano» nell'epoca moderna.

lettere@lastampa.it

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