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Il Foglio Rassegna Stampa
28.10.2006 I cristiani evangelici che sostengono Israele, l'apostata dell'islam che critica la cecità degli umanisti multiculturalisti
articoli di Rolla Scolari e Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 28 ottobre 2006
Pagina: 3
Autore: Rolla Scolari - Giulio Meotti
Titolo: «Gli amici ritrovati - L'apostata devoto»
Dal FOGLIO del 28 ottobre 2006, un articolo di Rolla Scolari sul sostegno delle chiese evangeliche a Israele:

Che cosa hanno in comune un ebreo liberal di New York e un “born again christian” del Tennessee bisogna chiederlo a Yechiel Eckstein, rabbino ortodosso, democratico, che ogni anno raccoglie quaranta milioni di dollari in favore di cause ebraiche da donatori degli stati più rossi e conservatori d’America: direttamente dalle mani dei fedeli evangelici. Eckstein è il presidente dell’International Fellowship of Christians and Jews (Ifcj) che dal 1983, grazie alle donazioni di ebrei ed evangelici, raccoglie fondi per favorire l’immigrazione ebraica in Israele. Dal 1994, cinquecentomila cristiani americani (evangelici) hanno fatto donazioni alla sua associazione, aiutandolo a portare in Israele trecentomila ebrei e permettendo loro di fare “aliyah”, in ebraico “ascesa”, termine che indica l’immigrazione degli ebrei verso Israele e l’ottenimento della nazionalità. A inizio ottobre, l’Ambasciata cristiana internazionale di Gerusalemme, che rappresenta gli evangelici di 125 paesi, considerata la maggior organizzazione cristiano-sionista, ha annunciato di aver favorito dal 1989 l’immigrazione in Israele di centomila ebrei. Finanziata con donazioni di cristiani evangelici. Il 10 ottobre, durante l’annuale marcia di Gerusalemme, cui partecipano diverse componenti della società israeliana, il gruppo più numeroso era quello dei pellegrini evangelici in arrivo da tutto il mondo per la celebrazione della settimana della festa biblica dei Tabernacoli. E’ iniziata il 7 ottobre e ha attirato a Gerusalemme circa quattromila pellegrini. Meno rispetto agli anni passati, a causa della recente guerra al confine con il Libano. Hanno portato 15 milioni di dollari nelle casse dello stato, che ha sofferto, sempre per il conflitto estivo, di una caduta del 40 per cento nel numero dei turisti. Eckstein ha speso trent’anni a costruire ponti tra evangelici ed ebrei. “Il rabbino che amava gli evangelici (e viceversa)”. Così titolava più di un anno fa il New York Times Magazine un lungo articolo di Zev Chafets, che alla questione sta dedicando un libro che uscirà a gennaio (“A Match Made in Heaven: American Jews, Christian Zionists, and One Man’s Exploration of the Weird and Wonderful Judeo- Evangelical Alliance”). Spiega Eckstein che gli evangelici negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni sono diventati più numerosi, più politici e soprattutto più importanti. Spiega come, sempre negli ultimi anni, la comunità ebraica americana abbia visto arrivare i più vibranti attacchi a Israele proprio dalla sinistra liberal cui tradizionalmente appartiene. “Israele e gli ebrei americani – dice Eckstein – si sono trovati più isolati e lontani dagli antichi alleati liberal. E’ aumentato il bisogno di trovarne di nuovi. All’improvviso hanno cominciato a notare il gruppo in crescita, di cui fa parte lo stesso presidente George W. Bush, che si definisce un born again christian”. Nel pamphlet dell’Ifcj, in cui si spiega chi sono gli evangelici, c’è scritto: “Gli evangelici credono che la fede in Gesù non sia un diritto di nascita o qualcosa conferito dalla chiesa. E’ una decisione che un individuo deve prendere per se stesso. Per questo, essi sottolineano l’importanza di un atto di accettazione di Gesù come loro salvatore personale, un atto conscio, intenzionale, che porta il credente a rinascere (born again, per l’appunto, ndr) a una nuova vita in Gesù”. Eckstein, dalla sala conferenze del nuovo ufficio di Gerusalemme, racconta al Foglio la sua storia sgranocchiando senza sosta noccioline. E’ giovane, sorridente, guadagna trecentomila dollari l’anno. Ha iniziato nel retro di un ufficio di avvocati. Non aveva una lira e nessuno gli dava fiducia. Nel 1977, quando lavorava all’Anti-Defamation League, fu mandato a sostenere la comunità locale di Skokie, sobborgo di Chicago, dove un gruppo nazista minacciava di organizzare una marcia. Il quartiere era popolato soprattutto da sopravvissuti all’Olocausto. Ad aiutarlo furono gli evangelici. Fu lì che scoprì il loro lato a favore di Israele e degli ebrei. “La comunità ebraica americana negli ultimi trent’anni – dice – sente che Israele è minacciato; che l’antisemitismo è in crescita. Ha bisogno di amici. Quando guarda a sinistra trova attacchi, a destra appoggio. Quindi si chiede: è più importante la sopravvivenza d’Israele o l’aborto e i diritti degli omosessuali?”. La risposta, secondo Eckstein, è Israele, “considerata da ogni ebreo la chiave per la propria sopravvivenza”, nonostante per anni la maggioranza liberal degli ebrei abbia guardato alla crescita degli evangelici, tradizionalmente conservatori e repubblicani, con sospetto. Zev Chafets non è d’accordo. Secondo lui, la metà degli ebrei americani non è interessata a Israele: “La questione che polarizzerà di più il voto ebraico è l’aborto. Le donne ebree in America sono le maggiori sostenitrici della libera scelta”. Poi c’è stato l’11 settembre. “Dopo quel giorno – dice Eckstein – è diventato chiaro che gli ebrei erano di fronte a una minaccia esistenziale, che l’antisemitismo nel mondo non era mai stato così alto dagli anni Trenta, che il terrorismo era in aumento”. Ciò ha portato all’intensificarsi dei legami tra ebrei ed evangelici americani, “contro l’islam radicale, per salvare le fondamenta della libertà e della democrazia”, spiega Eckstein, su questo d’accordo con Chafets, secondo il quale molti ebrei americani hanno un nemico in comune con gli evangelici dopo l’11 settembre. Eckstein si era definito “un moderato alla Lieberman”. Nel 2000 ha votato Al Gore e Joe Lieberman, ma nel 2004 è il “born again christian” Bush che ha ricevuto il suo voto. Non è soltanto perché gli evangelici credono nella lotta all’islam radicale e nelle fondamenta della libertà americana che hanno formato una alleanza con Israele, percepito come avamposto della democrazia in medio oriente. E’ la loro interpretazione letterale della Bibbia a costituire la base dell’amicizia. Scrive il libro della Genesi, capitolo 12, versetto 3: “E io benedirò quelli che vi benedicono e maledirò quelli che vi maledicono”, dove “io” è Dio e “vi” il popolo ebraico. Il ritorno degli ebrei in Israele è per gli evangelici un segno che il Messia sta per tornare, che la profezia di migliaia di anni fa si sta avverando. Così, infatti, leggono la nascita dello stato d’Israele e l’immigrazione degli ebrei. Il boom, infatti, Eckstein lo fa con la caduta dell’ex Unione sovietica. Negli anni Novanta, racconta, “vennero da me molti evangelici che volevano essere parte del miracolo: gli ebrei immigravano in massa dall’ex Urss verso Israele”. Con i primi soldi raccolti, Eckstein organizza un programma televisivo di trenta minuti “On wings of eagles”, su ali d’aquila, dal verso biblico: “Avete visto ciò che ho fatto agli egiziani e come vi ho portato su ali d’aquila e vi ho condotto a me” (Esodo 19:4). Sullo schermo, a care di assicurare il sostegno cristiano, Pat Boone, popolare rock star degli anni Cinquanta e fervente evangelico. I soldi cominciarono ad affluire senza sosta. Dopo gli ebrei russi fu la volta degli etiopi. Ora l’associazione non soltanto porta nuovi ebrei in Israele, ma assiste anche quelli rimasti indietro; quelli cha arrivano e non hanno casa, lavoro, non parlano la lingua; oppure mette a disposizione fondi in casi d’emergenza come durante la guerra in Libano. A molti ebrei ortodossi non piace la promiscuità di Eckstein con i cristiani. Alcuni considerano un peccato il solo fatto di entrare in una chiesa. E’ stato accusato di essere un convertito. Anni fa, alcuni rabbini di New York misero su un tribunale per processarlo con l’accusa di “insegnare la Torah ai gentili”; una pubblicazione ultraortodossa, ricorda il New York Times Magazine, ha definito il suo lavoro “una maledizione”. Abraham Foxman, direttore nazionale dell’Anti Defamation League, lo ha attaccato dicendo che “svende la dignità del popolo ebraico”. Agli ebrei liberal non interessa la sua relazione con i cristiani: sono infastiditi dalla sua promiscuità con i repubblicani. Per molti, gli evangelici non sono altro che fanatici. Altri guardano con sospetto alla profezia evangelica della “fine dei tempi”, quando secondo l’Apocalisse tornerà il Cristo e gli ebrei si convertiranno. Eckstein lavora a stretto contatto con l’Agenzia ebraica, organizzazione che si occupa dell’immigrazione degli ebrei in Israele. Il portavoce Michael Jankelowitz conferma la continua cooperazione e l’apporto annuale di quasi dieci milioni di dollari da parte degli evangelici di tutto il mondo alle casse dell’organizzazione. Negli stessi anni in cui iniziava l’avventura di Eckstein, prendeva piede anche l’attività dell’ambasciata cristiana internazionale di Gerusalemme. “Abbiamo aiutato uno su dieci del milione di ebrei che sono immigrati in Israele dall’ex Unione Sovietica dal 1990 – spiega al Foglio il portavoce David Parsons – abbiamo finanziato il viaggio di ventimila sone”. L’organizzazione si occupa di andare a scovare remote comunità ebraiche nelle parti più isolate dell’ex Urss o in altri paesi del mondo per raccontare loro della possibilità di trasferirsi in Israele. Oltre al viaggio, “abbiamo aiutato almeno diecimila persone a sistemarsi qui”. I fondi arrivano da donazioni private. “Il ritorno degli ebrei in Israele dimostra che Dio sta mantenendo le proprie promesse – spiega Parsons, fervente evangelico – e che noi stiamo servendo un Dio che mantiene le promesse. Rispettiamo la scelta di Dio. Non è perché gli ebrei siano migliori di altri popoli, li appoggiamo perché la scelta di Dio è l’amore per tutti. Li ha resi una nazione affinché essi siano l’esempio di che cosa significa camminare nella sua obbedienza. Sono serviti da modello”. La nascita d’Israele è la prova che Dio mantiene le promesse, riassume Parsons, la camicia della Ralph Lauren bianca stropicciata. La sede dell’ambasciata si trova in un antico e fantastico edificio in pietra bianca, con un giardino curato. Giovani ragazzi americani in jeans e maglietta – in arrivo da parrocchie di qualche stato dell’Unione compreso nella “evangelical belt” (sud e dintorni degli Stati Uniti) a giudicare dai versetti della Bibbia stampati su ognuna – non smettono di scaricare casse, scatoloni e materiale da un camion, per l’attività dell’ambasciata. Quest’anno, tra i pellegrini giunti in Israele per la festa dei Tabernacoli, c’erano anche cento evangelici delle isole Fiji. “Non hanno mai visto un ebreo in vita loro – dice Parsons – ma hanno letto la Bibbia; hanno letto che Dio ama gli ebrei” e sono venuti a Gerusalemme. L’anno scorso, in autunno, il ministro del Turismo ha reso pubblico un progetto per costruire, in partnership con la chiesa evangelica americana, un Centro cristiano in Terra santa, sulle rive del lago Tiberiade, nel nord, dove hanno avuto luogo le principali scene del Vangelo. Il governo israeliano offre gratis i 125 acri di terra in cui sorgeranno un parco e un centro accoglienza visitatori. Nel progetto, un giardino dove coltivare le piante menzionate nella Bibbia; un anfiteatro per duemila fedeli; una serie di sentieri da trekking che ripercorrono i passi della vita del Cristo. Costerà sessanta milioni di dollari. Tra le persone coinvolte nel progetto, il celebre telepredicatore evangelico Pat Robertson. Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano dal 1996 al 1999, curò molto i contatti con gli evangelici americani. Fu Menachem Begin, spiega Chafets, il primo ad accorgersi, alla metà degli anni Settanta, della possibilità di un’“alleanza naturale”. Dopo di lui, i premier, chi più chi meno, sfruttarono questa corsia preferenziale. Oggi, alla Knesset, il Parlamento israeliano, esiste dal 2003 un gruppo di 14 deputati (provenienti da tutti i partiti: Likud, Shas, National Union, Avoda…) che fa lobby per fortificare le relazioni con i cristiani. I membri partecipano a viaggi in diversi paesi del mondo, Ucraina, Singapore, Stati Uniti, Filippine, per incontrare le comunità del luogo. Le visite sono pagate da associazioni cristiane. “Questi gruppi – scriveva nel 2005 Yedioth Ahronoth – non hanno problemi di denaro e i membri spesso esprimono posizioni molto più a ‘destra’ rispetto a quelle degli stessi deputati della Knesset, in particolare sulla promessa di Dio della terra d’Israele al popolo ebraico”. Anche in Israele ci sono detrattori dell’alleanza: parte della sinistra laburista, che non è politicamente vicina ai repubblicani americani; la destra religiosa che vede peccaminosa la relazione con i cristiani; il campo arabo israeliano, insospettito dall’amicizia. Il rabbino Eckstein, sostenitore del piano di ritiro da Gaza di Ariel Sharon, è stato anche un consigliere non ufficiale dell’ex premier, scrive il New York Times Magazine. Oggi sta lavorando a portare in Israele una delle tribù bibliche “perse”. Il mese prossimo, dal nord dell’India, arriveranno i primi 218 membri della tribù di Bnei Menashe.

Sempre dal FOGLIO, un intervista di Giulio Meotti a Ibn Warraq, critico dell'islam  nato in una famiglia musulmana.
Ecco il testo:

Sono nato in una famiglia musulmana e cresciuto in un paese che ora si definisce una repubblica islamica. I membri più stretti della mia famiglia si identificano come musulmani: alcuni più ortodossi, altri meno. I miei primi ricordi sono quelli della mia circoncisione e del mio primo giorno alla scuola coranica”. Ibn Warraq è l’apostata più famoso del mondo islamico e uno dei suoi storici più controversi e profondi. Non traccia vie di fuga dall’islam, ma dolorose riforme dall’interno. Si protegge dietro a uno pseudonimo e vive nell’Ohio con la famiglia. E’ autore di un best-seller che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, “Why I am not a muslim” (Perseus Books), “il miglior libro sull’islam” secondo il saggista inglese Christopher Hitchens. Questo “Spinoza islamico”, sulla cui testa pende una fatwa, è nato nel 1946 a Rajkot (India), prima di emigrare in Pakistan. All’università di Edinburgo si è formato accanto al grande studioso Montgomery Watt, con il quale avrebbe successivamente rotto. Ibn Warraq accetta di commentare con il Foglio una celebre lezione di Umberto Eco alla Columbia University del 1995 e pubblicata dalla New York Review of Books. Il titolo, “Eternal Fascism”, secondo Warraq rappresenta al meglio quell’abdicazione della ragione che caratterizza il pensiero occidentale sul nuovo totalitarismo. Mentre Eco si avventa su un nemico astratto e polposo che chiama Ur-Fascismo, Warraq traccia il volto di un fascismo preciso: l’islamismo che gli dà la caccia nel cuore del paese più libero del mondo. Mentre il semiologo compilatore costruisce romanzi su una zuppa medievale, l’apostata ex allievo delle madrasse pakistane Warraq si affaccia sul “Nuovo Medioevo della ragione”. Nemmeno negli Stati Uniti si sente al sicuro. Rashad Khalifa, il biochimico egiziano che elaborò un’analisi al computer del Corano e ipotizzò che due versetti del nono capitolo non appartenessero al testo sacro, nel 1990 venne ucciso a pugnalate in Arizona. E il teologo sudanese Muhammad Taha che cercò di limitare il ruolo del Corano in quanto fonte di legge? Pubblicamente impiccato a Khartoum all’età di settantasei anni nel gennaio del 1985. Non si contano i mullah che vorrebbero vedere lo stesso cappio stringersi intorno al collo del razionalista eretico che si definisce “conservative liberal”. Mentre crollava la prima torre del Wtc, Umberto Eco stava già fantasticando di “transcultura”. “Anzichè denunciare con coraggio il fascismo del nostro tempo che miete migliaia di vittime, Eco in quella famosa lezione rimugina sull’astratto fantasma dell’ideologia liberal – dice Warraq – E l’islam resterà nella sua fortezza, ossificato e totalitario. Gli intellettuali come Eco hanno fallito nei loro doveri di intellettuali. Come ha osservato Maxime Rodinson, la comprensione ha aperto la strada all’apologetica. Si potrebbe paragonare all’atteggiamento di Sartre verso i campi di lavori forzati di Stalin e alla presa di posizione di Foucault sulle atrocità perpetrate da Khomeini. I multiculturalisti sono più razzisti dei razzisti contro i quali affermano di combattere e chiudono un occhio quando si tratta di violenza fra neri e barbarie fra musulmani. Karl Binswanger ha parlato di ‘dogmatica islamofilia’ e Jacques Ellul nel 1983 disse che ‘non è più accettabile in Francia criticare l’islam’. Patricia Crone e Ibn Rawandi spiegano che l’accademismo ha perso l’attitudine critica sull’islam al tempo della prima guerra mondiale”. Il semiologo siede nel consiglio d’amministrazione della Biblioteca d’Alessandria, dove è esposta la traduzione araba degli infami Protocolli dei Savi di Sion. Umberto Eco spiega che nell’Ur-Fascismo “la verità è stata pronunciata una volta per tutte”. “L’islamismo ritiene che il Corano sia l’eterna e infallibile parola di Dio, assolutamente vero e al di là di ogni critica. Dovere del musulmano è credere e obbedire. Sono nato in una famiglia sunnita ortodossa. Prima che sapessi leggere e scrivere la lingua nazionale, imparai a leggere il Corano in arabo senza capire una sola parola. Per Eco ‘il fascismo eterno può essere definito irrazionalismo’, in cui ‘il dissenso è tradimento’. La storia della teologia islamica è la lotta fra la ragione e la rivelazione, con la vittoria dell’irrazionalismo e dell’obbedienza cieca. Al-Ghazali vedeva nei greci la fonte di ogni infedeltà. Nell’islam c’è l’influenza del giudaismo talmudico, del cristianesimo siriaco e dello zoroastrismo. Hashem Aghajari, che nel 1979 partecipò alla brutale repressione di Khomeini, mise in dubbio l’infallibilità dei mullah. Fu condannato a morte. L’abbandono del razionalismo greco ha lasciato i musulmani in preda al fatalismo. Anzichè prendere il destino nelle proprie mani, cadono così nell’autocommiserazione di Edward Said e dell’orientalismo, potente forma di censura intellettuale”. Sul dissenso parlano le leggi contro l’apostasia. “L’apostasia, il crimine di cui sarei colpevole, viene punita con la morte in paesi come Iran e Pakistan. Abu Maududi ha detto che il Corano prescrive la morte per l’apostata. Umberto Eco dice che ‘l’Ur-Fascismo è razzista per definizione’. L’islam non è razzista, esclude categorie di persone sulla base della fede. E’ impossibile la salvezza fuori dall’islam. Il mondo è diviso in due emisferi: dar alislam e dar al-harb. Gli islamisti combattono finchè il secondo emisfero apparterà agli infedeli. La scelta per gli islamisti è semplice: islam o jahiliyya, che indica lo stile di vita delle società europea e americana”. Eco ha scritto che all’origine dell’Ur- Fascismo c’è “l’ossessione per il complotto”. “Lo storico iraniano Ervand Abrahamian ha dimostrato la prevalenza di cospirazioni in Iran, che hanno portato alle esecuzioni del 1981-82. In sei settimane, la repubblica islamica fucilò un migliaio di prigionieri, monarchici ed ebrei. Khomeini diceva che ‘nell’interesse degli ebrei, dell’America e di Israele, noi musulmani dobbiamo essere sacrificati’. Tutti i più grandi pensatori islamici hanno accettato la premessa delle cospirazioni antislamiche. La costituzione della Repubblica islamica descrive la rivoluzione bianca come un ‘complotto americano’. Gli ebrei sono considerati responsabili per tutto il male del mondo, dall’assassinio di Lincoln e Kennedy alla rivoluzione russa”. Eco afferma anche che nell’Ur-Fascismo “i seguaci devono essere convinti di poter sconfiggere il nemico”. “La teoria e la pratica del jihad non è stata elaborata al Pentagono. Tutti gli atti di guerra sono permessi nella dar al-Harb, la terra della Guerra. Gli apologeti dell’islam, di cui Eco fa parte, interpretano il jihad come ‘lotta morale’. Ma è illegittimo pretendere che il Corano stia parlando di ‘crociata morale’. Nel suo celebre studio del jihad, Rudolf Peters dice che ‘la parola significa lotta armata contro gli infedeli’. E Khomeini diceva che ‘la spada è la chiave per il Paradiso’. E’ dovere della umma espandere il proprio territorio per portare quante più persone sotto di sè. Ibn Khaldun ha detto che ‘la guerra santa è un dovere religioso’. E per Averroè, una figura romantica in occidente, ‘l’obbligo di partecipare al jihad si estende a tutti i maschi adulti’. Secondo Eco nell’Ur-Fascismo ‘non c’è lotta per la vita, ma la vita è vissuta per la lotta’ e l’idea che ‘apparteniamo al miglior popolo del mondo’. L’islam è la religione perfetta, dice Ahmadinejad, e i musulmani il popolo eletto. L’islam è destinato a trionfare. I musulmani sono incapaci di pensare soltanto che si possa lasciare l’islam”. Eco scrive che nell’Ur-Fascismo gli individui non hanno diritti. “L’ostilità islamista ai diritti individuali è evidenziata in due passaggi. Prendiamo il grande Ibn Khaldun: ‘Il sentimento di gruppo è necessario alla comunità’. Oppure A.K. Brohi, ex ministro per gli affari religiosi del Pakistan: ‘Nell’islam non esistono ‘diritti umani’ o ‘libertà’ attribuibili all’uomo’. Non ci sono diritti umani nè libertà ammissibili per donne, apostati e non-musulmani”. Il nome di Ibn Warraq compariva nell’elenco dei dodici intellettuali a difesa della libertà d’espressione sulle vignette danesi, accanto a Salman Rushdie e Ayaan Hirsi Ali. Quello di Umberto Eco non c’era, impegnato a confezionare bustine e spiegare che “tutta una serie di eroici appelli alla libertà di stampa mi sono parse eccessive”. “Joseph Conrad parlava a ragione di ‘disgusto della realtà’. A Eco domando: può l’occidente sacrificare la libertà d’espressione per cui sono morte migliaia di persone? Siate orgogliosi, non chiedete scusa. Dovete scusarvi per Dante, Shakespeare e Goethe? E Mozart, Beethoven e Bach? E Rembrandt, Vermeer, Van Gogh, Galileo, Copernico e Newton? E la penicillina e i computer? E i diritti umani e la democrazia parlamentare? L’occidente non ha bisogno di lezioni da parte di società che soggiogano le donne, tagliano il loro clitoride, lapidano le adultere e gettano acido sulle loro facce. Ho insegnato a Londra per cinque anni negli anni Settanta e ho capito l’importanza di guardare in modo positivo a culture non occidentali. Ma siamo andati troppo oltre. Il mio amico Christof Luxenberg ha scritto un libro in tedesco avanzando la tesi che il Corano originariamente fosse scritto in aramaico. E’ stato boicottato e non se ne è più parlato. ‘Tra i credenti’ di V.S. Naipul ha ricevuto un’accoglienza simile da parte di intellettuali e islamofili”. Warraq, che proviene da una famiglia povera, sa che la miseria non è all’origine del fondamentalismo. “Gli islamisti sono giovani appartenenti alla classe media, motivati e istruiti. Hanno lauree in scienza e ingegneria. Come ha detto Khomeini, ‘non abbiamo fatto una rivoluzione per abbassare il prezzo dell’anguria’. Il Kuwait ha beneficiato di alti profitti, ma gli islamisti hanno conquistato il blocco più grande di seggi in parlamento. Il problema non è Israele. Anzi, come ha detto Wagdi Ghuniem, ‘supponete che gli ebrei dicano ‘musulmani prendetevi la Palestina’. Cosa risponderemmo? No! Il problema è la fede, non la terra’. Ricordiamo il massacro di seimila ebrei a Fez nel 1033 e il massacro dell’intera comunità ebraica di quattromila persone a Granada durante le rivolte musulmane del 1066”. Le grandi figure del revanscismo islamico sono gli egiziani Hassan al- Bana e Sayd Qutb, l’indopakistano Abdul Maududi e Khomeini. “Ripetono tutti lo stesso messaggio, derivato da Ibn Taymiyyah: è dovere dei musulmani combattere i non-musulmani. Gli umanisti come Eco pensano che gli islamisti rivoluzionari abbiano i nostri desideri e obiettivi. Ma sono visionari teo-utopici che vogliono sostituire la democrazia con una teocrazia, un sistema di pensiero fascista che controlla ogni aspetto della vita”. A lui non piacciono gli autodefinitisi “musulmani liberali”: “Ci parlano di un islam compatibile con i diritti umani, femminista, egualitario, tollerante. Ma se le società islamiche possono essere riformate, deve avvenire non in armonia con l’islam, ma in contrasto. Questi intellettuali credono che l’islam si riformerà senza disturbare la sensibilità dei musulmani e senza dire nulla sul Corano. E’ un wishful thinking. E’ proteggendo i non-musulmani all’interno dei regimi islamici che possiamo sviluppare libertà e pluralismo. Uno scrittore proveniente da un paese governato da principi islamici supplicava: ‘Dovete difendere Rushdie, difendendo lui, difendete anche noi’”. Ibn Warraq ha scritto “Why I am not a muslim” dopo l’uccisione del traduttore giapponese dei “Versetti satanici”, Hitoshi Igarashi. “Voglio proteggere la mia famiglia da ogni minaccia degli islamisti, ma senza vivere nascosto per il resto della mia vita. Avevo intenzione di usare lo pseudonimo dell’eretico Ibn Rawandi, una creatura rarissima della civiltà islamica. Lo accusarono di attaccare il Corano perchè pensava che la ragione fosse superiore alla rivelazione. Ma ripiegai sul suo maestro, Ibn Warraq. Accusato di eresia, zandaqa, morì in esilio nel 909 perseguitati dagli abassidi”. L’ateo Warraq è grato dell’aiuto dell’occidente cristiano e secolarizzato. “Anche durante il medio evo i pensatori cristiani guardavano alle scritture in modo razionale. Eschilo nell’Orestea spiega che è dalla politica, non dalla religione, che viene la pace. Papa Gelasio I fece sua la separazione di stato e chiesa, poi il ‘Defensor Pacis’ di Marsilio da Padova. Bernard Lewis invoca un ‘rimedio cristiano’ per il medio oriente, cioè separazione di stato e chiesa”. Se l’occidente ha sempre nutrito interesse alle altre civiltà, “i musulmani sono convinti della finalità e autosufficienza della propria civiltà. Fino alla fine del XVIII secolo, pochi libri europei sono stati tradotti nel linguaggio dei musulmani. Oggi nessuna università islamica ha centri di studio di altre civiltà, con l’eccezione di Ankara per il sanscrito. Ascoltare musica occidentale è indesiderabile, ‘il tradimento di un arabo comincia quando ascolta Beethoven’ scrive al-Wasiti”. Ma anzichè analizzare l’odio che gli islamisti nutrono per l’occidente, “i chierici come Eco sono caduti nel vortice delle ‘cause’ del terrorismo: povertà, politica americana, Israele, crociate e così via. Lewis dice che ‘l’unica soluzione per sconfiggere l’islam radicale è portare libertà in medio oriente’. Ma prendi i kamikaze inglesi del 7 luglio, la libertà non ha dato niente a loro. E non porta necessariamente a governi secolari, vedi l’Algeria”. La politica americana ha sfamato a lungo la tigre islamica. “E protetto Arabia Saudita e Kuwait dall’Iraq, l’Afghanistan dai sovietici, la Somalia da Aidid. 150mila algerini sono stati uccisi dagli islamisti dal 1992. Sono quasi 15 mila persone all’anno, cinque World Trade Center all’anno. Le principali vittime dell’islamismo, il ‘sacro terrore’ dice Amir Taheri, sono musulmani donne, bambini, intellettuali, giornalisti. Cosa ha a che fare con la politica americana la lapidazione di una donna nigeriana? Ha a che fare invece con la legge islamica. Gli umanisti occidentali fanno fatica ad accettarlo. I terroristi sarebbero angeli frustrati dalla politica americana. E questi secolaristi sono così gentili da invitare i terroristi alle conferenze. Alla Mexico Humanist Conference del 1996 ha partecipato il gruppo iraniano Mujahaddin. Alla conferenza olandese del 2002 c’era Abdullah an Naim, la cui filosofia è sharia sharia e sharia. Il filosofo Christian Godin ha spiegato che l’islamismo è peggio di nazismo e comunismo: questi, nonostante le follie sterminatrici, presuppongono la propria sopravvivenza, l’islamismo crede che il mondo non meriti di esistere. Basta giochetti sull’equivalenza morale”. Gli studiosi di islam hanno rubricato la dolorosa storia dei dhimmi, i non-musulmani che vivono nei paesi islamici. “La correttezza politica si è trasformata in correttezza islamica. Il multiculturalismo, figlio del relativismo, è incapace di giudizio. Isaiah Berlin diceva che l’ideologo è colui che sopprime ciò che sospetta essere vero. Dall’11 settembre, centinaia di cristiani sono stati uccisi in Pakistan, Sudan, Algeria, Egitto e Indonesia. In Nigeria 11 mila persone sono state uccise dall’introduzione della sharia. Per proteggere i propri interessi, l’Inghilterra accetta la condizione umiliante dei cristiani in Arabia Saudita, che devono praticare la religione in segreto e in contrasto con la libertà che i musulmani godono in Inghilterra. Nel dicembre 2005, le facoltà di Georgetown e Harvard hanno accettato una donazione di venti milioni di dollari dal principe saudita bin Talal”. Warraq lancia una proposta: “Creare istituti di studi coranici. L’islam deve continuare a consolare milioni di persone come ha fatto per secoli. Ma noi che godiamo della libertà di pensiero dobbiamo incoraggiare uno sguardo di ragione sull’islam. Penso che una riforma sia possibile, ma non sarà indolore e priva di difficoltà. Quasi tutti i più grandi studiosi del passato – Nöldeke, Hurgronje, Goldziher, Caetani, Lammens e Schacht – esprimono opinioni inaccettabili per i musulmani. E forse la cosa più ironica di tutte è che queste pubblicazioni si possono acquistare nella Libreria Islamica di Londra, magari venendo serviti da una ragazza musulmana che indossa il tradizionale velo tanto caro ai fondamentalisti”. Un ultimo suggerimento. “Un sopravvissuto all’Olocausto ha detto che ‘se qualcuno dichiara di volerti uccidere, credigli’. E’ questa la lezione che gli umanisti hanno disperatamente bisogno di capire”.

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