Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Un mufti australiano spiega ad Erica Jong cos'è davvero il velo islamico un simbolo della discriminazione contro le donne, non una ribellione giovanile come crede la scrittrice
Testata: Corriere della Sera Data: 27 ottobre 2006 Pagina: 16 Autore: Alessandra Farkas - la redazione Titolo: ««Il velo? È come i capelli lunghi negli anni 60» - «Gli stupri? Colpa della donna scoperta»»
Erica Jong, intervistata da Alessandra Farkas per il CORRIERE della SERA sostiene che il velo islamico sarebbe un segno dui ribellione giovanile, come i capelli lunghi degli anni 60. Ecco il testo dell'intervista, pubblicata il 27 ottobre, contenente la spericolata tesi:
NEW YORK — Diritto femminista o vincolo patriarcale? Per Erica Jong, scrittrice e portavoce storica del movimento femminista americano, il velo islamico non è né l'uno né l'altro. «È una questione di libertà d'espressione, di religione e pensiero», spiega al Corriere l'autrice di Sedurre il demonio (Bompiani). «Un diritto sacrosanto sancito, qui in America, dal più importante emendamento della nostra Costituzione». Secondo Tony Blair e Romano Prodi è una barriera all'emancipazione. Lei cosa pensa? «A mio avviso si tratta di un fenomeno prettamente giovanile, che spinge molte teenager musulmane in Paesi quali la Francia, l'Italia e la Gran Bretagna a rifiutare l'assimilazione forzata accettata per bisogno dai loro genitori. È pura ribellione adolescenziale, volta ad affermare la propria identità e individualità, simile a quella che spinse la mia generazione a farsi crescere i capelli e indossare chincaglieria indiana». Dopo la Francia, anche in Italia molti politici vorrebbero una legge per metterlo al bando. «Come avvocata della libertà d'espressione, ritengo che il governo non debba avere alcuna voce in materia. Sono rimasta di stucco quando la Francia, patria dell'Illuminismo e dei Philosophes, ha deciso di bandire il velo a scuola. È una vergogna». Ha ragione il sindaco di Londra, Ken Livingstone, quando dice che i musulmani oggi sono discriminati come gli ebrei sotto Hitler? «Mi sembra un'esagerazione. "Ken il Rosso" è noto per le sue posizioni estremiste e, francamente, anche questa mi sembra una boutade auto-pubblicitaria. Resta il fatto che in una società veramente libera e multiculturale chiunque deve avere il diritto di indossare il velo, la kippà ebraica, lo shtreimel dei hassidim, il turbante dei sikh e di altre religioni, la skufia dei monaci cristiani ortodossi o il kufi, il capellino islamico. Un semplice copricapo può essere il più potente simbolo di libertà di parola, anche se forse non è il più efficace per comunicare il proprio pensiero». Che cosa intende dire? «Che la gente finisce per concentrarsi solo sul messaggero, ignorandone il messaggio. Prenda il mio esempio. Nella vita di tutti i giorni indosso solo jeans e assomiglio ad una hippy, ma quando vado in tv o sopra un podio mi metto in tailleur perché desidero che il mio messaggio sia chiaro e forte e non voglio distrarre col mio look». Molte donne islamiche indossano il velo perché costrette da padri e mariti tirannici, non come scelta di libero pensiero. «In questo caso si tratta di un problema femminista ma a risolverlo, ancora una volta, non può essere lo Stato. Se la società vuole liberare queste donne deve smetterla di focalizzarsi sul loro costume — l'aspetto esteriore del problema — e farebbe meglio a dar loro un'istruzione e un lavoro, permettendogli di partorire in ospedale invece che a casa, rischiando la pelle. È lo stesso messaggio lanciato 100 anni fa da Emma Goldman. Per le tante intellettuali islamiche che ho conosciuto in conferenze e università di tutto il mondo, il velo decresce di importanza proporzionalmente all'acquisizione di sapere e diritti». Perché il velo è un problema più europeo che americano? «Perché noi siamo una società multiculturale e comprendiamo che proprio questa è la grandezza dell'America. Col tempo tutti possono assimilarsi. L'Europa al contrario tratta le sue minoranze solo come forza lavoro a buon mercato, da spremere ma senza diritti. Il velo è lo specchio di un'Europa che emargina e discrimina, dove i figli degli emigranti vivono, senza speranza di riscatto, in ghetti senza buone scuole e lavoro». Di chi è la colpa? «Del razzismo radicato da secoli e in maniera profondissima nella cultura e nel costume, anche italiani. Prenda l'Ultima cena di Leonardo appena restaurata e che ho potuto ammirare nella mia ultima trasferta a Milano. Giuda Iscariota è l'unico apostolo con la pelle scura: il look mediorientale già da allora era sinonimo di perfidia. Dal terribile Saladino a Shylock e Otello, il pregiudizio contro il moro e il diverso è stato tramandato intatto, dalle crociate al Rinascimento ai giorni nostri».
Nella stessa pagina, un trafiletto fornisce una brutale smentita alle illusioni della scrittrice:
SYDNEY — «Se porti fuori della carne nuda... e i gatti arrivano e la mangiano... di chi è la colpa, dei gatti o della carne lasciata scoperta? La carne nuda è il problema. Se la donna rimanesse nella sua stanza, in casa, con il velo, non ci sarebbe alcun problema». Lo ha detto in un sermone il più alto esponente musulmano in Australia, il mufti Taj El-Din Hamid Hilaly ( foto). Le sue parole, pubblicate ieri dal giornale The Australian, hanno scatenato polemiche. Molti esponenti politici e diversi musulmani si sono detti oltraggiati. Hilaly ha detto di essere stato frainteso: voleva invitare alla modestia, non giustificare lo stupro. La moschea ha deciso che il mufti non terrà sermoni per 2-3 mesi, ma ha accettato le scuse.
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