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Il Foglio Rassegna Stampa
26.10.2006 Il Partito laburista resta nel governo nonostante Lieberman, Tzipi Livni va in Qatar
due cronache sulla politica israeliana, interna ed estera

Testata: Il Foglio
Data: 26 ottobre 2006
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Per ora i travagli interni tengono i laburisti aggrappati a Olmert - Livni andrà in Qatar, che media al posto di Egitto e Arabia»
Dal FOGLIO del 26 ottobre 2006, un articolo sul partito laburista israeliano:

Gerusalemme. Il Partito laburista israeliano è malato. E’ andato troppo a sinistra e ora ne paga le conseguenze. Oggi il primo ministro Ehud Olmert e il ministro della Difesa Amir Peretz s’incontrano. E’ un momento decisivo per il futuro laburista nella coalizione. Il leader di Avoda vuole sapere dal premier se l’entrata di Avigdor Lieberman porterà cambiamenti significativi nelle linee guida dell’esecutivo. Lieberman è il leader di Yisrael Beiteinu, Israele è la nostra casa, partito di destra. Lunedì ha firmato un accordo con Olmert per entrare nella compagine di governo. Ieri il premier ha riunito il governo per approvare la nomina di Lieberman a ministro per le Minacce strategiche, portafoglio creato appositamente per lui. Poi, il prima possibile, il premier vuole sottoporre alla Knesset, il Parlamento, la discussione sull’allargamento della coalizione. Si muove veloce, per prevenire che gli scontri interni al Partito laburista, degenerando, possano portare Avoda fuori dal governo prima che lui abbia ottenuto nuovi alleati. Fonti informate dicono che il suo prossimo passo sarà chiedere ai partiti ultraortodossi di unirsi all’esecutivo, in modo da ottenere una sempre più stabile coalizione, ora estremamente debole in seguito alla guerra in Libano. Olmert vuole bloccare la strada a Bibi Netanyahu, potenziale grande pericolo alle prossime elezioni, che potrebbero essere vicine, rafforzando l’esecutivo. Lieberman vuole rimpiazzare, a destra, il leader del Likud. Avoda, principale partner di Kadima, che detiene la maggioranza solo grazie ai suoi seggi, teme Lieberman. Teme che la sua inclusione nell’esecutivo snaturi il programma originale. Lieberman, sorpresa delle elezioni di marzo, è la destra, con posizioni dure. Fu sua una proposta di spostare in blocco gli abitanti arabi da Israele ai territori palestinesi, in una sorta di scambio di terra. Cerca di porsi come alternativa a Netanyahu. Per questo, sta operando uno slittamento al centro, per ampliare il suo elettorato, alleandosi con Kadima. C’è chi critica Lieberman per essere pronto ad abbandonare i suoi principi, mentre nel Labour c’è chi grida allo snaturamento dei propri. Avoda è diviso in due gruppi. Ci sono i pro Lieberman, capeggiati dal ministro per il Turismo Isaac Herzog, e i contro, guidati dal segretario generale Eitan Cabel e nell’ombra dallo stesso Amir Peretz. “Avoda ha problemi a causa delle faide interne – dice al Foglio Michael Bar-Zohar, analista, ex attivista e deputato laburista, consigliere di Moshe Dayan, Ytzhak Rabin, Amir Peretz – in molti si oppongono alla leadership di Peretz. Lo preferiscono fuori dal governo. All’opposizione sarebbe più debole che nella posizione di ministro della Difesa”. Allora, sarebbe più facile tagliarlo fuori. Eppure, spiega Bar- Zohar, la maggior parte dei ministri vuole rimanere al governo. “Tutti i partiti vogliono rimanere al governo – conferma Efraim Inbar, professore di Scienze politiche all’Università Bar-Ilan – non lasceranno”. Il Comitato centrale del partito si riunirà domenica per decidere che fare: rimanere o no in coalizione? Se uscissero, continua l’ex deputato, perderebbero tutta la loro influenza. “Oggi la sensazione prevalente è che Avoda resterà al governo – dice Bar- Zohar – Dov’è il pericolo in Lieberman? Non vuole cambiare linea, non sarà lui a trasformare la politica di sicurezza contro l’Iran. Tutta questa agitazione dei laburisti è un’esagerazione”. E’ d’accordo Efraim Inbar: “Né il Mossad né il ministero della Difesa gli lasceranno fare qualcosa, avrà molto tempo per occuparsi di politica e non credo cambierà qualcosa nell’agenda sociale del governo, già collassata dopo la guerra in Libano”. “Non temetemi, vengo per lavorare”, ha detto martedì Lieberman, che assicura che si vuole occupare soltanto della minaccia maggiore per Israele, l’Iran. Peretz, in un tentativo disperato, dettato dalla consapevolezza della debolezza del partito, cerca un accordo con Meretz, gruppo di sinistra. “Alla lunga, questa mossa potrebbe fare del male ad Avoda. Quello che i laburisti non capiscono – dice Bar-Zohar – è che non devono ottenere il consenso di voci a sinistra, che hanno già, devono cercare i voti del centro”.

Sempre dal FOGLIO sulla prossima visita del ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni in Qatar:

Gerusalemme. Il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, andrà in Qatar per partecipare a una conferenza, sponsorizzata dall’Onu, sulla democrazia. Una prima assoluta. Il Qatar e Israele, infatti, hanno minime relazioni. Livni ha accettato l’invito; la conferenza si terrà la settimana prossima. Si tratterà della prima visita di un alto ufficiale israeliano in Qatar. Sono previsti colloqui sul programma nucleare iraniano e sullo stato dei negoziati per il rilascio del caporale Ghilad Shalit, sequestrato dal braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedine al Qassam, a giugno. A settembre, analisi della stampa palestinese davano il Qatar come sostituto dell’Egitto nella mediazione per il rilascio del prigioniero. Doha ha cercato di svolgere un ruolo di paciere tra le fazioni palestinesi, Fatah e Hamas, sulla formazione di un governo di unità nazionale. La mediazione, però, non è riuscita e il ministro degli Esteri del Qatar, Hamad bin Jassim bin Jabr al Thani, ha lasciato Gaza senza aver ottenuto granché. “E’ vero, il Qatar si è maggiormente impegnato nel moderare la crisi fra le fazioni palestinesi – spiega al Foglio David Kimche, ex vicecapo del Mossad ed ex direttore generale del ministero degli Esteri – Ci sono membri di Hamas in Qatar, non un vero ufficio, e membri di Hamas viaggiano con regolarità nel paese. Per quanto riguarda Israele, ci sono relazioni tra i due paesi, c’è perfino un diplomatico che fa avanti indietro. Le relazioni sono amicali. E’ tutto poco ufficiale, anche i rapporti commerciali, che però esistono”. Il Qatar è, oggi, in una posizione di forza essendo l’unico paese arabo in Consiglio di sicurezza. Il 3 ottobre, Doha è entrata attivamente nella crisi sulla formazione di un governo di unità nazionale palestinese con una proposta: una coalizione di governo ad interim, formata da tecnocrati, che operi rispettando le richieste del Quartetto – Usa, Ue, Onu e Russia (il riconoscimento d’Israele, dei precedenti accordi, la rinuncia alla violenza e il rilascio di Shalit). Il rais Abu Mazen ha accettato. Hamas no. Il presidente palestinese, che negli anni 50 ha vissuto a Doha e viaggia spesso in Qatar, è stato nella capitale nelle scorse settimane. Ma ha negato di aver incontrato Khaled Meshaal. Anche il leader di Hamas in esilio a Damasco è un assiduo frequentatore del paese del Golfo. Il Qatar è un credibile mediatore tra le parti perché, oltre ad avere tenui rapporti con Israele, intrattiene buone relazioni sia con l’Autorità nazionale sia con Hamas. Dopo l’interruzione degli aiuti internazionali ai palestinesi in seguito alla vittoria del gruppo islamico alle urne, ha stanziato 50 milioni di dollari all’Anp. La sua volontà di emergere nella regione è legata anche all’atavica rivalità con l’Arabia Saudita, di cui Doha è la sorella wahabita più moderata. “Il Qatar si è fatto notare in maniera interessante – spiega al Foglio Toby Jones, dal 2004 al 2006 analista specializzato in paesi del Golfo per l’International Crisis Group – Non è inusuale che sfidi poteri regionali come l’Arabia Saudita, con cui ha relazione acrimoniose. I leader sauditi non sopportano che il Qatar lasci libero il canale satellitare al Jazeera di emettere programmi critici nei confronti della famiglia reale. In parte è questa la spiegazione dei finanziamenti sauditi ad al Arabiya, rivale di al Jazeera. Inoltre il paese ha ottenuto una posizione importante, come alleato di Washington, dopo la chiusura della più grande base militare americana in medio oriente, Principe Sultan in Arabia Saudita, nel 2002, e il suo trasferimento in Qatar.

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