Iraq: i rischi di una divisione in tre stati analisi di una proposta che circola a Washington
Testata: Il Foglio Data: 25 ottobre 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «L’idea suggestiva e pericolosa di dividere l’Iraq in tre stati»
Dal FOGLIO del 25 ottobre 2006:
Roma. Margaret Beckett, ministro degli Esteri britannico, ha accennato all’ipotesi di una divisione dell’Iraq in tre regioni autonome, anche se si è guardata bene dall’adottarla, rassicurando gli iracheni che il governo Blair non è interessato a operazioni “taglia e cuci”. Da settimane, però, si susseguono sui mass media, come l’Economist, indiscrezioni su una simile soluzione radicale prospettata dalla commissione Baker e ribadita ieri sul Wall Street Journal da un democratico e dal presidente emerito del Council on Foreign Relations: Joe Biden e Leslie Gelb. L’Iraq Study Group, un panel bipartisan, al riparo dai contraccolpi delle lotte tra democratici e repubblicani, avrebbe auspicato la divisione dell’Iraq in tre stati autonomi, vincolati da un leggero legame centrale. Presieduta dall’ex segretario di stato James A. Baker e dal democratico Lee Hamilton, la commissione renderà pubbliche le sue valutazioni solo dopo le elezioni di mid-term, ma già sono note alcune sue valutazioni, a partire dall’impossibilità di conseguire una vittoria militare che non sia il portato di un accordo politico nazionale. Questo è il punto determinante di tutta la crisi irachena: l’iniziativa terroristica riesce infatti a insinuarsi proprio nelle crepe che si sono allargate – invece di chiudersi – tra il centro governativo (in cui operano un esecutivo e un Parlamento di unità nazionale) e l’insieme del territorio. Qui, a partire dall’immensa periferia di Baghdad, domina invece una logica di poteri locali contrapposti e in guerra tra di loro, secondo linee confessionali (sciiti contro sunniti), politiche (baathisti e al qaidisti contro governativi), o di pura criminalità (contrabbando, traffici di armi e valuta, rapimenti ed estorsioni). La creazione di uno stato tripartito, con un federalismo spinto al massimo, avrebbe agli occhi dei suoi ideatori il vantaggio di permettere di concentrare l’apparato militare anglo-americano nella regione del centro e di lasciare che le milizie curde garantiscano, come già fanno, il nord e quelle sciite la metà paese a sud di Baghdad. I fautori di questa prospettiva sottovalutano però la concezione religiosa dell’unitarietà dello stato nei paesi islamici e il probabile “effetto Jugoslavia” che questa decisione scatenerebbe. Al centro dell’iniziativa terroristica irachena e delle sue fortune, infatti, non vi è affatto una tensione autonomista, e gli stessi nazionalisti curdi oggi sostengono la necessità di uno stato unitario. Le colonne portanti dell’eversione oggi sono l’odio fanatico che i wahabiti-salafiti di al Qaida (con diretto retroterra in Arabia Saudita) nutrono nei confronti degli sciiti. Le stragi religiose di questi mesi altro non sono infatti che la continuazione di una faida sanguinaria iniziata addirittura nel 1804. Che l’Iraq sia uno o trino, questo odio contro i “politeisti” sciiti è inarrestabile e segnerebbe con la sua scia di vendette soprattutto la regione di Baghdad, mezza sciita e mezza sunnita, sede del califfato, simbolo prezioso agli occhi di ogni musulmano. Da parte loro, i curdi riuscirebbero a garantire il controllo del nord (ma con problemi nei confronti degli arabi, che diventerebbero una minoranza etnica), mentre gli sciiti tenderebbero inesorabilmente a essere infeudati da Teheran. L’autonomia marcata del sud costituirebbe infatti – paradossalmente – un indebolimento netto proprio di quella componente sciita maggioritaria che sino a oggi – anche perché ancorata al dialogo con i curdi e i sunniti nel governo unitario della nazione – ha rifiutato la concezione di Repubblica islamica degli ayatollah khomeinisti e ha steso il progetto costituzionale iracheno, che è esattamente l’opposto, in senso democratico, rispetto a quello iraniano. I tre confini federali, insomma, rischierebbero di diventare linee di frattura di tre immense faglie tettoniche in movimento, capaci di provocare terremoti in tutta la regione, peggio di quanto è avvenuto per un decennio nei Balcani. D’altronde vi sarà qualche ragione se i confini dell’Iraq, disegnati nel 1920 da Winston Churchill, hanno tenuto per 86 anni, superando le tempeste di ben cinque regimi.
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