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Europa Rassegna Stampa
26.10.2006 Il ruolo dell'Europa in Medio Oriente
intervista ad Abraham B. Yehoshua

Testata: Europa
Data: 26 ottobre 2006
Pagina: 3
Autore: Maurizio Debanne
Titolo: ««Ora ci provi l’Europa. L’America qui ha fallito»»
 L'opinione di Abraham B. Yehoshua sulla missione italiana in Libano e sul ruolo dell'Europa in Medio Oriente.
Secondo lo scrittore israeliano sarebbe necessaria una duplice pressione per l'accettazione del piano di pace saudita del 2002: su Israele e sui palestinesi.
Da parte nostra nutriamo forti riserve sul piano saudita, che imporrebbe a Israele le massime concessioni territoriali e il riconoscimento del "diritto al ritorno" dei profughi in cambio del riconoscimento della sua esistenza.
Nondimeno, auspichiamo che delle parole di Yehoshua si faccia un uso corretto.
Ricordandole nella loro integrità, e non solo nella parte che riguarda le pressioni da esercitare, secondo lui, su Israele.
Ecco il testo:
 

Esattamente un mese sul tavolo di Ehud Olmert fu recapitata una petizione, sottoscritta da 61 personalità della vita culturale e politica israeliana nonché dall’establishment militare, in cui si esortava il governo a prendere iniziative di pace nei confronti dei vicini arabi. Tra le firme figura anche lo scrittore Abraham B. Yehoshua che oggi a Europa confessa tutto il suo pessimismo sulla situazione in Medio Oriente dopo la guerra in Libano. «Siamo nella paralisi più totale. I palestinesi non hanno compreso che gli Hezbollah sono un loro nemico e che il loro attacco a Israele è un danno arrecato anche a loro. Speravo che se ne sarebbero resi conto ma invece così non è stato. Basta andare a leggersi i messaggi che provengono da Hamas: dichiarazioni estremistiche e ancor più folli e deprimenti di quelle di mesi fa. Mi riferisco ad alcuni dirigenti del movimento islamico che hanno affermato che non riconosceranno mai lo stato di Israele e di essere pronti a morire per questo credo.
Tra questi figura Khaled Meshall che non nasconde di avere legami con l’Iran».

Con chi dovrebbe discutere allora Ehud Olmert?
Israele dovrà parlare con il prossimo, sempre si faccia, governo di unità nazionale. Sulla possibilità o meno che si formi tale esecutivo lascio rispondere il popolo dell’Olp e i dirigenti dell’Anp. Secondo loro un governo di unità nazionale, al cui interno sia presente anche Hamas, è impossibile poiché i dirigenti islamici non vogliono riconoscere niente che riguardi Israele.
E quando gli arabi parlano di Israele dicono sempre la verità, ovvero ciò che pensano. Così è accaduto con l’Egitto e con la Giordania. E lo stesso principio, anche se capovolto, vale per la Siria.
Quando Damasco dirà siamo pronti a una pace con Israele io gli crederò.
Danny Rubinstein sostiene sul quotidiano israeliano Haaretz che Abu Mazen è pronto a nominare un governo di tecnocrati. Se fosse questa la scelta del presidente palestinese lei come la valuterebbe?
Mi pare evidente che, se il risultato dei colloqui tra i vari gruppi palestinesi sarà questo, possiamo dirci soddisfatti. Ma il punto è un altro. Questo governo avrà la facoltà di governare e la forza necessaria per fermare il terrorismo suicida?
Israele può fare qualcosa per sostenere Abu Mazen?
Il primo passo che deve compiere Olmert è incontrare immediatamente Abu Mazen senza condizioni. Dopodiché dovrà cercare di fargli delle concessioni, come ad esempio la liberazione di alcuni dei prigionieri prima ancora del rilascio del caporale Ghilad Shalit. Si tratterebbe di gesti generosi che farebbero capire ad Abu Mazen che esiste una speranza. In questo modo il presidente dell’Anp potrebbe mostrare ai palestinesi che esiste una volontà di pace che può portare ad un accordo, anche se non definitivo almeno parziale.
La comunità internazionale continua a insistere sulla Road Map. Un percorso condiviso da entrambi ma le cui tappe sono talmente vaghe che finora nessuno ha mai attuato in concreto. Da dove ripartire allora?
Il piano arabo di pace può essere un buon punto di partenza. L’Europa deve convincere Israele, fino a costringerlo, ad accettare questo piano che prevede il riconoscimento di tutti i paesi arabi dello stato di Israele in cambio della restituzione dei territori occupati nella guerra dei sei giorni del 1967, compresa Gerusalemme Est e le alture del Golan, e il raggiungimento di una “giusta” soluzione al problema dei rifugiati palestinesi. In sostanza la comunità internazionale deve farlo proprio.
Ma anche i palestinesi devono accettarlo, in questo caso fino alla minaccia di bloccare ogni aiuto finanziario.
Ma Israele non preferisce negoziare singolarmente con ciascuno stato arabo piuttosto che sedersi al tavolo contemporaneamente di fronte ai palestinesi, la Siria e il Libano?
Non credo. Israele è già in pace con l’Egitto e la Giordania. La questione semmai è un’altra. Gli israeliani ora si domandano il perché dare territori per noi sacri ai palestinesi dopo che con il ritiro da Gaza continuano a lanciare razzi contro le nostre città. Se gli arabi volessero potrebbero fermare il terrore. Un esempio? Basta prendere l’Egitto. Se il Cairo avesse l’intenzione di sconfiggere il contrabbando di armi a Gaza basterebbe mettere al confine dei poliziotti.
Passiamo al versante politico israeliano. Olmert sta consolidato le basi del suo governo, scosse dal conflitto libanese, con l’ingresso nell’esecutivo del partito di destra Yisrael Beitenu. Come giudica questa mossa?
Questa è la politica. Olmert vuole continuare nella sua esperienza di governo e per farlo ha bisogno di rinforzare il suo esecutivo aprendo alla destra dopo gli attacchi che gli sono stati mossi, in particolare dal Likud, per la condotta della guerra in Libano. Ma devo dire che fino ad adesso il premier israeliano ha ben tenuto alle pressioni. Avidgor Lieberman non rappresenta una destra di tipo classico, la chiamerei piuttosto “destra occasionale”.
Lieberman ha il suo seguito soprattutto fra gli immigrati dalla vecchia Urss, non ragiona su basi ideologiche o religiose ma in termini di strategia politica. Resta da capire come, ma soprattutto se, riuscirà a integrarsi con i laburisti che in questo momento sono molto deboli dopo ciò che ha fatto Amir Peretz. Il leader laburista sta pagando la sua terribile scelta di sedere sulla poltrona più alta del ministero della difesa senza avere le conoscenze necessarie.
Dopo la guerra in Libano della scorsa estate per la prima volta Israele ha affidato la gestione della propria sicurezza interna non al proprio esercito ma alla comunità internazionale. Si sente più sicuro o più vulnerabile con la presenza dei soldati Onu nel sud del paese dei cedri?
Sono molto fiducioso sulla missione Unifil 2. E sono fiero dell’Italia e del suo governo di centro-sinistra che ha deciso di inviare i propri soldati nel sud del Libano nella speranza che il conflitto cessi una volta per tutte. Bisogna essere presenti in Medio Oriente per capire. Solo dimostrando di esserci si può evitare un conflitto, anche atomico. Gli americani negli ultimi quarant’anni nonostante tutta la loro potenza non sono riusciti a mediare tra israeliani e arabi. Tutti gli accordi di pace che sono state siglati, quello tra Israele e l’Egitto e la Giordania, sono stati raggiunti grazie alla diplomazia locale. Gli Stati Uniti non sono capaci di mediare tra noi e gli arabi. Voi europei invece avete la forza, il prestigio e la conoscenza.
Dovete dunque prendere un’iniziativa ancor più aggressiva con Israele e con i palestinesi.
Ora però posso fare io una domanda?
Prego.
Sono già usciti sui giornali italiani dei reportage sulla vita dei vostri soldati nel sud del Libano? Se non l’avete fatto vi consiglio vivamente di mandare sul posto giornalisti per osservare i vostri soldati. Anche per sapere se mangiano la pasta o come passano le notti. Questo servirà a rendere gli italiani ancor più virili e, come dite voi, “macho”.

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