Ahmadinejad vuole distruggere Israele, non è retorica intanto nell'Autorità palestinese è quasi guerra civile
Testata: Il Foglio Data: 21 ottobre 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Da Khomeini ad Ahmadinejad - La quasi guerra civile palestinese»
Un editoriale sulle ultime dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad, dal FOGLIO del 21 ottobre 2006:
Il 7 agosto 1979 l’ayatollah Ruhollah Khomeini invocò il risveglio delle coscienze islamiche dinnanzi allo scandalo dell’esistenza di Israele. L’ultimo venerdì di Ramadan fu eletto giorno di al Quds (Gerusalemme) e anno dopo anno il regime ha inondato le piazze ritualizzando l’odio in una manifestazione di catarsi collettiva. Ma per definirsi e rappresentarsi l’Iran khomeinista ha sempre guardato anzitutto a Washington. Nonostante i tentativi di affrancare la Repubblica islamica dalle chimere occidentali rappresentate dagli Stati Uniti, il fantasma americano si è annidato nel cuore del sistema. E’ stato il rapporto schizofrenico con il “grande satana” statunitense piuttosto che con il “piccolo satana” israeliano a determinare il baricentro simbolico dell’Iran rivoluzionario. Ma per Mahmoud Ahmadinejad il nemico naturale e più volte dichiarato, invece, non può che essere Israele. Attraverso il prisma dei conflitti mediorientali vede soltanto il rinnovarsi di una guerra antica tra islam e occidente. Israele rappresenta per il presidente pasdaran un male assoluto e non un antagonista politico e questo va ripetendo da più di un anno, nell’impunità generale, senza i sofismi cari ai suoi predecessori. All’acme di questa tensione parossistica, escatologica e ideologica insieme, corre quasi indisturbato verso la Bomba, si smarca dalla tutela dei grandi vecchi della rivoluzione e si candida nella più vasta comunità islamica al rango di angelo vendicatore.
Sempre dal FOGLIO, un editoriale sulla "guerra civile strisciante" intrapalestinese:
La tregua sul campo tra Hamas e Fatah, siglata ieri mattina al Cairo su insistenza di Hosni Mubarak, in serata è stata clamorosamente smentita dal fallito tentativo di assassinare il premier palestinese, Ismail Haniye, a Gaza. Un gesto probabilmente estemporaneo: non un’imboscata ben preparata, ma un’azione di un gruppo di attivisti considerati vicini a Fatah. Questo dà la misura al primo ministro israeliano Ehud Olmert di una tensione senza possibilità di ritorno, aggravata dal fatto che anche il lancio di razzi contro Israele – l’ultimo, ieri sera, ha colpito un edificio a Sderot, sul confine – sta abbandonando qualsiasi logica. Haniye aveva appena proclamato in una moschea la sua caparbietà nel rifiutare le tre condizioni poste dalla comunità internazionale, accusando Abu Mazen di progettare un golpe istituzionale. Nei prossimi giorni è facile prevedere che la guerra civile sottotraccia riemerga con nuovi episodi di violenza. Il rais Abu Mazen per primo è cosciente di dover a questo punto tagliare il nodo gordiano di una totale paralisi politica dell’Anp, ma sa anche di non poter contare in pieno nemmeno su Fatah. Appena lunedì, il falco del partito, Faruk Kaddoumi, su istanza di Damasco, si è schierato sulle posizioni di Haniye, convinto che non sia possibile accettare il riconoscimento dello stato d’Israele. Olmert e George W. Bush stanno moltiplicando gli sforzi da settimane per costruire attorno al presidente dell’Anp una forte catena di solidarietà araba imperniata su Arabia Saudita, Egitto e Giordania. L’Europa, al solito, resta a guardare.
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