Dal FOGLIO del 18 ottobre 2006, un editoriale di David Frum sulla statistica di Lancet per la quale dall'inizio della guerra in Iraq sarebbero morti 650.000 iracheni.
L'inattendibilità del dato non era stata finora rilevata dai giornali italiani. In proposito, Informazione Corretta aveva asuo tempo pubblicato un editoriale visibile a questo link:
E’il più vecchio trucco delle public relations: se vuoi farti pubblicità, presenta una statistica. Le statistiche attirano l’attenzione, rimangono fisse nella testa della gente. Diventano veri e propri fatti. E quando qualcuno viene a esaminare accuratamente il tuo lavoro, ormai è troppo tardi. Ed è esattamente questo ciò che è avvenuto con il nuovo studio pubblicato dalla Bloomberg School of Public Health della John Hopkins University, secondo il quale, in Iraq, dal rovesciamento di Saddam Hussein a oggi, ci sono stati 655.000 “deceduti in più”. Quasi tutti gli esperti di Iraq ritengono che il numero delle vittime civili irachene, a partire dal 2003, si aggiri tra le 30.000 e le 60.000, la maggior parte delle quali morte a causa delle tattiche terroristiche degli insorti: attentati con autobomba, assassinii eccetera. Il rapporto Bloomberg implica che più del 90 per cento di queste perdite non soltanto non sono state registrate dal governo, ma sono passate del tutto inosservate. Come si è potuto creare questo numero? Il team dei ricercatori Bloomberg ha assunto degli intervistatori iracheni che hanno visitato 1.849 case in varie città irachene. Gli intervistatori hanno domandato ai proprietari quale fosse stato il numero di persone morte nella loro famiglia nell’anno precedente al rovesciamento di Saddam e poi nei tre anni successivi. Dopodiché hanno confrontato le due cifre e sono arrivati a quella di 546 morti “in più”, che, applicata a tutto l’Iraq, porta il numero complessivo a 655.000. Il team Bloomberg era già ben noto per la scarsa accuratezza delle sue indagini. Nel 2004, dopo la seconda battaglia di Fallujah, ha sostenuto che c’erano state 200.000 vittime tra la popolazione civile; il che è davvero sorprendente se si tiene conto del fatto che la città, prima della battaglia, aveva una popolazione di 300.000 abitanti, e che circa il 70-90 per cento era fuggito prima dell’inizio degli scontri. Questo clamoroso errore non sembra aver insegnato alcuna prudenza al team Bloomberg. Semmai, i suoi errori passati sembrano averlo incoraggiato a essere ancora più irresponsabile. Il team sottolinea che nel 92 per cento dei casi in cui una famiglia aveva dichiarato di aver subito una perdita, è stato presentato un certificato di morte. E non sembra essersi reso conto che questa affermazione, anziché rafforzarli, mina alle fondamenta i risultati delle sue inchieste. Da un lato, infatti, il team sostiene che in Iraq regna un tale caos e una tale violenza che la morte di 655.000 persone (otto volte il numero delle vittime di Hiroshima) può benissimo passare inosservata. Ma dall’altro, ritiene che l’Iraq sia così bene organizzato che per il 92 per cento di questi decessi l’obitorio iracheno ha emesso un certificato di morte. Insomma, da un parte un massacro tipo Ruanda, dall’altra, una burocrazia quasi perfetta. Come può avere senso una cosa simile? A chi giova? Ma non importa. Supponiamo che sia tutto vero. Che cosa dimostrerebbe? I media che hanno dato notizia del rapporto Bloomberg ne riecheggiano la tesi secondo la quale le morti di civili in Iraq devono pesare sulla coscienza degli Stati Uniti e degli alleati della coalizione. Ma sono le forze della coalizione che difendono e proteggono la popolazione civile irachena. E sono i baathisti e gli islamisti che fanno scoppiare bombe, tagliano gole e massacrano i fedeli nei luoghi di culto. I massacri in Iraq sono compiuti da coloro che sperano di trarre vantaggio da un ritorno alla dittatura e non da coloro che hanno liberato l’Iraq dalla dittatura. Anche se fosse corretto, il rapporto Bloomberg darebbe ragione all’impegno bellico americano e dimostrerebbe l’infamia dell’insurrezione. Ed è vergognoso che i media internazionali, nella loro brama di denigrare gli Stati Uniti, abbiano così ingenuamente dato credito e pubblicato un rapporto che cerca di assolvere i veri assassini di tutti gli innocenti morti in Iraq.
Di seguito, un breve articolo sull'inattendibilità dei dati di Lancet:
I numeri di Lancet sull’Iraq sono tutti sbagliati. La cifra madornale di 650 mila morti diffusa dalla rivista medica non sta reggendo alle verifiche. A dirlo sono i pacifisti stessi. Il loro progetto Iraq Body Count si occupa dal 2002 di monitorare il numero delle morti violente in Iraq ed è il punto di riferimento di tutto il movimento arcobaleno quando si tratta di picchiare sull’Amministrazione Bush con tutta la crudezza delle statistiche dall’Iraq. Ibc smentisce in modo dettagliato e devastante la ricerca di Lancet. Quella proiezione, scrive con un sussulto in un controstudio, ha implicazioni “estreme e improbabili”: che almeno 1.000 iracheni siano stati uccisi ogni singolo giorno della prima metà del 2006, e che di questi decessi ne siano stati scoperti soltanto uno su dieci; che almeno 800 mila iracheni siano stati feriti in modo grave in azioni di guerra negli ultimi due anni, ma soltanto un decimo abbia ricevuto qualche tipo di cura medica in ospedale; che mezzo milione di certificati di morte siano arrivati alle famiglie, senza che però nessuno ne abbia mai registrato la partenza. Anche un secondo studio indipendente condotto con lo stesso metodo di Lancet, l’Iraq Living Conditions Survey, smentisce quelle stime. La rivista inglese sarebbe in contraddizione persino con il suo clamoroso studio precedente.
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