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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Haim Baharier La genesi spiegata da mia figlia 17/1072006
 La genesi spiegata da mia figlia       Haim Baharier
 Casa Editrice                    Garzanti

 Un’invincibile pulsione a chiarire, che non ha ancora esaurito la propria
 forza. Al centro la Bibbia, il Libro per eccellenza. E tutt’attorno un
 intrico di commenti, cresciuti gli uni sugli altri sino a formare, nel
 corso dei secoli, una vera foresta di glosse e di citazioni. La tradizione
 esegetica del giudaismo evoca un senso di rigoglio, spesso addirittura di
 eccesso.
 A schiere, i rabbi sono tornati instancabilmente su uno stesso versetto, 
ne hanno rivoltato ogni parola e ogni sillaba, hanno analizzato ogni 
sfumatura
 di significato, hanno commentato i commenti altrui. E ancor oggi, ogni
 giorno, ebrei ortodossi e riformati, fedeli sostenitori del passato o
 irrequieti araldi della modernità, aggiungono nuove pietre allo smisurato
 edificio dell’interpretazione biblica, in un processo di crescita testuale
 che esprime l’anima più profonda del giudaismo.
 In un breve libro sulla Genesi, Haim Baharier si presenta come un leale
 continuatore dell’antico mestiere di spiegare. Eppure sceglie di 
continuare
 innanzittutto con una rottura. Anziché aggiungere, infatti, toglie. Per
 arrivare al significato profondo dei versetti della creazione, ne
 assottiglia la materia, ne ripulisce le frasi, prova a sottrarre alcune
 consonanti, a occultare qualche nesso sintattico. La si potrebbe definire
un’esegesi minimalista, basata su di una necessità interiore.
 La spinta a questo esercizio di sottrazione viene del resto a Baharier
dalla propria vicenda personale, dall’enigma di una figlia amatissima e
menomata, a cui spiegare, e dalla quale farsi spiegare, il segreto del
 proprio destino e della propria cultura. Dall’esperienza famigliare di un
 “meno” conoscitivo sorge così un percorso di decantazione del testo, in 
una
 ricerca di semplicità interpretativa, che risale la corrente impetuosa
 dell’ipertrofia critica dell’ebraismo.
 Tuttavia anche questo esperimento di riduzione, per quanto saturo di
 sensibilità postmoderna, è compatibile con la tradizione rabbinica, che
 tutto contiene e che ammette dunque la negazione del proprio principio di
 crescita. Già i maestri del Talmud avevano affermato: “Chi aggiunge
 alcunché (alle parole del Signore), toglie qualcosa” (bSanhedrin 29°). Per
 legge di compensazione è allora legittimo togliere, come fa Baharier, per
 arrivare a una nuova aggiunta di senso, che chiarisca forse il Libro e, 
con
 quello, l’incompiutezza dell’esistere.


 Giulio Busi
 Il Sole 24 Ore

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