Haim Baharier La genesi spiegata da mia figlia 17/1072006
La genesi spiegata da mia figlia Haim Baharier Casa Editrice Garzanti
Un’invincibile pulsione a chiarire, che non ha ancora esaurito la propria forza. Al centro la Bibbia, il Libro per eccellenza. E tutt’attorno un intrico di commenti, cresciuti gli uni sugli altri sino a formare, nel corso dei secoli, una vera foresta di glosse e di citazioni. La tradizione esegetica del giudaismo evoca un senso di rigoglio, spesso addirittura di eccesso. A schiere, i rabbi sono tornati instancabilmente su uno stesso versetto, ne hanno rivoltato ogni parola e ogni sillaba, hanno analizzato ogni sfumatura di significato, hanno commentato i commenti altrui. E ancor oggi, ogni giorno, ebrei ortodossi e riformati, fedeli sostenitori del passato o irrequieti araldi della modernità, aggiungono nuove pietre allo smisurato edificio dell’interpretazione biblica, in un processo di crescita testuale che esprime l’anima più profonda del giudaismo. In un breve libro sulla Genesi, Haim Baharier si presenta come un leale continuatore dell’antico mestiere di spiegare. Eppure sceglie di continuare innanzittutto con una rottura. Anziché aggiungere, infatti, toglie. Per arrivare al significato profondo dei versetti della creazione, ne assottiglia la materia, ne ripulisce le frasi, prova a sottrarre alcune consonanti, a occultare qualche nesso sintattico. La si potrebbe definire un’esegesi minimalista, basata su di una necessità interiore. La spinta a questo esercizio di sottrazione viene del resto a Baharier dalla propria vicenda personale, dall’enigma di una figlia amatissima e menomata, a cui spiegare, e dalla quale farsi spiegare, il segreto del proprio destino e della propria cultura. Dall’esperienza famigliare di un “meno” conoscitivo sorge così un percorso di decantazione del testo, in una ricerca di semplicità interpretativa, che risale la corrente impetuosa dell’ipertrofia critica dell’ebraismo. Tuttavia anche questo esperimento di riduzione, per quanto saturo di sensibilità postmoderna, è compatibile con la tradizione rabbinica, che tutto contiene e che ammette dunque la negazione del proprio principio di crescita. Già i maestri del Talmud avevano affermato: “Chi aggiunge alcunché (alle parole del Signore), toglie qualcosa” (bSanhedrin 29°). Per legge di compensazione è allora legittimo togliere, come fa Baharier, per arrivare a una nuova aggiunta di senso, che chiarisca forse il Libro e, con quello, l’incompiutezza dell’esistere.