Acritico elogio di Tariq Ramadan di Massimo Campanini
Testata: Il Manifesto Data: 17 ottobre 2006 Pagina: 0 Autore: Massimo Campanini Titolo: «Europa, una casa per i musulmani»
Che importa se l'accurata inchiesta della giornalista francese Caroline Fourest ne ha svelato la doppiezza, che importa se ha stilato liste di proscrizione di intellettuali ebrei francesi, che importa se ha proposto una "moratoria" sull'applicazione della pena di morte per le adultere, in attesa che i giuristi musulmani compiano un nuovo sforzo di interpretazione della sharia, così affermando chiaramente il principio del primato della legge religiosa su quella civile e sui diritti dell'uomo. Tariq Ramadan, "piaccia o meno" è "una voce dell'islam europeo" e come tale va rispettosamente ascoltato ed è immune da critiche. Perché scrivere una recensione del suo ultimo libro allora? Massimo Campanini, coerentemente con le sue premesse non l'ha fatto. Quella pubblicata dal MANIFESTO il 17 ottobre 2006 è infatti soltanto una dichiarazione di sudditanza ideologica e culturale. Che riserva a Ramadan una programmatica acriticità, e a chi dissente dall'utopia multiculturalista una rozza mistificazione delle sue posizioni, rese meglio attaccabili attraverso tale deformazione. Nessuno sostiene, ad esempio, che "la maggioranza dei musulmani italiani è infiltrata dai Fratelli Musulmani, i Fratelli Musulmani sono terroristi, dunque la maggioranza dei musulmani italiani è collusa col terrorismo". Piuttosto, un coraggioso giornalista, musulmano, come Magdi Allam ha documentato che una piccola minoranza di Fratelli musulmani tenta, con l'aiuto di una classe politica miope e di intellettuali compiacenti, di monopolizzare la rappresentanza dell'islam italiano. I Fratelli musulmani, poi, non sono certo tutti terroristi. Ma tutti appoggiano il terrorismo di Hamas, organizzazione ad essi affiliata. E certamente tutti sono fondamentalisti. Se i loro mezzi possono essere, per il momento, politici e non terroristici, il loro obiettivo resta l'islamizzazione della società.
Ecco il testo:
Islam europeo o Islam italiano? Le tensioni, le accuse, i distinguo che da sempre accompagnano il discorso sui musulmani italiani (e in specie sull'Unione delle Comunità e organizzazioni islamiche in Italia) e che coinvolgono la legittimità e l'utilità della cosiddetta Carta dei valori, nascondono il fatto che, se l'Islam italiano avrà nel futuro un senso, potrà averlo solo in una proiezione europea. Altrimenti rischia di essere marginalizzato di fronte a realtà ben più strutturate, quali la presenza islamica in Francia o in Gran Bretagna, oppure di irretirsi in dispute intestine provinciali, nel decidere chi veramente rappresenta i musulmani nella prospettiva di un «concordato» con lo stato italiano. Porre pregiudiziali o peggio ancora, come fa molta parte della stampa, affrettare identificazioni che non hanno alcun fondamento né storico né dottrinale (del tipo, la maggioranza dei musulmani italiani è infiltrata dai Fratelli Musulmani, i Fratelli Musulmani sono terroristi, dunque la maggioranza dei musulmani italiani è collusa col terrorismo) rischia di avvelenare e di rendere incandescente il confronto invece di risolverlo. Un esponente dell'Islam futuro Tariq Ramadan - piaccia o no, lo si giudichi sincero o meno - è un rappresentante autorevole dell'Islam europeo del futuro. Nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani al-Banna, ma nato a Ginevra, docente universitario in Svizzera e in Inghilterra, consigliere di Tony Blair, musulmano ma pienamente imbevuto di cultura occidentale, Ramadan è in grado di enunciare le coordinate di una dogmatica e di una prassi europea dell'Islam. Lo ha fatto nel 1999 con Essere musulmano europeo (tradotto in italiano da Città Aperta), autentico trattato di teologia, attualizzata alla luce della metodologia scientifica moderna. E lo fa oggi con L'Islam in Occidente (Rizzoli, pp. 333, euro 17,50) che appare un vero e proprio manifesto rivolto ai musulmani europei, perché ne traggano consiglio, e agli europei non musulmani che sono invitati a rendersi conto della nuova realtà e a comprenderne le motivazioni e anche le richieste. Due gli scopi dichiarati del libro: da un lato, rileggere le scienze islamiche tradizionali alla luce del nuovo contesto occidentale in cui i musulmani si trovano a vivere; dall'altro, indicare la via di una applicazione pratica dei nuovi orientamenti teorici. Innanzi tutto, dunque, si tratta di decostruire certe categorie del pensiero islamico tradizionale che richiedono non già di essere negate, ma di essere adattate. Così, si ribadisce che la trascendenza e l'unicità di Dio e l'assoluta originalità dell'esperienza profetica di Maometto sono costitutive del monoteismo islamico. Ma, al di là di questo principio dogmatico di base, Ramadan avanza alcune utili proposte. La sharia non deve più essere intesa come un corpo rigido di norme ma, interpretando l'autentico significato del nome che allude al cammino verso una sorgente d'acqua, come una «via» che indica la direzione morale dell'agire dei musulmani. In tal modo, se ne potrà abolire la rigidità distinguendo tra princìpi essenziali e modalità della loro attuazione. L'antica distinzione tra la «casa dell'Islam» dove vige un governo musulmano e la «casa della guerra», cioè il territorio dei non musulmani contro i quali condurre la «guerra santa», non ha più senso di esistere e del resto non appartiene né al Corano né all'universalismo dell'Islam. Viene così neutralizzato un principio giuridico ambiguo, cui il terrorismo attinge: nei confronti della casa della guerra non vi può essere che solo momentanea tregua, mentre la situazione normale è quella del conflitto. Culto senza costrizioni Al contrario, per Ramadan e i musulmani europei, l'Europa è essa stessa «casa dell'Islam». Anzi, è veramente casa dell'Islam perché in Europa l'Islam può essere professato liberamente, senza le costrizioni cui spesso i musulmani sono sottoposti dai regimi autoritari o dittatoriali dei paesi di origine. Allo stesso modo, il non musulmano non è un miscredente, ma semplicemente uno che non accetta (kafir, che letteralmente vuol dire «colui che nega») i princìpi religiosi dell'islam; naturalmente perché ne condivide altri, legittimi come sono legittimi quelli islamici. Così, è necessario parlare della donna in quanto donna, cioè in quanto individuo e persona, e non più solo relativamente alla sua funzione sociale, che l'Islam patriarcale - come lo sono state e lo sono ancora in parte quasi tutte le società umane e non solo quelle mediterranee - identifica nel fatto di essere moglie e madre. Dopo la decostruzione, vi è la costruzione. Ramadan insiste particolarmente sull'etica della cittadinanza. I musulmani europei devono sentirsi cittadini d'Europa e cittadini dei singoli paesi europei che li ospitano, senza complessi di inferiorità e senza sentirsi «diversi». Ciò impone che i musulmani europei debbano conoscere approfonditamente l'ambiente in cui vivono, imparare alla perfezione la lingua parlata dagli europei con cui convivono, evitare la ghettizzazione e obbedire alle leggi dello stato di cui sono cittadini. In questo contesto, i musulmani devono attivamente impegnarsi nella politica e nella società, partecipando alle elezioni per esempio, e addirittura cercando, se possibile, di essere eletti; partecipando alle associazioni della società civile, affiancando a quelle già presenti le associazioni musulmane. Senza che questo implichi, in alcun modo, la costruzione di un ipotetico e fumoso «stato islamico». Neppure vi è bisogno di identificare la religione e la politica, come ha fatto l'islamismo radicale; anche se, è ovvio, l'Islam e l'ispirazione religiosa debbono innervare l'azione sociale e la partecipazione dei cittadini musulmani europei alla vita pubblica. Si tratta per Ramadan di un compito storico. I musulmani europei, infatti, come egli dice esplicitamente, sono e debbono essere la «coscienza del sud del mondo», la voce di chi non ha voce, per la rivendicazione della giustizia e della dignità. Questo impegno e questa consapevolezza sono l'autentico jihad. Il libro propone dunque ai musulmani europei (e italiani) e agli europei non musulmani una sfida di merito, ma anche di metodo. Ramadan rivendica infatti orgogliosamente l'identità musulmana nell'alterità del rapporto con l'altro, l'europeo. Nell'età della globalizzazione si tratta di non relativizzare i principi universali dell'Islam, se pur adattandone quelli che universali non sono e appaiono modificabili alla luce della storia. Così si aprirà un dialogo pluralistico. Del resto è vero che il dialogo non si fa pretendendo che l'altro diventi come noi, in nome di una universalità dei valori, i nostri, che possono e debbono essere esportati. La democrazia ad esempio, se imposta come in Iraq, appare più una prevaricazione che un aiuto al progresso. Tolleranza non significa sopportazione, ma accettazione e rispetto dell'altro per quello che è: l'europeo, cristiano o meno, nei confronti del non europeo, musulmano o meno; e viceversa. Solo così il confronto è dialogo e non scontro, di civiltà, di religione o semplicemente di soggettività e di interessi.
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