La Gran Bretagna scopre che il multiculturalismo non funziona polemiche sul velo e sulla sorveglianza degli estremisti
Testata: Il Foglio Data: 16 ottobre 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Londra toglie il velo al multiculti, guerra culturale in casa Blair»
Dal FOGLIO del 17 ottobre 2006:
Londra. Un nuovo filone di “cultural issues” che in passato avrebbe conquistato soltanto pochi eletti si è insinuato nei corridoi della politica britannica ai danni delle tradizionali beghe di partito. L’ultima idea l’ha lanciata il ministro per le Comunità, Ruth Kelly, che ha promosso una campagna ufficiale per persuadere i musulmani britannici “moderati” dei rischi per la sicurezza nazionale causati dalla presenza di correligionari estremisti: particolare attenzione, dice Kelly, dovrebbe destare il reclutamento nei campus universitari, considerati “terreno fertile di arruolamento”. Nel governo si comincia a parlare di monitoraggio preventivo, come ha rivelato il Guardian, “se è vero – ha commentato Wakkan Khan, presidente della Federazione degli studenti islamici (Fscis) – credo sia la più grave violazione ai diritti degli studenti musulmani che si sia mai verificata in Gran Bretagna”. In passato, la questione delle “faith schools” – le scuole gestite da enti religiosi, anglicane piuttosto che cattoliche – ha suscitato poco interesse fra gli elettori. Ma l’annuncio fatto domenica da Alan Johnson, ministro per l’Educazione, e candidato a vicepremier, se non a premier, che d’ora in poi tutte le nuove “faith schools” devono invece offrire fino al 25 per cento dei posti agli alunni di altre fedi – o di nessuna fede – ha suscitato un forte dibattito. Se per i musulmani si tratta di un tentativo cristiano di annacquare il loro diritto all’autonomia, per i Tory di David Cameron vale il loro appoggio alla bozza di legge di Johnson. Un aspetto non minore del recente discorso a sorpresa del General Sir Richard Dannatt, capo delle forze armate, che sembrava criticare la politica e la strategia del governo, è stata la sua denuncia dei guai per una civiltà britannica che dimentichi le proprie radici giudaico- cristiane. Qualche anno fa, un appello simile per gli inglesi sarebbe risultato non tanto fuori luogo da parte di un capo militare quanto incomprensibile. Ora le parole di Dannatt hanno colto nel segno. Così, per conquistare l’elettorato, quasi tutti i partiti inglesi iniziano a prendere confidenza con storie come questa e anche Tony Blair sembra voler far suoi i temi dell’identità. Jack Straw, ex ministro degli Esteri, qualche settimana fa ha scritto su un giornale di provincia che, se le sue elettrici musulmane fossero andate a trovarlo, gli avrebbe fatto piacere vederle senza il niqab (il velo che copre tutto il viso tranne gli occhi). Ne è nato un putiferio politico. Larghi settori della “comunità islamica” hanno gridato allo scandalo. Gli umori dell’opinione pubblica sono alterati da questo dibattito e la politica sembra aver riscoperto una già forte tendenza nazionale, ripresa con il caso della ventiquattrenne Aishah Azmi, l’insegnante sospesa dalla scuola elementare per essersi rifiutata di togliersi il niqab davanti agli scolari. Nessuna obiezione se lo portasse nei corridoi o nella sala dei professori, meglio evitare di fronte ai ragazzi che presentano problemi di “apprendimento” causati da una conoscenza non ottimale dell’inglese acuita dal fatto che nei corridoi parlano arabo. L’intellighenzia di sinistra si è schierata con lei. Ha inoltre creato uno scandalo fra i musulmani il fatto che un “loro” deputato, il laburista Shahid Malik, abbia dato ragione alla scuola, come ha fatto il viceministro per le Comunità Phil Woolas. Un altro caso, quasi speculare, è quello di Nadia Eweida, cristiana 55enne, che lavora per la British Ariways, a cui è stato ordinato di togliere, pena il licenziamento, il minuscolo crocefisso che porta al collo. A prescindere delle varie interpretazioni date alle motivazioni della signora, impressiona l’enfasi che alcuni politici stanno dando al caso. Dato il curioso risveglio delle questioni etiche, forse non sorprende più che l’ambizioso (e finora laicissimo) Peter Hain, ministro per l’Irlanda del Nord (candidato alla successione per il vicepremierato), sia intervenuto in favore non del principio del laicismo sul lavoro, ma dei diritti della signora Eweida. “La British Airways è pazza”, ha commentato sul Times, trattando un argomento che in passato i politici inglesi hanno sempre evitato.
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