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La Stampa Rassegna Stampa
17.10.2006 Shock nazionale in Israele per le accuse a Moshe Katzav
un articolo di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 17 ottobre 2006
Pagina: 13
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Scandalo Katzav Un sorriso dolce e le mani lunghe»
Da La STAMPA del 17 ottobre 2006:

La casa del presidente a Gerusalemme è tutta di pietra bianca, di vetrate esposte al sole, fiorita, aperta di continuo alle visite della popolazione e delle delegazioni straniere, situata fra i giardini delle più belle case ottomane o Bauhaus della capitale, a pochi metri dal «Teatron» dove la rigorosa e colta borghesia israeliana va spesso al concerto o a teatro. La casa del presidente, Beit Hanassi, è oggetto di orgoglio per il Paese, sede di grande gioie e grandi dolori, ma mai era stato luogo di vergogna. Ieri sera, circondata da giornalisti delusi, per la prima volta si è trasformata in una tana in cui si è nascosto il presidente d’Israele Moshe Katzav, su cui pende un’incriminazione - per ora solo consigliata dalla polizia all’Avvocatura dello Stato - per stupro e atti indecenti.
Un’intera squadra di segretarie e impiegate dei vari uffici della presidenza lamenta da parte di Katzav comportamenti che sono stati descritti fino alla più minuta pornografia dall’implacabile informazione israeliana. Katzav si è dibattuto e seguita a dibattersi in un mare di biasimo, sostenendo la sua piena innocenza e ripetendo, persino adesso, dopo che ha dovuto rinunciare ieri a presentarsi all’apertura della sessione invernale della Knesset, che non si dimetterà. Invece presto dovrà farlo, e allora sarà completa la ferita storica che Israele ha subito con la vicenda.
Per capire quanto essa sia grave, bisogna sapere quanto sarebbe stato significativo Katsav se avesse portato decentemente a termine il suo mandato. Quando nel 2000 vinse le presidenziali battendo Shimon Peres, si trattò per Israele di una rottura politica profonda. Il giornale Ha’aretz, che essendo di sinistra rimpiangeva che il suo uomo migliore dopo l’assassinio di Rabin non avesse vinto, pure si disse soddisfatto. Saliva al vertice un uomo nato nel 1945 in Iran, che aveva patito la fame con i suoi da bambino (era immigrato a 6 anni), faticando per costruire Israele nella piccola città di sviluppo di Kyriat Malachi, che aveva lavorato duramente per mantenere la famiglia d’origine e che a 24 anni, nelle file del Likud, era già sindaco. Da lì, la carriera di Katzav lo aveva portato a ricoprire ruoli ministeriali non di primo piano ma sempre onorevoli, compreso quello di vice primo ministro. Ha’aretz, quando divenne presidente della Repubblica scrisse: «La carriera di Katzav è la prova che anche i cittadini delle città di sviluppo possono partecipare alla vita politica e raggiungerne le vette. Adesso è speranza comune che egli sarà il simbolo e il rappresentante dello Stato d’Israele e della sua frammentata società con integrità, coraggio, e grazia».
Oggi suona ironico, ma così si propose Katzav: un coraggioso ebreo mediorentale, un sefardita, che condivideva finalmente la leadership con gli ebrei di origine europea ashkenazita, con l’intento di tenere insieme mediando le diverse etnie spesso in conflitto. Promise di essere presidente di tutti gli israeliani, compresa la comunità araba che infatti probabilmente fu decisiva per fargli vincere le elezioni alla Knesset con due voti di differenza.
Accompagnato sempre dalla moglie Ghila - che in questi mesi ha tenuto un comportamento molto dignitoso, solidale, pacato anche se la sua sofferenza era ben visibile all’occhio onnipresente delle telecamere - era apparso a molti come una figura pacificante: un sorridente quieto signore, devoto all’idea della pace, al fianco di Sharon al momento del disimpegno da Gaza, religioso senza fanatismi, tradizionalista, che svolgeva un lavoro di importante rappresentanza nel mondo con tono mite, senza darsi troppa importanza. C’era tuttavia nel suo troppo basso profilo qualcosa di stridente, che probabilmente ha a che fare con il calo del ruolo presidenziale nella storia di Israele: non aveva nulla delle grandi figure del passato; secondo lo scrittore Hillel Halkin, era noto solo come l’uomo dal dolce sorriso a fronte di personaggi storici come il primo presidente Chaim Herzog, una figura torreggiante nella storia del sionismo, o Yzchak Ben Zvi e Zalman Shazar, pionieri intellettuali del sionismo socialista, saggisti, autori di libri teorici e storici; o come Ephraim Katzir, Yzchak Navon e Ezer Weizman. Dopo questi scienziati, politici e soldati era arrivato Katzav con la sua storia di sacrifici che piaceva al popolo, e l’abilità del politico che aveva saputo procurarsi voti di deputati più diversi, dagli arabi a Shas.
Un presidente noto solo per il suo rassicurante sorriso. Ma dietro, sembrerebbe, si agitava una natura inappagata e pigliatutto, un dongiovannismo dominatore fino alla violenza, e forse qualcosa di psichicamente peggiore, su cui non vogliamo strologare. Certo, ora si dice che tutti sapevano che quel gentile presidente era un pericolo per ogni donna che passava dal suo ufficio. E’ uno shock nazionale, e la delusione, il disgusto occupano la mente e i discorsi di ciascuno, e aumentano un senso di sfiducia nella classe dirigente che non ha saputo condurre la guerra contro gli Hezbollah in modo soddisfacente e che ha a suo carico svariate inchieste giudiziarie. Un Paese che ancora oggi, vivendo in continuo pericolo, ha invece bisogno di eccellenza per essere governato.

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