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Il Foglio Rassegna Stampa
13.10.2006 Ecco perché sul caso Farina l'Ordine dei giornalisti sbaglia
un articolo di Toni Capuozzo

Testata: Il Foglio
Data: 13 ottobre 2006
Pagina: 1
Autore: Toni Capuozzo
Titolo: «Perché non mi piace l’ordine imposto dall’Ordine dei giornalisti»

Dal FOGLIO del 13 ottobre 2006:

Premessa: non amo gli appelli e le firme, forse avendone fatto sbornia in gioventù. Ma ho aggiunto la mia firma, per quel che conta, alla lettera di solidarietà a Lamberto Sposini, e di protesta contro la decisione dell’Ordine dei giornalisti di sospenderlo per tre mesi. L’ho fatto perché si è trattato di una sentenza assolutamente impropria, tesa a punire qualcosa che non costituisce reato, che non costituisce oggetto di indagine, e dunque tanto meno di condanna giudiziaria: la presenza di Sposini al Processo di Biscardi e le sue affermazioni in quella sede. Per come vedo le cose io, lo Sposini giornalista è stato, fino a poco tempo fa, il vicedirettore del Tg5, ed è quella la sede e l’attività eventualmente censurabile dall’Ordine professionale (sia detto per inciso: non mi fa velo l’amicizia e la stima che nutro per Lorenzo Del Boca, presidente dell’Ordine, nel ritenere, in punta di diritto e di fatto, l’Ordine un’anomalia tutta italiana). E non mi sembra che in quella sede, e in quella veste, Lamberto Sposini abbia fatto o detto o promosso alcunché di censurabile. Che Lamberto Sposini vada ospite, in qualità di juventino eccellente, a una trasmissione sportiva fa, per me parte delle passioni individuali di ciascuno, esattamente come un altro andasse a un degustazione di vini a esaltare il calice preferito, o se un collega sardo andasse a una conferenza dei sardi nel mondo, o io presenziassi a un convegno sugli esuli istriani: vita privata, diritti di privato cittadino, anche se esercitati in sede pubblica, bene o male, discutibilmente o no nei contenuti, ma in sacrosanta libertà. Che poi questo aspetto della vita privata non abbia rilevanza penale non fa che aggravare la decisione dell’Ordine di emettere, come fosse un atto dovuto, una sentenza. Avrebbe forse avuto il senso di un adeguamento tardivo, se Sposini avesse impiegato il proprio tempo libero per andare a fare una rapina, e fosse stato condannato dalla magistratura ordinaria, obbligando così l’autogoverno dei giornalisti a prenderne atto, come di un comportamento privato sì, ma incompatibile con l’etica della professione, ma è andata esattamente al contrario, quasi che l’Ordine rilevasse l’esistenza di un reato sfuggito alla magistratura, e glielo indicasse. Avrei firmato, se ne avessi avuto conoscenza, la lettera di solidarietà a Renato Farina, pubblicata da questo giornale: un gesto solitario, e di qualche giorno precedente la lettera, a Farina, di Silvio Berlusconi. L’avrei firmata a prescindere dalle questioni di fatto, in sdegno ad almeno due cose. La prima attiene alla campagna di denigrazione attorno al nome di Renato Farina, giunta al punto che qualche collega ha chiamato “Betullino” il figlio di Farina. La seconda è che il sindacato dei giornalisti si è sollevato contro la decisione dell’Ordine dei giornalisti lombardi di “limitarsi” a sospendere per un anno dall’albo Farina, invece di radiarlo. Anche qui: Farina sarà probabilmente rinviato a giudizio, le sue possibilità di difendersi sono tarpate dal segreto istruttorio, il giudizio dell’Ordine, per quanto criticato da sinistra per la sua “mollezza” anticipa il giudice naturale, si arroga un diritto che non gli compete. Cosa si imputa a Farina? I suoi rapporti con il Sismi, lo scambio di informazioni? Molti giornalisti ne hanno (o non si fece decenni or sono uno sciopero per Isman, e i suoi verbali di Peci?), e ancora di più sono quelli che intrattengono rapporti di questo tipo con le procure. Gli si addebita un tentativo di depistaggio? Si dica quale, come, perché, e in che articoli. A me risulta che il nocciolo della polemica ruoti, per quanto attiene a cose pubblicate, alla questione del ruolo della Commissione europea in materia di extraordinary renditions. Farina ha sostenuto la sua tesi documentandola, con documenti non smentiti: tesi opinabile, come tutte, ma non censurabile. Si sostiene che i documenti in mano a Farina facevano in qualche modo il gioco del Sismi, celandone il ruolo nella vicenda di Abu Omar? E che, i documenti passati dalle procure circolano per amore di verità, e disinteressatamente? Si accusa Farina di aver ricevuto soldi dal Sismi? E se Farina dimostrasse che quel denaro serviva a pagare le spese di viaggio di qualcuno decisivo nella liberazione di un ostaggio italiano? E se Farina, che sembra aver firmato regolare ricevuta per quei soldi – cosa strana, per una transazione immorale – non lo dimostrasse, in sede di giudizio, per salvare la vita di quella persona che contribuì a salvare un ostaggio? Ora il sindacato, impegnato nelle sue guerre per bande nell’anno delle elezioni dell’Ordine, può pretendere le sentenze che vuole. Per me ce n’è abbastanza per sospendere il giudizio, e andare a vedere. Non coltivo un senso di casta, ma non mi sono sentito sporcato dalle vicende le più diverse che hanno investito tanti colleghi, da Tosatti a Damascelli, da Fazzo alla Fusani. Conosco molti di loro, e coltivo, sì, un pregiudizio favorevole. Mi sembrano maramalde le sentenze contro colleghi in difficoltà, e mi infastidisce il moralismo così esibito. Mi diverte l’idea che sospensioni e radiazioni, non rispettate in nome del diritto costituzionale di ogni cittadino a esprimersi, spoglino la sacralità dell’Ordine. Sento come colleghi veri molti cameraman e fonici e fotografi che non sono mai stati iscritti all’Ordine, e racconto le differenze, ai colleghi stranieri, come di un’eredità fascista e un costume borbonico. Mi hanno offeso un po’ di più certe interviste inventate, certi servizi scritti da una camera d’albergo e firmati dal fronte. Lo sanno tutti: è merce diffusa, tra i giornalisti italiani, pur medagliati da un Ordine professionale senza pari. Ha mai detto qualcosa, l’Ordine, su questo vezzo, ha mai protestato il sindacato? Certo il costume non ha rilevanza penale. Silenzio sepolcrale, perché i protagonisti, spesso, sono quelli che firmano gli appelli giusti, politicamente corretti, non impopolari, conformi alla morale corrente.

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