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La Stampa Rassegna Stampa
12.10.2006 Il cattivo Israele, gli eroici hezbollah e il rassicurante Prodi
disinformazione sul Libano

Testata: La Stampa
Data: 12 ottobre 2006
Pagina: 10
Autore: Massimo Numa - Fabio Martini
Titolo: «Le bombe non sono cedri - No armi a Hezbollah Prodi rassicura Siniora»

Nell'articolo dell'inviato a Tiro Massimo Numa pubblicato dalla STAMPA  del 12 ottobre 2006 Israele appare come uno spietato aggressore e gli hezbollah come eroici difensori del Libano.
Vi si legge di "aree abitate, oggetto delle incursioni israeliane" (in realtà "oggetto delle incursioni israeliane" sono state postazioni , depositi d'armi e centri di comando dei terroristi, che questi ultimi hanno deliberatamante collocato nelle zone abitate) di "ordigni lanciati tra i civili", del sospetto che contenessero "misteriose sostanze" (ma le analisi lo hanno smentito "per ora", perché Israele è per principio sempre imputato) , di terroristi definiti "matiri", "guerriglieri", "combattenti" descritti come "ragazzi, venti, trent'anni"  caduti compiendo "gesta eroiche"  nel nome di Allah.


Ecco il testo completo:

Le macerie, qui, nei villaggi duramente bombardati dagli israeliani ora possiedono una seconda vita, assolutamente imprevedibile: i libanesi le smontano pezzo per pezzo, e recuperano il ferro, i fili elettrici, qualsiasi cosa possa essere riciclata. Chini nella polvere, recuperano libri impolverati, mobili fracassati, giocattoli, vestiti. Finiscono separati nei contenitori allineati nelle buche, con una certa cura minuziosa, presto riciclati senza pietà e senza rimorsi. Affiorano scheletri di scooter, confezioni di olio per auto, intatte, persino scatole di cibo.
Ricostruzione record
Così furgoncini scassati, antiche Mercedes, camion residuati di altri conflitti, trasportano intrichi di cavi, che trasformano i pianali in una specie di insetto fantastico. Strade che non esistono più, buche e crateri, check point dietro ogni curva. Ma non importa. Dicono che le case distrutte vengono ricostruite a tempo di record; nel frattempo, i sopravvissuti stendono i panni del bucato sul terrazzo sventrato e sul tavolo en plein air ci sono i fiori e le candele.
L’incubo è alle spalle
Hanno voglia di tornare a vivere, i libanesi, e lasciarsi alle spalle l'incubo della guerra. Kafra, Siddiquine, Cana, Yater, la periferia di Tiro con i palazzi che si afflosciano, colpiti dai razzi e nei balconi intatti, la gente cena sotto la luce rosa del tramonto. In ogni villaggio la guerra ha fatto esplodere una particolare economia, piccoli laboratori, fabbri, falegnami, piastrellisti, muratori; c'è da ricostruire, non c'è tempo da perdere. Dai cumuli di macerie, si respirano i miasmi inconfondibili della decomposizione; là sotto ci sono ancora corpi, o frammenti di corpi. E negli ospedali ci sono migliaia di persone ricoverate per le ferite dei bombardamenti, per le ustioni, per lo choc. L'esercito italiano lavora con i bisturi tutti i giorni, direttamente nelle piaga più infetta e pericolosa: bonifica le case, le campagne, i quartieri. Ci sono migliaia e migliaia di cluster bombs inesplose. Sono piccole, chiuse in contenitore di acciaio che si trasforma in schegge quando esplode. Talvolta sono segnalate da un piccolo e flessuoso nastro giallo.
L'Esercito Italiano non le ha, nel suo arsenale, per ragioni etiche. Israele invece sì, come tanti altri Paesi, e oggi, queste bombe che hanno lo scopo di distruggere uomini e mezzi, le trovi nei giardini, tra le macerie, nelle strade. Ovunque. Maneggiarle è pericoloso, anche per gli specialisti. La squadra mista, Marina e Esercito, che lavora nella base Tibnine, solo ieri ne ha fatto brillare una decina.
L’accoglienza è buona
Il capitano Luca Paladini del Terzo Reggimento Genio Eod (Exsplosive Ordinance desposal), affiancato dal pari grado, il tenente di vascello Roberto Menga, dal primo maresciallo Alessandro Antonini e dal maresciallo Luigi Pelosi, costituiscono uno dei team impegnati ogni giorno per restituire ai libanesi un minimo di normalità. Nelle aree abitate, oggetto delle incursioni israeliane, si può morire o restare mutilati in qualsiasi momento.
«C'è una grande e ovvia collaborazione - spiegano - sono loro i primi a segnalare la presenza di ordigni e noi arriviamo subito». Almeno, l'impressione generale è che le forze armate italiane siano state accolte bene, come nell'82, del resto. Ci sono stati pochi episodi negativi, come quando un gruppo di ragazzini ha lanciato pietre contro i blindati grigioverdi. «Presto saranno tutti bianchi, i più giovani non hanno ancora imparato a distinguere la nazionalità dei mezzi militari. Hanno negli occhi pessimi ricordi», dicono al comando.
L'imponente fisionomia del camion VM 90, che trasporta la squadra dei genieri, è diventata familiare in tutta la zona. Non è retorica, davvero la gente si avvicina ai mezzi, familiarizza con i militari, e li osserva da lontano mentre lavorano. Procedura rigida: segnalazione, isolamento, bonifica, cioè brillamento.
Il rischio bombe a grappolo
Se è di recente fabbricazione, la cluster viene fatta saltare subito. Diverso il sistema per gli altri ordigni inesplosi, che possono anche essere trasferiti in aree sicure. E' questo, forse, il vero senso dell'operazione Leonte, al di là delle alte questioni strategiche e politiche. Il capitano Giuseppe Stellato, del 7° Reggimento Difesa Nbc (Nucleare Biologico e Chimico) racconta di avere scoperto, nelle acque della zona, una terribile forma di inquinamento provocata dalle carcasse di animali abbandonate ovunque. C'era il sospetto che i malori denunciati da alcuni operatori libanese fossero stati provocati da misteriose sostanze contenute negli ordigni lanciati tra i civili. «Le analisi hanno chiarito questo aspetto e per ora non abbiano segnalato nulla di anomalo, nel terreno».
Dal 2 settembre a oggi, sono stati individuate migliaia di bombe d'ogni tipo. Costituiscono un pericolo continuo. Per tutti i civili, non solo i bimbi. Le inesplose si infilano nelle fenditure nel terreno, restano appese ai rami. Se le tocchi, possono esplodere. E da giorni e giorni la guerra continua a fare vittime, come se lo scontro tra Hezbollah e Israele non fosse solo un incubo lontano.
Onore ai martiri
I guerriglieri sembrano spariti nel nulla; i responsabili della sicurezza del nostro contigente dicono: «Per ora nessuna minaccia effettiva». Il livello d'allerta è «green», verde, cioè medio basso. Sopra c’è il rosso, stato d'allerta, e nero, pericolo imminente. Ma i miliziani sono semplicemente sott'acqua, secondo la vecchia regola della guerriglia. Le tracce? In ogni villaggio, le fotografie dei combattenti morti in battaglia sono diventati quadri, appesi ai pali della luce, assieme a quelli di Nasrallah e degli altri leader sciiti. Decine di immagini di ragazzi, venti, trent'anni, sotto la luce al neon dei distributori di benzina, davanti alle botteghe arabe, ai cantieri che nascono e si moltiplicano ogni giorno con una velocità pazzesca.
I nomi e le gesta: eroiche, e sempre nel nome di Allah. La presenza di Hezbollah è tutta qui, a parte gli striscioni gialli che compaiono sui palazzi abbattuti dai razzi israeliani. Quelli verdi sono del movimento Amal, del vecchio leader Berry. Ma quelli con l'effige dello sceicco Nasrallah sono in netta prevalenza. I nostri soldati hanno imparato a muoversi in questa realtà solo in apparenza tranquilla. Si temono gesti isolati, e nel mirino restano i palestinesi dei campi profughi. Tra loro sarebbe attiva una cellula di Al Qaeda. Mai abbassare la vigilanza.

"«No armi a Hezbollah» Prodi rassicura Siniora" è il titolo dell'articolo di Fabio Martini sul viaggio in Libano del nostro presidente del Consiglio.
Purtroppo, come con un po' di fatica si può capire anche dall'articolo, Prodi non ha "rassicurato" Siniora (che non sappiamo quanto ne sarebbe stato sollevato...) sul fatto che Hezbollah verrà privato delle sue armi, ma, al contrario, ha spiegato che la sua interpretazione della risoluzione 1701 non prevede nessun disarmo ad opera dell'Unfil.
Tutta un'altra storia dunque.
Segnaliamo anche che non vengono ricordati i crimini dei libanesi detenuti in Israele dei quali Hezbollah e Siniora chiedono la liberazione (per esempio, scrive Yossi Klein Halevi, "Uno di questi è Samir Kuntar, terrorista dell'Olp: nel 1979 ha fatto irruzione in un appartamento a Naharya, a nord di Israele, ha preso in ostaggio padre e figlio e ha fracassato la testa del bambino contro una pietra
." 
Ecco il testo:


Sul ponte della portaerei Garibaldi il marinaio addetto al microfono annuncia «il presidente del Consiglio, onorevole Romano Prodi» e chiama l'attenti. Il Professore, passati gli onori militari, prende i suoi fogli scritti a mano e legge ai militari in missione in Libano un discorso pieno di sostantivi e aggettivi palpitanti: «Sono orgoglioso di essere qui tra di voi», «siate orgogliosi per il compito delicato che state realizzando», «sappiate che l'Italia è orgogliosa di voi», «che siete una forza convinta e discreta della moderazione», «operatori di pace che portano tutto il bagaglio di comprensione e tolleranza che è oramai è elemento caratteristico delle nostre forze all'estero». E a coronamento del discorso: «Senza lo sforzo dell'Italia la missione di pace non sarebbe stata possibile».
Un'ora prima, passando in rassegna le truppe di terra, a Tibnin, nella regione che in estate era stata al centro dell'attacco israeliano, il Presidente del Consiglio aveva letto agli uomini del contingente Unifil lo stesso discorso, fatta salva qualche modifica lessicale. Un replay che oltre ad una certa ritualità, dimostra il valore prevalentemente celebrativo e autocelebrativo - ad uso delle telecamere - della breve missione in Libano, che ha visti impegnati per tutta la giornata di ieri il presidente del Consiglio e il ministro della Difesa Arturo Parisi.
Oltre a salutare le truppe italiane, Prodi ha incontrato il primo ministro Fouad Siniora, col quale ha un feeling speciale e al quale ha chiesto una volta ancora di attivarsi per liberazione dei due soldati israeliani rapiti dagli Hezbollah, vicenda che ha dato il via all'ultima grave fiammata in Medio Oriente: «Ho sollevato il problema - ha raccontato Prodi in conferenza stampa - perché in tutti gli incontri con gli israeliani questo problema mi è stato posto con grande importanza ed emozione. La loro liberazione rappresenterebbe un aiuto alla soluzione dei problemi di sicurezza dell'area». Siniora, che era al fianco di Prodi, ha annuito, ha assicurato l'impegno, ma ha ricordato che anche gli isrealiani devono liberare i prigionieri libanesi (peraltro condannati da regolari tribunali) che si trovano nelle carceri di Israele. In compenso Prodi ha rassicurato Siniora circa la possibilità che possa essere modificata (in senso coercitivo verso gli hezbollah) la delibera dell'Onu: «La risoluzione ha regole e limiti ben precisi, ma va applicata senza esitazioni e ambiguità».
Al termine del colloquio tra i due primi ministri, Fouad Seniora ha espresso la propria «gratitudine» verso Prodi e verso l'Italia, «che hanno portato la pace in Libano». Dopo gli incontri politici, il saluto alla base di Tibnin (a regime i soldati italiani saranno 2500), dove Prodi e Parisi hanno fatto la tradizionale fila con i soldati per il rancio. Al di là della personale sintonia tra Prodi e Siniora, restano i problemi sul campo, in particolare l'irriducibilità degli Hezbollah e la difficoltà di impedire, non tanto un disarmo, quanto un ulteriore riarmo.

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