Speravamo tutti che alle sofferte e difficili decisioni dell’ONU e dell’Unione Europea per la costituzione di una efficace forza di pacificazione nel Libano potesse seguire un periodo di tranquillità (relativa, perché in quella regione il nostro concetto di tranquillità è purtroppo sconosciuto).
Non è così, anche se i media a questo proposito tacciono o disinformano o, nel migliore dei casi, ci raccontano mezze verità.
Partiamo dal conflitto oramai evidente ed aspro fra Fatah e Hamas per il potere nei territori palestinesi. I media ci fanno credere da tempo che i buoni sono quelli di Fatah facenti capo al presidente Abu Mazen, i cattivi quei birichini di Hamas che si ostinano a non voler riconoscere Israele. Del militare israeliano rapito non si sa più nulla, salvo che ogni tanto chiedono in cambio della sua liberazione il rientro in Palestina di terroristi incarcerati in Israele o di personaggi che sono ospiti del presidente siriano Assad e da Damasco guidano da anni la guerra del terrorismo palestinese contro Israele.
Ma è proprio così? Che il rapimento di militari israeliani faccia parte della strategia pianificata da tutte le forze palestinesi abbiamo già scritto, producendo documenti e testi di discorsi ufficiali. Ma anche il riconoscimento di Israele non divide Fatah da Hamas altro che sull’uso spregiudicato di parole e concetti, con esercizi di equilibrismo che lasciano in ombra la reale portata delle dichiarazioni giocando sull’equivoco del detto/non detto.
Lo scorso 3 ottobre, il giorno dopo aver detto a Condoleezza Rice che egli avrebbe indotto Hamas a riconoscere lo stato d’Israele come precondizione per formare un governo di unità nazionale, il presidente palestinese Abu Mazen ha rilasciato un’intervista in lingua araba al canale televisivo del Dubai Al-Arabiya. Riportiamo alcune delle sue dichiarazioni tradotte da PMW (http://www.pmw.org.il/Bulletins_Oct2006.htm#b081006 ):
Domanda: Quali sono i punti di disaccordo con Hamas per la formazione di un governo di unità nazionale?
Risposta: “Uno dei paragrafi principali ai quali Hamas si oppone è quello dell’iniziativa araba (la proposta di pace avanzata dall’Arabia Saudita, ndt)…Loro affermano che l’iniziativa non si occupa del problema dei rifugiati. Io dico che l’inclusione del tema dei rifugiati è chiaro come il sole. Vi è una clausola che chiede una soluzione giusta e concordata del problema dei rifugiati secondo il testo della risoluzione 194 dell’ONU…Un altro tema (di disaccordo) è che loro dicono che l’iniziativa araba riconosce Israele. Il documento afferma che se Israele evacuerà territori arabi, se Israele evacuerà terre palestinesi, e se verrà costituito uno stato palestinese, e se il problema dei rifugiati verrà risolto, tutti gli arabi normalizzeranno le loro relazioni con Israele…”.
Domanda: Ma forse Hamas ha ragione se si rifiuta di riconoscere Israele.
Risposta: “Hamas non è obbligata, Hamas non è obbligata a riconoscere Israele…Non lo si richiede a Hamas, né a Fatah, né al Fronte Popolare (per la Liberazione della Palestina) che riconoscano Israele, va bene?” L’OLP, nel 1993, ha riconosciuto Israele. Così come Israele ha riconosciuto l’OLP…Ma il governo che sarà costituito, e che si confronterà con gli israeliani ogni giorno…ogni ora e forse ogni secondo, ci saranno contatti fra ministri palestinesi e ministri israeliani. Ed io chiedo: come possono questo governo o questi ministri non riconoscere le loro controparti se vogliono risolvere i problemi?...Pertanto io non chiedo a Hamas né a chiunque altro di riconoscere Israele. Ma al governo che lavora con gli israeliani giorno per giorno, sì”.
Dire in inglese ciò che piace agli occidentali ed in arabo ciò che si pensa realmente è da sempre una prerogativa dei palestinesi, troppo trascurata dai nostri media proprio perché sgradita e sgradevole. Ma è questa la realtà, ed a poco serve distoglierne lo sguardo. Domenica 8 ottobre un sito web islamista ha divulgato immagini e testi delle Brigate Izz al-Din Al-Qassam, braccio armato di Hamas. Il testo era esplicito: “Come trasformare il proprio figlio in terrorista”. Le immagini mostravano bambini posti davanti ad un computer che faceva scorrere filmati di azioni terroristiche o davanti a fotografie di Osama bin Laden. Lo stesso giorno un altro sito islamista invitava ad aggregarsi alle cellule palestinesi di Al Qaeda (fonte:MEMRI).
Da qui alla propaganda antisemita il passo è breve, e rientra oramai da tempo nelle consolidate abitudini culturali del mondo arabo. Tra luglio ed ottobre dello scorso anno il quotidiano saudita Al-Madina ha pubblicato una serie di articoli di Najah Al-Zahhtar intitolati “Il serpente attorno al nostro collo” che cercavano di accreditare come autentica la leggenda del più classico antisemitismo occidentale (di origine russa) nota come “I Protocolli dei Savi di Sion”, che viene spesso usata allo scopo di dimostrare le tesi del complotto ebraico per dominare il mondo. Scriveva la giornalista introducendo l’argomento: “L’ebraismo vi (voi musulmani) guarda con disprezzo, rende lecito uccidervi e rende lecito danneggiare la vostra religione, il vostro onore, i vostri valori. Esso ha meticolosamente pianificato e realizzato i propri schemi durante migliaia di anni…(Se non credessimo a questo complotto) saremmo come un uomo la cui casa e la cui famiglia sono state prese di mira da un ladro che prima lo aveva avvertito e gli aveva comunicato tutti i dettagli di questa aggressione. Ma l’uomo ha ignorato l’avvertimento fino a quando il ladro gli ha puntato contro un fucile. In quel momento…era troppo tardi oramai, il ladro aveva già premuto il grilletto…”. Nel suo articolo del 29 settembre, dopo aver pubblicato e commentato ogni singola frase dei Protocolli, la giornalista ha scritto che il sionismo intende “corrompere le fedi, combatterle, svuotarle ed indurre i popoli a dubitare delle proprie religioni…il sionismo mira a distruggere tutte le fedi religiose per far restare solo quella ebraica…Esso crede che le religioni hanno una grande influenza sulle nazioni in quanto perseguono il vero amore e la pace, inducendo tutti a vivere in armonia e sicurezza. Ma ciò è contrario ai piani sionisti…”. Ed il 4 ottobre: “Durante il mese del Ramadan le forze del male si uniscono per produrre tentazioni e divertimenti sotto forma di spettacoli televisivi, giochi e festival musicali per estinguere la luce di Allah nei cuori dei credenti…Il serpente sionista ha capito che il miglior modo per paralizzare le nazioni…è di farle annegare in un mare di piaceri terreni…Durante il Ramadan il sionismo mondiale consente alle donne ebree di sedurre giovani uomini. Anzi, considera questo comportamento un servizio all’ebraismo…”.
Analogamente i palestinesi, a cominciare da Arafat che usò questa falsificazione storica con molta disinvoltura, hanno costruito un assioma che in occidente ha trovato una singolare diffusione totalmente inattaccabile da qualsiasi capacità critica: Gesù era un palestinese, non un ebreo; di conseguenza i palestinesi sono oggi crocifissi come il loro antenato Gesù era stato crocifisso dagli antenati dei sionisti. Esiste da molti anni una vastissima iconografia fatta di vignette satiriche e di altro materiale che diffonde per immagini questo falso; ma alla base vi sono scritti anche di insigni accademici e leaders politici che tentano di accreditare una storia parallela per i palestinesi allo scopo di costruire per loro una identità specifica, dato che fino al 1965 questa diversità dei palestinesi dal resto del mondo arabo/islamico era del tutto ignota a loro stessi. Le stesse Nazioni Unite, nelle loro prime risoluzioni, parlano di rifugiati “dalla Palestina” e non di rifugiati “palestinesi”. Il 17 gennaio 2005 il quotidiano palestinese Al-Hayat Al-Jadida ha persino scritto che Gesù è stato “il primo shahid (martire) palestinese nel nome di Allah”. Lo stesso quotidiano scrisse il 18 novembre 2005 che “non dobbiamo dimenticare che Gesù il Messia, sia pace su di lui, è palestinese, figlio di Maria la Palestinese”.
La delegittimazione di Israele, che fornisce il motivo a causa del quale il mondo arabo non dovrà riconoscere l’esistenza di questo stato, passa dunque attraverso la deligittimazione degli ebrei e della religione ebraica, fino a far divenire queste le due facce della medesima medaglia.
E che questo silenzio dei nostri media sugli aspetti più dirompenti dell’atteggiamento del mondo arabo non sia innocuo e privo di ricadute nell’immaginario collettivo è dimostrato anche dal sondaggio, attualmente verificabile su rai.it, che chiede di pronunciarsi su quale sia il paese potenzialmente più pericoloso al mondo dal punto di vista della minaccia nucleare: Israele è stato segnalato dal 15% dei votanti, esattamente quanti (nei giorni delle infuocate polemiche sull’avvenuto test di una bomba atomica e sulle informazioni a proposito di questa dittatura sanguinaria) hanno indicato la Corea del Nord