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Il Foglio Rassegna Stampa
11.10.2006 La Corea del Nord minaccia di usare l'atomica e traffica con Iran e Siria
ormai è chiaro il "containment" non funziona

Testata: Il Foglio
Data: 11 ottobre 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione - Daniele Bellasio
Titolo: «Una guerra persa»

La Corea del Nord nucleare collabora anche con l'Iran? Un articolo dal FOGLIO dell'11 ottobre 2006:

Roma. “Il trasferimento di armi o materiale nucleare dalla Corea del nord ad altri stati o entità non statali sarà considerato una grave minaccia per gli Stati Uniti”, ha detto il presidente americano George W. Bush in seguito al test nucleare condotto da Pyongyang, che ieri ha minacciato di lanciare missili atomici. Le parole di Bush hanno risvolti economici notevoli per il regime, poiché la sopravvivenza finanziaria del regno di Kim Jong Il si basa sull’export di tecnologia militare: kalashnikov, mine e armi convenzionali sono da anni diretti in Africa, ma soprattutto missili balistici e tecnologia necessaria a produrre armi e testate missilistiche chimiche e biologiche sono esportati verso molti paesi islamici. Decine di missili Scud offerti alla Libia, allo Yemen e alla Siria – che deve a Pyongyang anche la capacità di produrre armi chimiche – sono Hwaesong nordcoreani modificati e migliorati per raggiungere i 500 chilometri d’azione. Parte dell’arsenale dell’Iran, inclusi i razzi a medio raggio Shahab 3 e 4, derivano dagli Hwaesong, Nodong e Taepodong nordcoreani: così, con il supporto tecnico degli specialisti del “Caro leader”, Teheran ha raggiunto l’autosufficienza nella produzione di bombe e di missili a lunga gittata.
Sul fronte nucleare, i progressi nordcoreani, che hanno portato a realizzare almeno mezza dozzina di ordigni atomici, sono nati dall’accesso alla tecnologia pachistana, ripagata con il passaggio verso Islamabad di nuove tecniche: i vettori più potenti a disposizione dell’arsenale del presidente Pervez Musharraf sono i missili Ghauri e Tipu, derivati dai Nodong e Taepodong.
L’intelligence statunitense infine sospetta che Teheran abbia cofinanziato il test nucleare per acquisire dati utili allo sviluppo di testate atomiche. Gli iraniani avevano investito ingenti risorse anche nei test missilistici nordcoreani del luglio scorso, uno dei quali, fallito, riguardava un vettore Taepodong 2 bistadio sviluppato anche in Iran dove è stato battezzato Shahab 5. Oltre a rifornire con miliardi di dollari le esauste casse dello stato, il riarmo strategico e in particolare il test nucleare nordcoreano rappresentano anche un diversivo utile a distrarre la comunità internazionale dalla questione posta dal programma atomico iraniano.

Sempre dal FOGLIO, l'analisi di Daniele Bellasio sul fallimento della strategia del "containment" evidenziato dal test nordcoreano e della corsa all'atomica iraniana:

Roma. Se due squadre di calcio rischiano la retrocessione e si scontrano all’ultima di campionato, sapendo ciascuna di non poter battere l’altra ma salvandosi entrambe con lo 0 a 0, alla fine pareggiano. Questa regola è stata alla base di mezzo secolo di ordine mondiale garantito dal controbilanciamento del potere deterrente degli Stati Uniti e dell’Urss, superpotenze in grado di mantenere, tra crisi e attriti, un certo grado di disciplina nelle rispettive aree di influenza. Dopo l’implosione dell’impero sovietico e l’11 settembre 2001, quell’ordine è saltato, ma la lezione è stata ben appresa dai regimi totalitari e dai gruppi terroristi, che pur di prolungare la loro vita (quella dell’Urss non fu breve e la Russia di oggi è ancora una potenza proprio grazie al suo arsenale) mirano a ottenere la stessa forza nucleare, minacciando pace, sicurezza e stabilità. Per l’Iran e la Corea del nord oggi tutto è più semplice perché manca una superpotenza a loro vicina in grado di (o intenzionata a) mantenere fino in fondo la disciplina, non potendo gli Stati Uniti correre a tappare falle e a impedire la nascita di pericoli ovunque nel mondo a causa delle risorse comunque limitate, ma non solo: sai che discorsi di Villepin e manifestazioni di piazza e rappresaglie geopolitiche contro lo sceriffo del mondo. Il test di Pyongyang è quindi un affronto e un fallimento per la Cina, che vuole mantenere la supremazia atomica in estremo oriente e che dall’Amministrazione Bush, per opera dei repubblicani “realisti” come Colin Powell e Richard Armitage (allora alla guida del dipartimento di stato), sensibili ai consigli del maestro Henry Kissinger e dei suoi allievi, ha avuto mandato di risolvere in un clima multilaterale la questione della non proliferazione nucleare in Asia. Per Teheran e Pyongyang, tutto è ancor più facile perché nel mondo del Dopo dopo Guerra fredda bastano la spifferata ben documentata di uno scienziato pachistano (A. Q. Khan) e i traffici all’uranio tra stati canaglia per dotarsi di devastanti arsenali. Il test coreano, dopo decenni di diplomazia bilaterale e multilaterale, con aiuti offerti e dati, e con tanto di segretario di stato clintoniano, Madeleine Albright, in visita a Kim Jong Il il 22 ottobre 2000, e la corsa iraniana all’atomica jihadista, dopo anni di balletti negoziali con l’Onu e l’Europa, dimostrano che il containment non funziona più, non garantisce né favorisce un nuovo ordine mondiale. Soprattutto – ha scritto Charles Krauthammer nel gennaio 2003 – se dalla strategia del containment è esclusa a priori l’opzione militare. Perché – insegna il padre della dottrina del containment e nonno dei “realisti”, George Kennan – “non ci può essere una soluzione definitiva delle differenze con un governo che confidi nella finzione di una minaccia esterna” per sopravvivere. Nella “finzione”, appunto: la minaccia dev’essere credibile, ha spiegato Dan Blumenthal in un paper sul dossier coreano del giugno 2005 per l’American Enterprise Institute. Era più realista John Bolton, ora ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu, quando disse: ecco la nostra politica per la Corea del nord, indicando il libro “The End of North Korea”. Era il febbraio 2003. Bolton perse. Vinse la linea multilaterale di Powell-Armitage, dell’Onu, della Cina. E si vede.

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