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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.10.2006 Per Hezbollah l'Italia è il "miglior partner"
Lorenzo Cremonesi intervista un capo terrorista

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 ottobre 2006
Pagina: 15
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: ««Italia nostro miglior partner in Europa»»

Dal CORRIERE della SERA dell'11 ottobre 2006, un'intervista di Lorenzo Cremonesi a Nabil Kaouk, " massimo dirigente del «Partito di Dio» nel Libano meridionale" .
Fina dalle prime, defernti domande (
 "Cosa direbbe a Prodi, se potesse incontrarlo?" ,  "E come vede la nuova Unifil?" ) il capo terrorista ha modo di esporre senza contraddittorio la sua propaganda.
Ecco il testo:


TIRO — «Benvenuto Romano Prodi in Libano. La sua visita è molto apprezzata. Ma gli diremo anche che deve stare ben attento a evitare che le truppe Unifil diventino strumento nelle mani delle forze del cosiddetto Fronte del 14 febbraio, con in testa il leader druso Walid Jumblatt. Se così fosse, l'Hezbollah sarebbe costretto a reagire».
Amichevole, ma non senza punte di durezza, il massimo dirigente del «Partito di Dio» nel Libano meridionale ci riceve nel suo ufficio a Tiro dopo un attento controllo da parte delle sue guardie del corpo. Nabil Kaouk, 42 anni, originario di Haebba (un villaggio nei pressi di Nabatie) sino a poche settimane fa era introvabile. «Gli israeliani gli davano la caccia per rapirlo o assassinarlo», spiegano i collaboratori. Braccio destro del massimo leader dell'Hezbollah, Hassan Nasrallah, Kaouk è considerato anche un esperto di cose militari che ha contribuito a organizzare le strategie di combattimento negli ultimi 10 anni.
Formatosi alle scuole coraniche in Iran, la barba folta, il turbante bianco immacolato, lo sguardo fermo, sempre un poco ironico, non risparmia di tessere lodi per il governo italiano.
Cosa direbbe a Prodi, se potesse incontrarlo?
«Che la presenza dei militari italiani nel nostro Paese è doppiamente ben vista da dopo che avete deciso di ritirare il vostro contingente dall'Iraq. Finalmente avete dimostrato di prendere le distanze dagli Stati Uniti. In questo modo l'Italia torna a essere il nostro partner europeo più prossimo».
E come vede la nuova Unifil?
«Troppo presto per giudicare. I nuovi contingenti, compreso quello italiano, sono appena arrivati. Non hanno ancora raggiunto la piena operatività. Però vedo un pericolo: le forze tra i drusi, cristiani e sunniti che compongono il Fronte del 14 febbraio potrebbero cercare di piegare l'Unifil ai loro progetti politici interni. Guai se i contingenti internazionali in Libano dovessero venire usati per isolare o condizionare l'Hezbollah».
Hassan Nasrallah ha pubblicamente detto di possedere oltre 20.000 missili, ma ha anche ribadito che la vostra milizia nel futuro potrebbe disarmare. Quando accadrà?
«Certo non ora. Sino a che Israele occuperà parte del nostro territorio, violerà il nostro spazio aereo o marittimo e terrà cittadini libanesi in cella, noi ci prendiamo il diritto di agire militarmente».
Le vostre armi sono anche nelle zone controllate dall'Unifil a sud del fiume Litani?
«Senza dubbio. Ma sono nascoste bene, nessuno può vederle. E non sta all'Unifil venirle a cercare o spiare i nostri movimenti. Il disarmo sarà una decisione nostra, interna al processo politico libanese».
Vi prendete anche il diritto di incrementare i vostri arsenali?
«Diciamo così: decideremo noi la sorte dei nostri arsenali. Se l'Unifil nei suoi pattugliamenti sul territorio dovesse vedere convogli di armi potrebbe allora segnalare all'esercito libanese di requisirle. Ma, ne sono certo, nessuno vedrà mai le nostre armi. Queste al momento sono le regole sul campo».
Potrebbe tornare la guerra civile in Libano?
«Lavoriamo per evitare le crescenti tensioni interne. Anche per questo vorremmo sostituire l'attuale governo con una coalizione di unità nazionale».
Si dice che Al Qaeda stia mettendo piede in Libano, a partire dal grande campo palestinese di Ein Hilwe. È vero?
«Sappiamo che numerosi attentatori kamikaze che hanno provocato massacri di sciiti in Iraq venivano da Ein Hilwe. È un problema che potrebbe aggravarsi. Hezbollah teme coloro che tra i ranghi di Al Qaeda fomentano lo scontro tra sciiti e sunniti. Non è neppure escluso che qualche sunnita estremista legato ad Al Qaeda possa tentare attentati contro l'Unifil. Ma certo noi non abbiamo i mezzi per fermarli, è un compito che spetta all'esercito regolare libanese ».

Di seguito, le dichiarazioni sull'impegno italiano in Libano di Abraham Foxman, presidente dell'Anti Defamation League

ROMA — (m. ca.) «Apprezzo ciò che fa il governo italiano per il Libano, spero che il suo impegno continui. Ma occorre che continui con senso di realismo e con pazienza», dice Abraham H. Foxman, il direttore dell'Anti-Defamation League, influente gruppo di pressione ebraico con sede a New York. È il messaggio portato a Roma per una serie di incontri lunga quanto quella delle consultazioni sulle crisi di governo: oltre ad essere stato da Andreotti e Cossiga, Foxman vedrà Prodi, Berlusconi, D'Alema, Fassino, Rutelli, Fini, Casini, Veltroni e altri.
Prima che l'Unione europea lo decidesse nel 2003, fu Foxman a chiedere all'allora ministro degli Esteri Frattini di mettere tutta Hamas nella lista dei gruppi terroristici. «Non so se lo si dovette a noi, credo che sia stata l'Ue a scegliere di essere più credibile», sorride il direttore dell'Adl. E oggi che cosa chiede? «Di essere pazienti. Di non correre a dare giudizi, a spingere troppo per soluzioni non pronte». D'Alema cita spesso il re di Giordania, secondo il quale se non si crea uno Stato palestinese nel 2007 l'occasione sfuma. «Non credo che gli amici debbano dare tabelle di marcia per fallimenti o successi. Questa impazienza nasce da buona volontà, ma può essere controproducente. Perché forzare Abu Mazen se non è in grado di assumersi dei rischi? Come si può forzare Ehud Olmert se è politicamente più debole dell'11 luglio?».

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