Plauso a Giulio Meotti per un articolo sui nuovi dissidenti, gli intellettuali che sfidano l'intimidazione e la violenza dei fondamentalisti islamici. Pubblicato dal FOGLIO il 10 ottobre 2006.
Ecco il testo:
Roma. E’ stato Daniel Schwammenthal del Wall Street Journal il primo a paragonare il trattamento in occidente dei dissidenti sovietici con quello riservato ai giornalisti sotto scorta del quotidiano Jyllands Posten, alla deputata Ayaan Hirsi Ali e ai tanti intellettuali clandestini del mondo islamico: “Gli islamisti non possono mandare i giornalisti in un gulag, ma possono costringerli al silenzio minacciandoli di morte”. Come è successo a Robert Redeker. Flemming Rose, il giornalista danese che ha deciso la pubblicazione delle vignette, ha scritto che, come all’epoca del comunismo, l’élite occidentale biasima e isola i dissidenti del nuovo totalitarismo salafita e sciita. Non abbiamo garantito un’eco ad Ahmed Kassan, trucidato in ossequio a una fatwa emessa dai chierici. Né abbiamo valorizzato Gamal Al Banna, Mohammad al Eshmawi, l’intellettuale egiziano Saad Eddine Ibrahim, la psicologa siriana residente negli Stati Uniti Wafa Sultan, l’intellettuale tunisino Lafif Al Akhdar, il pakistano Ibn Warraq, Taslima Nasrin, l’iraniana Ali Sina, Parvin Darabi, Nonie Darwish, Tahir Aslam Gora e Anwar Shaikh. Tutti nomi che si trascinano l’accusa di apostasia e dissidenza, in arabo nota come “fitna”, sedizione. Ma prima di loro abbiamo letto che Theo van Gogh un po’ se lo meritava e che, parola del celebre storico olandese Geert Mak, la sceneggiatura “Submission” di Ayaan Hirsi Ali è paragonabile a quelle sugli ebrei di Joseph Goebbels. Nel febbraio scorso Hirsi Ali era a Berlino a dire che “i dissidenti dell’islamismo, come i dissidenti del comunismo, non hanno bombe atomiche o altre armi a loro disposizione. Non hanno petrodollari, come i sauditi”. Hitoshi Igarashi aveva solo la sua intelligenza e mitezza. Venne ucciso da una fatwa iraniana quindici anni fa. Igarashi era il linguista giapponese che accettò di tradurre “I versetti satanici” di Salman Rushdie. I sicari dell’ayatollah Khomeini arrivarono fino a Tsubuka, dove Igarashi insegnava lingue. L’immagine della sua trachea sforacchiata è lì a ricordarci cosa sia in gioco con l’islam politico. Prima di morire Igarashi lasciò scritto: “Come virtù, la tolleranza è altamente vulnerabile e senza forze quando si confronta con l’intolleranza”. Nessun nome di traduttore comparve più stampato sul libro di Rushdie, nessuno a Londra o Roma o Parigi scese in strada per lui e nessuno oggi ricorda le sue profetiche parole che ci aiutano a capire anche il caso Redeker. Cacciato per volere di Khomeini dalla direzione di Kayhan, il maggior quotidiano di Teheran, Amir Taheri vive a Londra, da dove dirige la rivista parigina Politique Internationale e scrive sul Wall Street Journal. Taheri spiega al Foglio che “è incredibile che dobbiamo discutere di un uomo che ha espresso la sua opinione in un giornale francese. Possibile che il suo ministro dell’Educazione non abbia di meglio da fare che invitarci alla prudenza? Ci sono milioni di musulmani dissidenti nel mondo islamico e nessuno li ascolta”. Per Taheri scontiamo i guasti del modello Shirin Ebadi, il Nobel iraniano per la pace. “Quando è andata a Oslo, questa dissidente ha parlato solo della prigione di Guantanamo e non una parola sulle prigioni di Teheran. La prima cosa che ha fatto Akhbar Ganji all’arrivo negli Stati Uniti è una visita a Noam Chomsky”. Per Roger Scruton, filosofo inglese che insegna negli Stati Uniti, “ci sono moltissime verità in quello che ha scritto Redeker, sebbene non tutta la verità. Vent’anni fa venni accusato di razzismo e islamofobia dalla sinistra e dai media britannici. La mia ‘offesa’ fu di pubblicare la rivista Salisbury e dichiarare fallito il multiculturalismo inglese. La stessa sinistra che oggi non ha difeso Redeker”. Scruton era l’unico a pubblicare i dissidenti di Praga e oggi dice che “esiste una specie di colpa collettiva che ottunde ogni discussione sulla differenza culturale in occidente”. Secondo il decano del neoconservatorismo, Norman Podhoretz, gli europei coraggiosi che portano nome Theo van Gogh, Ayaan Hirsi Ali e Flemming Rose non sono del tutto paragonabili ai dissidenti anticomunisti. “I Bukovskji, Brodsky e Havel vivevano in una sistema totalitario, gli europei che denunciano l’islam politico resistono ai terroristi cittadini delle democrazie europee. Vent’anni fa c’era la ‘finlandizzazione’, la sottomissione europea alla potenza malefica di Mosca. Oggi la ‘dhimmizzazione’, la sottomissione all’islamismo delle democrazie europee”. Come Podhoretz la pensa Richard Pipes, storico del comunismo, consigliere di Reagan e contatto a Washington della dissidenza russa, a cominciare dall’amico Andrei Sacharov. “L’Europa sembra congelarsi nella paura. Nessun politico e leader europeo ha risposto senza ambiguità agli oltraggi contro Redeker. Gli europei pensano che l’incubo islamista svanirà da sé. A differenza dei dissidenti della Guerra fredda, i governi d’Europa non perseguitano i critici dell’islamismo. Semplicemente non li appoggiano, che forse è peggio. Oggi abbiamo a che fare con un nemico e una guerra amorfa, per certi versi invisibile”. La storica Bat Ye’Or, autrice di “Eurabia”, è stata espulsa dal Cairo nel 1955 e vive a Ginevra. “Come per le vignette danesi, il dissidente Redeker ha voluto svegliare la maggioranza sulla lenta erosione della libertà – dice Bat Ye’Or al Foglio – E’ la funzione del dissidente europeo. Come durante la Guerra fredda, le mancate reazioni di colleghi e studenti e il silenzio degli intellettuali su Redeker hanno dimostrato la dhimmitudine della nostra società. Ci saremmo aspettati che migliaia di persone marciassero nei boulevards in difesa di questo professore di provincia. Niente. A milioni hanno però marciato per Arafat e Saddam Hussein”. Phyllis Chesler è autrice di una bibbia della letteratura femminista e fra le pochissime intellettuali della sua generazione ad aver difeso Hirsi Ali. “La maggioranza delle femministe ha fallito nel denunciare la persecuzione delle dissidenti nel mondo islamico”, ci dice. “Hanno chiamato Hirsi Ali razzista e islamofoba perché non biasima il colonialismo, Bush, Israele e gli ebrei. Solo un pensatoio neoconservatore di Washington le ha offerto un lavoro. Nessun altro centro di ricerca femminile si è fatto avanti. Le femministe preferiscono parlare con le musulmane antisioniste, anziché con quelle che denunciano l’apartheid femminile e la penetrazione in occidente di pratiche barbariche”. Come la clitoridectomia, che direttamente dal deserto del Maghreb è stata esportata a Liverpool e a Marsiglia. “C’è una quinta colonna di finti dissidenti che vive in mezzo a noi. I samizdat dei russi sono stati sostituiti dai blog islamici, ma pochi li leggono. Se non proteggiamo la voce dei pensatori americani ed europei dissidenti che si battono contro la censura islamista e il terrorismo, allora la cultura occidentale sarà persa per sempre”. Chi si batte da anni per le dissidenti nel mondo islamico è Rachel Ehrenfeld, direttrice dell’American Center for Democracy di New York. “La Francia deve proteggere pubblicamente Redeker, non solo nascondendolo. E come lui gli altri intellettuali coraggiosi e difensori della libertà che denunciano le ambizioni globali dei leader islamici. E’ certamente vero che ci ricordano le figure pubbliche dell’anticomunismo. Dobbiamo dare loro una voce e stringersi intorno a loro. Solo così i nostri figli potranno vivere un futuro di pace”. Per Michael Leeden, analista dell’American Enterprise Institute e sostenitore della dissidenza iraniana al regime dei mullah, “il caso Redeker è parte di un assalto globale alla libertà di pensiero, un obiettivo che accomuna gli estremisti islamici e la sinistra multiculturale. L’articolo poteva essere vero o falso, non conta. Libertà di parola significa libertà di essere stupidi. Il direttore del Figaro ha chiesto scusa, lo scrittore si è nascosto e gli estremisti hanno preso altro potere. C’era un tempo in cui il cosiddetto intellettuale ‘progressista’ sarebbe uscito dal coro contro la fatwa di Rushdie. Non è più così. Ora resta in silenzio e difende la ‘sensibilità’ dell’islam. Come trent’anni fa, i dissidenti si scontrano con l’infallibilità presunta del totalitarismo. All’epoca sapevamo che se non li avessimo difesi il comunismo non sarebbe mai caduto. Oggi dobbiamo sostenere l’apostata, il recluso e il braccato per far crollare dall’interno i regimi islamisti”. Bruce Bawer è uno scrittore gay di New York che nel 1997 si è trasferito ad Amsterdam per sfuggire alla cappa del moralismo protestante. Oggi vive a Oslo, dove ha scritto “While Europe slept” e scrive per il New York Times. “E’ così triste che un uomo che ha pubblicato la sua opinione in un paese libero sia costretto a nascondersi – dice Bawer al Foglio – E’ ancora più triste che il primo ministro Dominique de Villepin, dopo aver definito ‘inaccettabile’ l’attacco a Redeker, abbia detto che ‘ciascuno ha diritto di esprimere le proprie idee rispettando gli altri’. Da quando la libertà di parola in una democrazia deve rispettare qualcosa o qualcuno? Io non rispetto tante persone ed è mio diritto democratico dire questo. Il compito del governo, caro Villepin, è proteggere il mio disprezzo per qualcosa o qualcuno. Il ministro dell’Educazione francese, Gilles de Robien, ha espresso ‘solidarietà’ all’insegnante, ma ha aggiunto che doveva mostrare ‘prudenza’ e ‘moderazione’. Quale solidarietà, caro Robien? La prudenza di cui parla de Robien ha nome dhimmitudine. Garton Ash è un altro europeo tipico nella rimozione di questa realtà. Ci aspettavamo che giornalisti, scrittori e direttori dell’occidente libero avrebbero rinosciuto la causa di Redeker. La paura è comprensibile, sempre. Ma peggio del parlar chiaro è la prospettiva del non parlare affatto”. Secondo Roger Scruton ciò che manca oggi all’Europa è una deterrenza culturale, politica e sociale da far valere contro i predicatori di morte. “Sul caso Redeker, la maggioranza degli intellettuali è rimasta in silenzio. Ma perché avrebbe dovuto parlare? Quando mai hanno difeso il retaggio ebraico e cristiano? Redeker mi ricorda i dissidenti anticomunisti, sebbene il comunismo fosse un movimento fra intellettuali e l’islamismo fra credenti ordinari. Gli intellettuali islamici hanno perso secoli fa ogni capacità di entrare in contatto con il mondo reale. Oggi è la comunità dei nonpensanti che si sente minacciata dalla riflessione. E’ questo il motivo per cui rispondono con rabbia e odio non solo alle falsità sull’islam, ma alle verità pronunciate da Benedetto XVI. ‘Islamofobia’ è diventato un crimine paragonabile all’eresia medievale, all’accusa di magia nelle colonie del Massachusetts o di ‘deviazionismo’ nel mondo stalinista”. Vent’anni fa Paul Scheffer difendeva i clandestini del comunismo, oggi è l’intellettuale della sinistra olandese che più denuncia il fallimento del multiculturalismo. “Se i musulmani vogliono vivere fra di noi e pensare che il Corano e il Profeta siano al di sopra di ogni critica, allora hanno imboccato una strada senza uscita – ci dice – Le vignette danesi ci hanno insegnato che non c’è libertà religiosa senza la libertà di criticare la religione. In Olanda l’opera Aisha è stata cancellata perché ritrae una delle mogli di Maometto. E’ stato ritirato un magazine con in copertina il Corano. Nessuna autocensura placherà questa sete islamica”. Di guerra lunga parla Richard Pipes: “L’apatia dell’Europa incoraggia i nemici. Gli Stati Uniti per adesso hanno dimostrato coraggio. Oriana Fallaci, processata in una corte svizzera e in Italia per le sue critiche all’islam, non ha avuto problemi a esporre le sue idee a New York. Il pericolo più serio per l’Europa sono le minoranze islamiche non assimilabili”. Bat Ye’Or giudica debolissima la dissidenza contro l’islamismo: “Ci sono tabù e autocensure che impediscono di percepire il jihad culturale. Ci hanno abituato a pensare in termini di alleanza delle civiltà, simbiosi, solidarietà, multilateralismo, relativismo, soluzione pacifiche, scambi commerciali, transazioni economiche. Redeker ha capito che se continuiamo a negare la realtà del jihad globale moderno, il suo scopo e la sua strategia, allora i diritti, la libertà, cultura e civiltà saranno distrutte. I dissidenti tengono alta la denuncia della violazione dei diritti umani”. Henryk Broder è un giornalista liberal dello Spiegel, celebre per i suoi elzeviri scorretti. “Se l’occidente decide di svendere la libertà di parola, possiamo definire esaurita l’esperienza democratica. Solo un paio di quotidiani tedeschi hanno protestato per Redeker, per il resto deserto e silenzio. Ci ripetono che l’islam è una cultura ‘diversa’, dobbiamo ‘calarci nei loro panni’ ”. Anche per Broder i dissidenti sono i nostri alleati. “Qui a Berlino ci sono musulmani apostati, liberali, secolari e illuministi perseguitati dai fanatici. I sovietici accusavano gli eretici di essere malati di mente, oggi i dissidenti sono lasciati soli o sfrattati”. Lo scrittore olandese Leon de Winter fa notare che i dissidenti fanno parte della lunga storia dell’islam. “Sono il vero nemico nel Corano. Hirsi Ali è l’ultima rappresentante di questa tradizione. L’apostata è peggio dell’infedele, si rifiuta da musulmano di riconoscere la verità dell’islam. Ayaan è stata svilita a rango di paziente con problemi psichici e religiosi. E’ lo stesso meccanismo sovietico, al posto di deviazionista oggi si usa razzista e islamofobo”. Bruce Bawer ricorda che una legge belga proibisce l’islamofobia e in Norvegia puoi essere incarcerato per offesa alla religione. “Lo specchio dell’Europa è una conferenza del febbraio scorso a Oslo, in cui il direttore Velbjørn Selbekk, che dopo aver pubblicato le vignette ha ricevuto minacce di morte, ha chiesto scusa a una grande adunata di imam. Il governo norvegese parla di ‘riconciliazione’, ma è capitolazione. Qui in Europa, un continente che accoglie il mullah norvegese Krekar – fondatore del gruppo terroristico Ansar al-Islam – la dissidente Hirsi Ali è stata denaturalizzata”. A Paul Scheffer il dissidente dell’islam politico ricorda un titolo di Vaclav Havel, “Disturbando la pace”. “Il dissidente disturba l’appeasement, ‘esagera’, va oltre e incrina la pace sociale. I dissidenti sotto l’islam, come Hirsi Ali o Chardott Djavann, sono coloro che intralciano il tentativo multiculturale di pacificare il problema. Sono ‘provocatori’. Sotto il comunismo l’errore della cultura occidentale fu di non ascoltare le parole dei dissidenti. Non commettiamo lo stesso errore sulla minaccia dell’islamismo in Europa. In Unione Sovietica mettevano in manicomio i dissidenti. Dopo la morte di Theo tutti dissero ‘beh, è un problema olandese, Van Gogh era matto’. Oggi hanno scoperto che non è così”.
Di seguito, un articolo sull'editoriale di Magdi Allam pubblicato dal CORRIERE del 9 ottobre:
Roma. La scorsa settimana il ministro dell’Interno saudita, principe Nayef bin Abd al ’Aziz, dal palco della tv al Majd ha annunciato al mondo che “taglieremo le lingue di coloro che cercano di distorcere l’islam con la riforma e il progresso”. E’ con questo implicito riferimento a un predicatore wahabita che Magdi Allam apre il suo editoriale sul Corriere della Sera di ieri. Dissidente dell’islam che si espone e procura rischi con i suoi martellanti fondi contro l’odio, Allam denuncia l’autocensura occidentale e la clava islamista che pende sulla bocca dell’Europa. E’ l’avvertimento rivolto al vecchio continente dai tenutari dell’islamismo globalizzato: il vostro diritto di parola non dovete esercitarlo sull’islam e la storia del Profeta. E’ come una forma di “jiza” islamicamente corretta, simile a quella tassa che nei secoli i regnanti islamici hanno imposto a tutti i non musulmani, “kafirs”, infedeli ebrei e cristiani. Il tradizionale jihad dei tagliagola algerini, iracheni e iraniani viene così affiancato dal più economico e conveniente “jihad dei taglialingua”. Comune l’obiettivo secondo Magdi Allam, “annientare la persona, la prima direttamente e fisicamente, la seconda indirettamente e psicologicamente”. Alla prima forma di soppressione si richiama il movimentismo salafita che esporta odio e terrore nelle nostre città. Sulla seconda strategia obliqua, intimidatoria e accerchiante puntano i Fratelli musulmani. Rappresentati in Europa da Tariq Ramadan, l’intellettuale degli scioglilingua che islamizza la modernità, più che modernizzare l’islam. Per Magdi Allam l’archiviazione della libertà di critica all’islam nel cuore del “mondo libero”, dall’Idomeneo a Robert Redeker, culminerà nella sottomissione dei kafirs europei alla legge coranica. Per questo, conclude Allam, “difendo senza se e senza ma il diritto del Papa, Redeker, Theo van Gogh, Ayaan Hirsi Ali, Bernard Lewis, Daniel Pipes, ma anche Dante, Voltaire e Mozart…”.
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