Il caso Redeker e i nuovi dissidenti nell'Europa sottoposta al ricatto fondamentalista
Testata: Il Foglio Data: 06 ottobre 2006 Pagina: 1 Autore: la redazione - Giuliano Ferrara Titolo: «Mondo cane - La libertà, la scimitarra, la spada»
Dal FOGLIO del 6 ottobre 2006, la storia di Manuel Redeker, il professore di filosofia francese colpito da una fatwa omicida per le sue opinioni:
Parigi. Faceva una certa impressione l’altro ieri sentir parlare Robert Redeker, il professore di liceo braccato, guardato a vista dagli agenti segreti della Direzione della sorveglianza del territorio per aver criticato l’islam in un articolo sul Figaro. Ha parlato alla radio, Redeker, su France Info. Era sconcertato. “Per aver goduto di un diritto sancito dalla Costituzione, in un paese in cui la blasfemia non è un reato, mi trovo costretto a tacere – ha detto in tono concitato – Vivo sequestrato. Non sono più libero dei miei movimenti, costretto al domicilio coatto. E in questo c’è una responsabilità del governo. Il diritto alla libertà di espressione esiste, a me però consigliano di traslocare, o di fare un po’ di lavori per rendere più sicura la mia casa, anche se i governanti rifiutano di darmi un aiuto materiale per realizzarli. L’alternativa è l’autocensura o la prudenza. Come se l’islamismo fosse un’esagerazione estremista. Ma nella storia dell’islam – ha ribadito Redeker – non c’è nulla di moderato. E per questo mi rivolgo a tutti i musulmani, affinché comprendano quanto il loro sostegno sia essenziale”. Redeker è stato duro e scomodo, come sempre. E i musulmani gli hanno risposto. Su Le Point, Tariq Ramadan – uno degli intellettuali islamici più controversi, vicino ai Fratelli musulmani – ha espresso la sua “condanna assoluta di una minaccia di morte priva di giustificazioni e di circostanze attenuanti”, come quella che ha colpito Salman Rushdie e Theo van Gogh. Ma ha anche esternato il suo “diritto di dire che il testo di Redeker è approssimativo, volgare, a volte odioso e razzista, insomma orrendo. E tradisce dall’inizio alla fine la volontà di provocare e di scioccare stupidamente”. Malek Chebel, un antropologo moderato, ha bacchettato il ministro dell’Istruzione che aveva chiesto prudenza a un funzionario pubblico come Redeker: “Sui principi non bisogna essere prudenti, ma riaffermarli, per evitare i riflessi di autocensura e il trionfo degli estremisti”. Sul Nouvel Observateur – dove Jean Daniel firma un editoriale di solidarietà dal titolo perentorio “L’inacceptable” – lo psicanalista Fethi Benslama, a nome dell’Associazione del manifesto delle libertà, lancia un appello in difesa di Redeker, non senza rimproverarlo di “diffondere la peste emotiva dei narcisismi di massa”, mentre gli scrittori Tahar Ben Jalloun e Adonis condannano la fatwa contro il professore, ma ne lamentano la “violenza verbale e l’ignoranza profonda che rivela dell’islam”. Non nuovo alla polemica, Robert Redeker è una perfetta incarnazione dello spirito incendiario, del pamphlettista che parte lancia in resta all’assalto dell’universo mondo per denunciarne gli abusi, siano essi i viaggi intercontinentali di Giovanni Paolo II, le nefandezze del mercato pubblicitario, la lettura quotidiana dell’oroscopo, o la morsa ottundente in cui Internet stringe la scuola. Redeker resta un militante della sinistra radicale, sostenitore del socialista nazionalista Jean-Pierre Chevènement alle ultime presidenziali. E rappresenta il puro prodotto di quello straordinario vettore di ascesa e promozione sociale che in Francia è la scuola e la cultura. Figlio di contadini del sud-ovest, cresciuto di stenti in una misera fattoria dell’Ariège, soltanto da ragazzo ha scoperto che i genitori avevano preferito restare in Francia a lavorare la terra, dopo esser fuggiti dalla Germania nazista, piuttosto che tornare a vivere da piccoli borghesi tedeschi, come racconta lui stesso in un testo autobiografico pubblicato su Temps Modernes, e ripreso dal Monde. Sin dalle origini familiari, dunque, Redeker porta l’imprinting del paria, dell’umiliato sociale, che a forza di libri, di studi e di letture, trova la via del riscatto e riesce a crearsi un posto al sole, lasciando i campi di girasole, la vendemmia e la vendita di concimi, per passare l’esame di abilitazione e mettersi a insegnare filosofia in un liceo. Ma sarà per lui un “mestiere ingrato, scelto per mancanza di immaginazione”, e ben presto trasformato, suo malgrado, in una sorta di missione di animatore o di guardiano d’infanzia. Da qui la volontà di farsi un nome e una reputazione nella sfera dell’alta cultura, lanciandosi nel “débat d’idées” da battitore libero di riviste prestigiose, come quella fondata da Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, o come commentatore estemporaneo dei grandi quotidiani. Scomodo, scomodissimo, ora è un martire della libertà di pensiero. Ma i suoi nemici, che lo guardano dall’alto in basso anziché difenderlo, citano George Bernard Shaw: “Il martirio è il modo migliore per arrivare alla notorietà senza alcun merito particolare”.
Di seguito, l'editoriale di Giuliano Ferrara:
Il professor Robert Redeker è solo l’ultimo della lista nera che ha creato in Europa i nuovi dissidenti. Ha scritto quel che pensava dell’islam ed è scomparso nella clandestinità, protetto dallo stato, per salvarsi la vita da gruppi islamisti che lo hanno additato come obiettivo pubblicando la sua foto, il suo indirizzo e altri particolari di identificazione a beneficio del dovere sacro della umma di difendere il suo credo annientando i nemici come ha fatto Mohammed Bouyeri. Nemmeno due anni fa, il provocateur olandese che aveva girato un corto sul maltrattamento coranico della donna è stato sgozzato ad Amsterdam precisamente da Mohamed Bouyeri. La sua compagna di avventura, una donna somala di 36 anni fuggita in Olanda dalla cultura islamica originaria per evitare un matrimonio imposto, portandosi appresso la mutilazione genitale, si è dovuta rifugiare a Washington, dove continua ad essere protetta 24 ore su 24, dopo un tempo amaro di illusione (era una deputata liberale, un’attivista per i diritti civili) e poi di tribolazione. L’ex direttore della Welt, che aveva ripubblicato le vignette su Maometto, è probabilmente sfuggito alla mano assassina di un giovane pachistano armato di coltello, fermato in tempo; il vignettista vive nascosto; il caporedattore gira scortato. A Berlino ha chiuso i battenti per minacce lo studio di un avvocato tedesco di origine turca che si occupava di matrimoni forzati e violenze etniche sulle donne; un altro avvocato che scriveva di costumi islamici, criticandoli, deve essere protetto. Un editorialista islamico che ama l’Italia, già di Repubblica e ora del Corriere, autore di libri e opinioni sulla deriva europea degli shahid, dei “kamikaze made in Europe” di Madrid e di Londra, ci vive accanto da tempo tutelato da due dozzine di agenti. Anche il Papa, che vive a Roma e ha un indirizzo molto conosciuto, è entrato nella blacklist dei dissidenti per aver trattato del Dio islamico, durante una lectio magistralis in una antica università europea, in modo sgradito alle correnti fondamentaliste dell’islam contemporaneo e agli stati e alle oligarchie e al clero che tengono loro bordone. E noi che facciamo? Firmiamo appelli, diamo un rilievo imbarazzato alle notizie, stiamo sulla difensiva, distinguiamo nell’islam plurale (c’è kamikaze e kamikaze), scriviamo carte dei valori che nessuno firmerà, e cerchiamo di placare gli animi, di rettificare, di non farci assimilare da questa categoria dissidente di rompicoglioni come sempre sono i dissidenti, che nel mondo sovietico finivano in manicomio e si portavano appresso anche in occidente, quando fuggivano, il sospetto di essere soggetti antisociali, che rompono l’armonia, l’ordine, qualunque esso sia, anche l’ordine dell’oscurantismo. Mentre Angela Merkel denuncia “l’autocensura che viene dalla paura”, quell’ipocrita di Timothy Garton Ash sottilizza sul Guardian associando fascisti, animalisti, sikh, cristiani ed ebrei in un unico fascio di nemici della libertà di parola, di fanatici senza frontiere. Poi ricorre all’understatement, per paura del ridicolo: “Sarebbe assurdo affermare che gli estremisti islamisti non siano tra i capi di questa ondata di intimidazione”. Ah, sarebbe assurdo. E comunque il professor Redeker ha scritto delle cosacce, dice il liberal perbenista, notazione che sorvola sul fatto che non le scriverà più o non gli saranno più pubblicate, per lo meno senza seri rischi, per un certo tempo. La verità è che manca la deterrenza, la decisione di far pesare la nostra scelta in favore dei diritti umani universali e dello stato di diritto nei nostri territori sovrani. Manca la volontà, abbonda la paura. Manca perfino la fantasia per immaginare come andrebbero le cose se non ci limitassimo alla profferta stanca di dialogo e al tradimento, mascherato da multiculturalismo bacchettone, di quei pochi musulmani moderati che cercano in occidente una spinta libertaria o la coltivano, quasi sempre in carcere, nei paesi arabo-islamici. E se oltre a placare gli animi per la via diplomatica, assecondato da un pronunciamento solenne del Consiglio europeo in favore della libertà di espressione, il Vaticano avesse tirato fuori gli artigli, per dire che oltre al dialogo i cristiani offrono al mondo il loro concetto di persona, di laicità e di libertà, e non lo lasceranno calpestare? E se il ministro dell’Istruzione francese che ha invitato Redeker alla prudenza a nome di milioni di insegnanti politicamente corretti si fosse dimesso in seguito a una rivolta politica dei suoi colleghi ministri contro questo atto di codardia?E se le Cgil-scuola di tutta Europa si unissero nella condanna e proclamassero uno sciopero simbolico a difesa del loro collega insegnante incarcerato dagli islamisti nella Francia repubblicana? Niente. Cose che per adesso non si possono nemmeno immaginare. Non ci resta che blaterare contro l’islamofobia, accucciati nelle nostre vere paure. Il risultato sarà, anzi è, il trionfo degli estremisti islamisti. Perché l’islam forse non può vivere senza la scimitarra, ma di sicuro non sopravvive la democrazia senza spada.
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