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La scelta di Abramo Identità ebraiche e postmodernità – Wlodek Goldkorn Casa Editrice Bollati Boringhieri Era più di 60 anni fa, esattamente il 10 luglio 1941, quando nella cittadina di Jedwabne,nella Polonia Nord orientale, 1600 ebrei vennero ammassati in un fienile. Dopo aver sbarrato porte e finestre e aver chiuso ermeticamente i locali, gli assassini gettarono taniche di benzina e diedero fuoco, trasformando in un rogo vivente quella folla, tra cui vi erano molte donne e bambini. Chi furono i responsabili? Una lapide installata nei primi Anni Sessanta nel luogo dell’eccidio attribuisce la feroce incursione ai tedeschi. Però, stranamente, nel dopoguerra, quando il nazismo da tempo era stato seppellito, le famiglie che avevano accolto nascosto sette ebrei che grazie al loro aiuto erano riusciti a salvarsi, proprio nel loro paese vennero minacciate di morte. Spaventate dalle ripetute intimidazioni furono costrette a trasferirsi a Varsavia. Chi erano dunque gli assassini? Non furono, come recitava la lapide, i nazisti, per una volta incolpati di crimini che non avevano commesso. Erano stati i vicini di casa, polacchi proprio come le vittime. A ripercorrere questo episodio è l’impietoso e originale saggio “La scelta di Abramo” di Wlodek Goldkorn. Giornalista e scrittore polacco che da più di trent’anni vive in Italia, Goldkorn fa parte di quella genia di ebrei marrani, di sradicati,di apolidi e cittadini del mondo, privi di radici e per questo capaci di interpretare i fatti senza paraocchi o pregiudizi. La sua famiglia scampa al nazismo. Dopo che il terrore del Reich è svanito subentra quello della Polonia di Gomulka. I Goldkorn sono costretti a una nuova fuga. Riparato in Israele, lo scrittore però non trova quella nuova patria che sta cercando: la vocazione pacifista e antimilitarista si paga con la prigione, il dissenso politico non è tollerato. Il nuovo approdo sarà l’Italia e la scelta cosmopolita. Seguace di Hannah Arendt, Goldkorn parte nel suo excursus dalla fine dell’Ottocento per arrivare alle trasformazioni dell’antisemitismo nel dopoguerra, all’antigiudaismo dei Paesi dell’Europa orientale e alla fine del secolo scorso, quando in Francia, per esempio, alcuni ragazzi di Carpentras dal cimitero ebraico locale disseppellirono un cadavere per compiere sul corpo efferate sevizie. Ultima tappa sono i deliri islamici e le favole sull’11 settembre, come la falsa notizia che nelle Torri Gemelle non vi fossero ebrei poiché avvisati dell’attentato dai potenti servizi segreti israeliani. Proprio per via del nuovo antisemitismo postbellico, spiega Goldkorn, solo a decenni di distanza dal tremendo misfatto di Jedwabne si è potuto far luce sulla dinamica degli avvenimenti. Ad aprire un acceso dibattito in Polonia è stato il saggio di uno storico polacco emigrato negli Stati Uniti, Jan Tomasz Gross,che,in un libro significativamente intitolato “Vicini”, tira fuori dalla polvere dell’oblio l’episodio e provoca accese reazioni di “negazionisti”. Nella furibonda polemica che ne deriva si cerca di spiegare come mai la cultura polacca,anche quella illuminata e illuminista, sia sempre stata intrisa di ostilità verso gli ebrei.Un odio e un risentimento inconfessabili a cui dettero il loro contributo anche numerosi padri della patria. Da dove nasce tutto questo? Goldkorn vede una svolta cruciale nell’affermarsi del più moderno odio antigiudaico – non solo in Polonia ma nell’intero mondo occidentale – a partire dal 9 giugno 1967. E’ scoppiata da pochissimo la guerra dei Sei Giorni, Israele contro Egitto,Siria e Giordania. In questa fatidica data ha luogo la conferenza dei capi di partito e di governo del Patto di Varsavia. Breznev ottiene la condanna di Israele e l’appoggio ai Paesi arabi. Dalla Polonia, ma con un atteggiamento che finirà in parte per contaminare anche le sinistre d’Occidente, parte la parola d’ordine della necessaria rottura con Israele. L’avvertimento è un ordine: ogni tipo di simpatia per questo paese sarà considerato alla stregua di un rapporto con “un nemico del socialismo, della patria, dell’umanità progressista”. Entra anche in scena, afferma Goldkorn, la prima forma di negazionismo della Shoah nella storia postbellica. In nome del nuovo corso si cancellano, e non è un fatto simbolico, pagine di storia: il regime di Gomulka, per esempio, è in procinto di pubblicare un’enciclopedia. Alla voce “campi di concentramento” si spiega che le vittime sono state soprattutto ebrei. La dittatura vieta questa interpretazione e nel corso della campagna antisionista gli storici preposti alla redazione di questa voce vengono licenziati in quanto propagandisti,bugiardi e, ovviamente, nemici del popolo. La risposta alle forme più moderne di vessazione, osserva Goldkorn, è stata poi l’ossessiva, attuale ricerca dell’identità da parte degli ebrei. In nome di questa ricerca si è sempre più sospinti verso un’identità che, costruita intorno allo Stato di Israele, finisce per assumere valenze simboliche e mitiche. Oggi invece è opportuna, come recita il titolo del libro, La scelta di Abramo, ovvero il coraggio di abbandonare la ricerca tribale dell’identità per percorrere nuove strade. Elena Loewenthal La Stampa |
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