Intervista di Eleonora Martini a Massimo Campanini, docente di Storia contemporanea dell'Islam e dei paesi arabi orientali, pubblicata dal MANIFESTO del 4 ottobre 2006.
Campanini e la Martini concordano palesemente su quasi tutto: la Carta dei valori dell'islam italiano sarebbe discriminante, il riconoscimento del diritto all'esistenza di Israele non sarebbe in alcun modo un valore, i neo-con sarebbero simili ai fondamentalisti islamici "moderati" i quali, però, non incitano alla violenza ( e le giustificazioni del terrorismo palestinese da parte, ad esempio, di Tariq Ramadan?).
Ecco il testo:
«Pensare ad una Carta dei valori dell'islam italiano non solo è discriminante, ma è anche del tutto marginale nella prospettiva - in cui si muovono oggi molti dei più importanti e autorevoli intellettuali musulmani - della creazione di un islam europeo». Lungi dall'esprimere una qualsiasi forma di empatia con i movimenti neoislamisti, Massimo Campanini, saggista e docente di Storia contemporanea dell'Islam e dei paesi arabi orientali, mette però in guardia sul rischio di «banalizzazione che porta a identificare l'islamismo con il terrorismo e a sottovalutare l'originalità della sua proposta teorica».
La Carta dei valori proposta dal ministro Amato è un'idea nata in seguito ad un atto - quello della pubblicazione da parte dell'Ucoii di un documento che equiparava Israele ai nazisti - incompatibile con la memoria e la sensibilità storica europea e occidentale. In molti però, anche all'interno della stessa Consulta islamica, la ritengono discriminante e controproducente nel metodo. Cosa ne pensa?
Direi che chiamarla Carta dei valori è un fraintendimento. Se si parla di difesa dei diritti umani o della donna, della libertà di parola, della democrazia, della difesa della vita o della proprietà, nessuno si dirà in disaccordo. Un documento così generico è sottoscrivibile da tutti, naturalmente, perché questi sono anche i valori dei musulmani. Se poi in essa si inserisce, per esempio, il riconoscimento dello stato di Israele, allora si pone un problema contraddittorio. Il riconoscimento di nessuno stato, nemmeno di quello italiano, può essere considerato un valore universale. Una carta di questo genere, quindi, diventa così un'idea discriminante.
Lei parla di «originalità teorica dei movimenti neoislamisti». Quale influenza hanno i Fratelli musulmani in Italia?
Se si leggono i documenti dell'Ucoii e quelli dei Fratelli musulmani egiziani o di Tariq Ramadam (il controverso intellettuale neoislamista francese, ndr ) si vede bene come l'Ucoii esprima posizioni molto più di retroguardia. Inoltre le posizioni dell'Ucoii sono estremamente contestate dentro il mondo musulmano italiano, basta ascoltare i giovani del Gmi. Il problema oggi non è la costruzione di un islam italiano, ma di un islam europeo. La realtà italiana conta solo relativamente e l'Ucoii è un epifenomeno marginale. La prospettiva dei musulmani italiani è ormai una rete europea, dove il dibattito interno è molto più acuto e vivace di quello che appare. Lo dimostrano i documenti prodotti dalla Fioe, la Federazione di organizzazioni islamiche europee, che da tanto tempo scrivono quello che propone oggi Amato. E sono molti gli autorevoli intellettuali europei che, pur mantenendo il legame culturale con i Fratelli musulmani egiziani, e all'interno di un discorso di neoislamizzazione sociale e civile, perseguono la costruzione della wasitiya , una «vita mediana dell'islam», che esprime posizioni molto moderne e democratiche.
Un argomento simile non potrebbe valere anche per i teocons o i neocons?
Sì, ma al contrario dei discorsi di Bush, questi neoislamici non ammiccano mai alla violenza, alla sopraffazione o alla guerra. E' chiaro che ci sono anche i fanatici, ma gli Adel Smith non sono rappresentativi dell'islam anche se lui fa audience e aiuta a far aumentare la paura degli italiani.
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