Dal FOGLIO del 4 ottobre 2006, un'intervista di Marina Valensise a Pascal Bruckner , sul caso Redeker:
Parigi. E’ uscito ieri e fa già discutere l’ultimo saggio di Pascal Bruckner, uno dei firmatari dell’appello pubblicato dal Monde in difesa di Robert Redeker, il professore di filosofia di un liceo francese costretto alla clandestinità per difendersi dalle minacce islamiste scatenate da un suo articolo critico sulla religione di Maometto apparso sul Figaro. Il libro di Bruckner s’intitola “La Tyrannie de la pénitence. Essai sur le masochisme occidental”, lo pubblica Grasset con una copertina apocalittica, che riprende l’Inferno quattrocentesco di Dirk Bouts: corpi nudi di uomini e donne fagocitati da mostri fra le fiamme dell’Ade. E’ un libro che parla di rimorso e fanatismo, del senso di colpa che investe le nazioni d’Europa, della contrizione permanente che spingono le élite occidentali a venire a patti col nemico, e che impediscono di prendere la misura della realtà e reagire alla minaccia del terrorismo islamista e dell’islamizzazione incombente che ormai ha libero corso persino nell’agnostica Francia, la patria dei diritti dell’uomo e del cittadino. Sfogliando il libro il pensiero corre subito a Redeker, che ha perso il lavoro e la casa, che cambia domicilio ogni due giorni per sfuggire alla fatwa che gli hanno scagliato contro i fondamentalisti islamici e che, nel silenzio della politica, si sente “abbandonato”. Soltanto gli intellettuali difendono la libertà d’espressione del professore.
“Dopo l’11 settembre la cattiva coscienza è diventata una mentalità diffusa che esercita il suo peso ogni giorno di più”, dice al Foglio Pascal Bruckner, nella sua casa sulla Rive Droite. “Il senso di colpa – spiega mentre abbassa il volume di un cd di Billie Holiday – non è che l’estrema conseguenza dello spirito critico, della capacità di rimettersi costantemente in causa, esclusivo appannaggio intellettuale dell’Europa. Ma ormai sta degenerando nell’autodemolizione e nell’odio di sé, che rischiano di portarci al suicidio”. La diagnosi ha un suono strano in casa di Pascal Bruckner. Lo scrittore vive in un palazzo fatiscente sulla Rue Montorgueil. La sua casa fa pensare a quella dove, poco lontano, Jean Jacques Rousseau visse con Thérèse sbarcando il lunario come copista di musica.
Il quartiere, un tempo malfamato, riparo di balordi e prostitute, è risorto da pochi anni grazie alla moda che ha esteso il suo raggio e ai molti bar e localini gay che l’hanno seguita. “Con la ‘gentrification’ il quartiere è cambiato, ma è rimasto il centro di bobos e di gay”. E se uno a bruciapelo gli domanda a quale delle due categorie appartenga, “i bobos direi”, risponde serafico Bruckner. Da trent’anni il borghese bohémien si diverte a mostrare l’eterogenesi dei fini nel trionfo delle idee correnti. Ha esordito nel 1977 con Alain Finkielkraut in un pamphlet – “Il Nuovo disordine amoroso” – che raccontava il modo in cui, dopo l’utopia del Sessantotto, la liberazione sessuale si fosse trasformata in coazione all’orgasmo. Adesso se la prende col senso di colpa e l’autocensura dell’occidente che investe il discorso del Papa a Ratisbona, l’Idomeneo di Mozart e il professore di un liceo francese. “Robert Redeker è minacciato di morte per aver scritto che l’islam ha un problema con la violenza. Siamo tornati al Seicento, quando la Chiesa regnava sulle coscienze. Con la differenza che oggi a regnare è una minoranza che si ispira al Corano. Molti dicono che non dobbiamo lanciare provocazioni. Ma si può mai essere tolleranti con quelli che si comportano da barbari?”. Per Bruckner, è meglio tornare a Voltaire: niente libertà per i nemici della libertà. “Al Qaida ha in progetto di far saltare per aria il massimo numero di mezzi di trasporto nelle nostre città. L’Iran ci minaccia col programma nucleare, Vladimir Putin ci stringe d’assedio col gas, e l’Europa risponde chiedendo scusa in ginocchio, professando il fanatismo della modestia. Siamo entrati in una zona di turbolenza e reagiamo come se potessimo risolvere tutto con le procedure di un negoziato. Ma certe cose non sono negoziabili”. La Francia è divisa in tre campi Pascal Bruckner scrive anche romanzi – ne sta preparando uno sulla morsa del desiderio senza freno e i suoi guasti morali – ma parla in presa diretta. E’ convinto che la tirannia della penitenza trionfi perché l’Europa è stanca e dopo venti secoli cruenti non sogna altro se non di ritirarsi dalla storia. “E’ come se dicesse ‘lasciatemi in pace’, e in questo senso il desiderio di pacifismo è sintomatico”. Bruckner è convinto che la Francia di oggi sia divisa in tre campi: il primo, quello dei “collabos des islamistes”, rappresenta in parte l’ultrasinistra che in odio alla borghesia pensa che l’islam sia il mondo dei diseredati e vada aiutato, in parte la destra che pur di non attizzare la polemica è pronta a rinunciare all’eguaglianza uomo-donna, ai diritti degli omosessuali. Poi ci sono i resistenti, come lui, come Glucksmann, Finkielkraut, convinti che la minaccia riguardi l’identità stessa dell’Europa. “E’ un campo che include anche i musulmani liberali, che non credono in Dio ma si battono per un’ermeneutica del Corano, come Fetih Benslam e Malek Chebel”. Infine c’è il campo degli indecisi, quelli che non sanno che cosa fare ma si chiedono se non si stia esagerando. “E’ su di loro che bisogna lavorare, spiegando bene che il pericolo viene dai salafisti, dai wahabiti, dai Fratelli musulmani che cercano di conquistare le masse colpendo i nostri valori in nome del rispetto della differenza. Ma accettare la poligamia, l’eccisione, il matrimonio forzato, il divieto di farsi curare da un medico è inammissibile nel paese dei diritti dell’uomo, come lo è considerare che il volto di una donna senza velo sia un’infamia”.
Sempre dal FOGLIO, un articolo su un precedente, quello del professor Chagnon:
Roma. Ha scritto il Monde, per evitare di dare il proprio sostegno al professor Robert Redeker senza se e senza ma, che quando ci si rivolge all’opinione pubblica bisogna stare attenti a come si parla. Il precedente di Louis Chagnon, all’epoca professore di storia in una scuola media dell’hinterland parigino, dimostra invece che non basta astenersi dallo scrivere su un giornale per sfuggire alle fatwe e a una denuncia per istigazione all’odio razziale da parte di quelli del Movimento contro il razzismo e per l’amicizia del popolo (Mrap), cioè gli stessi di Michel Houellebecq e Oriana Fallaci. Tre anni fa il professor Chagnon passò un brutto momento per aver detto in classe che Maometto ha sulla coscienza il massacro della tribù ebrea dei Qurayza nel 627. Subito il professore si ritrovò in pasto all’opinione pubblica e sotto accusa da parte delle gerarchie scolastiche, che fecero immediatamente strappare dai quaderni di un’ottantina di alunni i fogli con gli appunti della lezione incriminata. La polizia si limitò quella volta a dare al malcapitato qualche consegna di sicurezza per sé e per la propria famiglia. Per montare il caso bastarono sette genitori, costituiti per l’occasione in collettivo (due soli, peraltro, con figli allievi del professore), e un paio di telefonate: una ai giornalisti della France Presse e una ai militanti antirazzisti. Soltanto grazie all’iniziativa di Ivan Rioufol sul Figaro si mise in moto una campagna di solidarietà col professore. Importanti conferme arrivarono da quella vicenda: sul ruolo di polizia pedagogica del potente sindacato socialista degli insegnanti, e poi sulle devastazioni che il politically correct ha prodotto in questi ultimi anni anche nella scuola francese, dove si può essere accusati da un laico ispettore ministeriale di arrecare “grave pregiudizio all’immagine di Maometto” riportando fatti storici, e di difendere una “concezione della storia al fine di trasmettere un senso di appartenenza a una collettività: i francesi, gli occidentali”. Agli occhi dei funzionari dell’Education nationale, dunque, più che l’empietà, la colpa del professor Chagnon è aver voluto trasmettere un patrimonio culturale e una memoria collettiva nazionale, rifiutando una visione comunitaristica dell’islam. Chagnon non si è lasciato intimorire, né dai seguaci del Profeta né dai progressisti del laicamente corretto. Appena si è ripreso, ha denunciato per diffamazione il Mrap, ha trascinato in tribunale i suoi superiori, e ha scritto un libro sul colonialismo arabo.
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