Paura, negazione dell'evidenza, resa così una parte dell'Occidente reagisce di fronte a fondamentalismo, terrorismo , antisemitismo islamico
Testata: Il Foglio Data: 03 ottobre 2006 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti - la redazione - Christian Rocca - Amy Rosenthal Titolo: «Il professor Van der Horst oggi non ha paura di ammettere che ebbe paura - La Francia e la fatwa - Negare l'evidenza - Le idee e i figli»
Dal FOGLIO del 3 ottobre 2006, Giulio Meotti intervista lo storico delle religioni olendese Pietr Van Der Horst:
Roma. Dopo trentasette anni di lavoro, decine di pubblicazioni e una solida fama di storico delle religioni, il meno che ti aspetti dalla tua facoltà è la libertà di leggere l’attesa lezione di congedo, culmine di una vita di studi e riconoscimenti. Soprattutto in Olanda, patria spirituale di David Hume. Soprattutto per Pieter van der Horst, il teologo che all’Università di Utrecht, dopo Princeton e altri centri, ha prodotto lavori decisivi sulla storia ebraico-cristiana. “Il mito del cannibalismo ebraico” è il titolo della lezione con cui il biblista, a fine giugno, voleva ripercorrere l’accusa del sangue, dall’antica Alessandria all’aguzzino Julius Streicher, gettando uno sguardo sull’ossessione antiebraica nel mondo islamico. Horst racconta al Foglio quanto è successo, dopo che la sua storia è finita sul Wall Street Journal e sulle prime pagine dei quotidiani olandesi. “Mi considero un protestante molto liberal. Ho sempre votato a sinistra, ma i recenti episodi, soprattutto l’approccio con l’islamismo, mi hanno portato a una grande distanza dalla sinistra”. Succede che il preside dell’Università di Utrecht chiede a Horst di eliminare dal suo lavoro i riferimenti all’islam. “Quando rifiutai, il preside ne parlò con il rector magnificus, W. H. Gispen, che nel suo ufficio mi comunicò che sarei comparso davanti a una commissione”. Questa gli adduce tre ragioni per rimuovere i passaggi sull’islam: troppo pericoloso, si rischia la reazione di “gruppi di studenti islamici organizzati”; con la sua faccia tosta il prof. Horst avrebbe rotto i ponti del dialogo fra musulmani e non musulmani, e il suo lavoro conteneva “commenti sarcastici su alcune figure pubbliche olandesi, che ho criticato per la loro posizione antisemita”. Il rettore lo costringe a depennare i riferimenti all’islam. “Da solo non potevo affrontare i rischi. Così, decisi di presentare la versione castrata. Non potevo esporre me stesso e gli altri a potenziali pericoli”. La rabbia in Horst fatica a lasciare il passo alla serenità. “Sono furioso per la censura folle a cui sono stato sottoposto. Non sono mai stato umiliato così in vita mia. Il rettore Gispen mi dissuase dall’esporre l’odio islamico verso gli ebrei. Se non lo avessi ascoltato, disse che avrebbe esercitato la sua ‘responsabilità di rettore’, cioè mi avrebbe impedito di tenere la mia lezione di congedo”. La commissione disse: “Dobbiamo proteggerti da te stesso”. Horst ha incassato il plauso della vessata comunità ebraica d’Olanda. “Nelle università olandesi è difficilissimo studiare l’antisemitismo islamico. I soli ad averlo fatto sono stati il commissario Frits Bolkestein e Pim Fortuyn, il primo a vedere la minaccia dell’islam radicale. Gli islamologi tendono a chiudere gli occhi sui peggiori aspetti del mondo islamico, con la sola eccezione di un professore coraggioso di Utrecht, Hans Jansen, paria per i colleghi di studi islamici membri della chiesa politicamente corretta”.
La letale malattia dell’occidente Stiamo assistendo a forme di autopunizione. “In Olanda, soprattutto dopo la morte di Theo van Gogh, sempre più esponenti della cultura hanno paura a parlare chiaro e ad alta voce. Alcuni critici importanti dell’islam sono stati minacciati e intimiditi dagli islamisti e alla fine si sono ritirati dal dibattito pubblico. Ed è ciò che proprio vogliono: che tutti i critici dell’islam siano messi a tacere. In un modo o nell’altro. Nessuno alza la sua protesta. Ayaan Hirsi Ali era una delle pochissime che aveva avuto il coraggio di denunciare una delle facce più cupe dell’islam. E non poteva essere tollerato”. Il caso Redeker dimostra quanto sia grave la situazione. “Quelle osservazioni critiche hanno scatenato minacce alla sua vita da parte di musulmani. La correttezza politica è la malattia più letale dell’occidente. Nel mio paese la sinistra chiude gli occhi sull’odio antiebraico dell’islamismo. La cecità sulla natura perversa del fenomeno, che la sinistra arriva perfino a comprendere, è un segno della nostra decadenza morale. Se i leader europei non si oppongono a questa deriva la mancanza di libertà di parola e accademica diventerà intollerabile”. Per il professor Horst, portatori di questo virus antisemita di cui non si ricordano precedenti, a parte gli anni 30, non sono solo gruppi estremisti, ma le grandi masse islamiche. “L’Iran lavora per una ‘Endlösung’, una soluzione finale ebraica. Nei libri di testo palestinesi si insegna a distruggere il popolo ebraico, i figli di Satana. Viene loro detto che gli ebrei non hanno radici storiche in Palestina e che hanno occupato il suolo islamico. E questo materiale ‘educativo’ è finanziato dall’Unione europea”. E dalle compiacenti Nazioni Unite. Per Horst è sempre più dura vivere in un paese come l’Olanda, dove a molti bar mitzvah si vedono imponenti misure di sicurezza. “L’orribile slogan ‘Hamas Hamas ebrei al gas’ (intonato dagli islamisti d’Olanda, ndr) è il segnale che l’antisemitismo non è solo ispirato dalla situazione politica in medio oriente, ma dalle idee naziste sull’inferiorità razziale del popolo ebreo. Gli ebrei devono finire al gas, sono la piaga dell’umanità, ‘untermenschen’, subumani che vanno sradicati. Nella mia lezione spiegavo che Haj Amin al Husseini, Gran Mufti di Gerusalemme, era ammiratore e amico di Hitler. Negli anni 1940-45 era a Berlino per consigliare Hitler sullo sterminio degli ebrei, visitò Auschwitz con Adolf Eichmann e rimase entusiasta della macchina della morte che voleva ricostruire a Nablus. E questo accadeva quando Israele non esisteva. L’autore della Carta di Hamas, Ahmed Yassin, che si vedeva come il successore di al Husseini, ha spiegato che la lotta contro lo stato d’Israele è solo il primo passo verso la guerra di sterminio mondiale di tutti gli ebrei da parte dei Fratelli musulmani. Non a caso dopo la Seconda guerra mondiale migliaia di criminali nazisti si rifugiarono nei paesi arabi”. Tra meno di un mese ci sarà il secondo anniversario della morte di Theo van Gogh. “Dopo il suo assassinio sembrava che il popolo olandese si fosse risvegliato e avesse aperto gli occhi su certi aspetti dell’islamismo che prima non avevano capito. Non durò molto. Due anni dopo tutto sembra tornato come prima. L’Europa è caduta nel sonno e ha abbassato lo sguardo. Ci ripetono che si tratta solo di una minuscola percentuale di musulmani che aderisce alle idee radicali, circa il 10-15 per cento. Ma questo significa che sono fra 100 mila e 150 mila, un grande pericolo per la democrazia. E’ un esercito enorme. Se un piccolo paese come l’Olanda non prende seriamente il fatto che dentro i suoi confini c’è una milizia di fanatici che odia la nostra società, allora significa che siamo vicini al suicidio. Come Oriana Fallaci ha più volte ripetuto, again and again”. Sembra non esserci “exit strategy”. “E’ la vergognosa stupidità, silenzio e cecità autoimposta degli intellettuali e dei politici. E’ allarmante la mancanza di volontà di vedere cosa accade sotto i loro occhi e ascoltare le persone che invece vedono. Le reazioni al discorso del Papa sono l’incarnazione di questa isteria. Chiedere le scuse per una citazione, che per giunta il Papa ha detto di non condividere, significa aver perso ogni contatto con la realtà”. Nel 1946 decine di ebrei polacchi furono uccisi dopo essere stati accusati di cannibalismo. “Meno di dieci anni dopo l’accusa venne ripetuta da un giornale rumeno e da una tv bielorussa. La tv di stato siriana ha mandato in onda un programma in cui i rabbini sono descritti come cannibali. La tv di Hezbollah, al Manar, ha trasmesso una serie in cui gli ebrei uccidono bambini per usarne il sangue. L’islamizzazione dell’antisemitismo europeo è uno dei più orribili fenomeni degli ultimi decenni. Quotidiani,manuali scolastici, radio, tv, sermoni, corsi universitari, sulle teste di milioni di musulmani viene riversata una montagna di propaganda antiebraica. I leader arabi hanno a disposizione una enorme letteratura antisemita, clericale e anticlericale, di destra e di sinistra, tradotta e già in molte edizioni”. In medio oriente la demonizzazione degli ebrei raggiunge quindi livelli senza precedenti. “Gli ebrei sono accusati di tutto il male che avviene sotto il sole, dagli attacchi delle Twin Towers allo tsunami all’Aids. Alla fine della mia lettura volevo chiarire che è nostro dovere combattere questo genere di propaganda antiebraica nel mondo musulmano. Pensai, niente di più controverso per un discorso in un’università europea”. Sbagliava, niente di più imprudente in un paese muto alla libertà come l’Olanda. “Le università che si rifiutano di riconoscere la loro responsabilità contro il crescente antisemitismo mettono a repentaglio il loro diritto morale a esistere. Molti lettori mi accuseranno di ‘islamofobia’. Ma non dobbiamo chiudere i nostri occhi di fronte a vicende che non si conformano al mondo cieco e semplicistico dell’ortodossia di sinistra”. Sempre dal FOGLIO, un articolo sulle reazioni al caso Redecker in Francia:
Parigi. In Francia un “candido silenzio” ha avvolto il caso di Robert Redeker, il professore di filosofia minacciato di morte da islamisti radicali per aver criticato la violenza della religione coranica in un editoriale sul Figaro. Redeker continua a nascondersi, cambia domicilio ogni due giorni, è protetto dagli agenti della Direzione della sorveglianza del territorio, si sente “abbandonato”. I politici però preferiscono non parlarne. A parte il premier Dominique de Villepin, che ha definito “inaccettabile” l’intimidazione, nessuno dei candidati alle primarie del Partito socialista per le presidenziali ha espresso condanna o solidarietà. Un candido silenzio, appunto, come lo definisce Jacques Julliard, editorialista del Nouvel Observateur, uno dei pochi a difendere da sinistra il discorso di Benedetto XVI a Regensburg in nome della libertà di espressione. “Nessuno ha voglia di immischiarsi – spiega al Foglio Julliard – Fra i loro elettori ci saranno milioni di musulmani. Non hanno voglia di entrare in polemica e magari ricevere una fatwa. E’ una brutta cosa. La libertà di pensiero si logora se uno non se ne serve. Siamo di fronte a una regressione formidabile. Nessuno poteva immaginare che in un paese come la Francia si potesse essere minacciati per le proprie opinioni. Dopo il discorso del papa a Regensburg, quello di Redeker è un nuovo caso Rushdie. Succede oggi quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: che la libertà di opinione potesse essere minacciata non dallo stato, con forme di censure, come è successo in passato, ma da gruppi clandestini”. Dominique Strauss-Kahn, Ségolène Royal, Laurent Fabius – i socialisti che vogliono diventare presidenti di Francia – nei loro discorsi di candidatura non ne hanno fatto parola. Fra i membri di governo c’è chi ha reagito in forma ambivalente, come il ministro dell’Istruzione, Gilles de Robien, che ha introdotto un distinguo tra l’espressione di solidarietà e il richiamo alla “prudenza” cui sarebbe tenuto il pubblico funzionario. Julliard è scandalizzato: “Gilles de Robien ha detto che la libertà di opinione è imprescrittibile, poi ha aggiunto che quando si è un funzionario pubblico bisogna dare prova di prudenza e moderazione. Ma nel caso Redeker non si tratta di ciò che dice in classe un professore durante la lezione, ma del diritto di un libero cittadino a esprimersi liberamente su un giornale. La riserva di Gilles de Robien è la dimostrazione di una classe politica conformista e poco coraggiosa, che preferisce schivare il problema piuttosto che affrontarlo”. Il tema è delicato e lo diventa sempre di più se persino il rappresentante del Movimento contro il razzismo e per l’amicizia tra i popoli (Mrap), Mouloud Aounit, ha perso di vista i diritti dell’uomo quando ha definito “provocatorie” le affermazioni di Redeker e “inammissibili” le minacce di morte, stigmatizzando “ogni forma di violenza che purtroppo ne richiama altre e ancora più estremiste”. Persino il Monde s’accorge del paradosso “Il Mrap – spiega Julliard – ha messo sullo stesso piano aggredito e aggressori. Non ha capito che cosa è realmente successo. Rappresenta dunque una prova lampante di quell’islamizzazione mentale rampante che Redeker ha cercato di denunciare”. Come Julliard la pensa anche Claude Lanzmann, direttore della rivista fondata da Jean Paul Sartre, Temps Modernes (nel cui comitato di redazione siede lo stesso Redeker), che in suo sostegno ha lanciato un appello. “Oggi c’è una grande paura – ha detto Lanzmann – Siamo arrivati a vietare un’opera di Mozart a Berlino, come se gli ebrei chiedessero di tagliare dal ‘Mercante di Venezia’ di Shakespeare la scena della libbra di carne richiesta dall’usurario Shylock”. Che in questo tiepido reagire ci fosse qualcosa di strano se ne è accorto persino il Monde, il campione del politically correct, che ieri ha pubblicato l’appello – sottoscritto da André Glucksmann, Alain Finkielkraut, Alexandre Adler, Bernard-Henry Lévy, Pascal Bruckner, Elisabeth Badinter e molti altri – per ribadire che “non è questo il momento della vigliaccheria”. La politica tace, gli intellettuali no. “Nell’insieme, hanno avuto la reazione che ci si aspettava – osserva Julliard – Anche se devo constatare che alcuni noti anticlericali da qualche tempo restano in silenzio. Non faccio nomi. Ma molti intellettuali in Francia trovano più comodo attaccare il cristianesimo, che ormai non minaccia nessuno, piuttosto che criticare l’islam, che è una minaccia per tutti”.
Da pagina 4, un articolo di Christian Rocca sulla negazione della minaccia terroristica:
Parigi. In Francia un “candido silenzio” ha avvolto il caso di Robert Redeker, il professore di filosofia minacciato di morte da islamisti radicali per aver criticato la violenza della religione coranica in un editoriale sul Figaro. Redeker continua a nascondersi, cambia domicilio ogni due giorni, è protetto dagli agenti della Direzione della sorveglianza del territorio, si sente “abbandonato”. I politici però preferiscono non parlarne. A parte il premier Dominique de Villepin, che ha definito “inaccettabile” l’intimidazione, nessuno dei candidati alle primarie del Partito socialista per le presidenziali ha espresso condanna o solidarietà. Un candido silenzio, appunto, come lo definisce Jacques Julliard, editorialista del Nouvel Observateur, uno dei pochi a difendere da sinistra il discorso di Benedetto XVI a Regensburg in nome della libertà di espressione. “Nessuno ha voglia di immischiarsi – spiega al Foglio Julliard – Fra i loro elettori ci saranno milioni di musulmani. Non hanno voglia di entrare in polemica e magari ricevere una fatwa. E’ una brutta cosa. La libertà di pensiero si logora se uno non se ne serve. Siamo di fronte a una regressione formidabile. Nessuno poteva immaginare che in un paese come la Francia si potesse essere minacciati per le proprie opinioni. Dopo il discorso del papa a Regensburg, quello di Redeker è un nuovo caso Rushdie. Succede oggi quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: che la libertà di opinione potesse essere minacciata non dallo stato, con forme di censure, come è successo in passato, ma da gruppi clandestini”. Dominique Strauss-Kahn, Ségolène Royal, Laurent Fabius – i socialisti che vogliono diventare presidenti di Francia – nei loro discorsi di candidatura non ne hanno fatto parola. Fra i membri di governo c’è chi ha reagito in forma ambivalente, come il ministro dell’Istruzione, Gilles de Robien, che ha introdotto un distinguo tra l’espressione di solidarietà e il richiamo alla “prudenza” cui sarebbe tenuto il pubblico funzionario. Julliard è scandalizzato: “Gilles de Robien ha detto che la libertà di opinione è imprescrittibile, poi ha aggiunto che quando si è un funzionario pubblico bisogna dare prova di prudenza e moderazione. Ma nel caso Redeker non si tratta di ciò che dice in classe un professore durante la lezione, ma del diritto di un libero cittadino a esprimersi liberamente su un giornale. La riserva di Gilles de Robien è la dimostrazione di una classe politica conformista e poco coraggiosa, che preferisce schivare il problema piuttosto che affrontarlo”. Il tema è delicato e lo diventa sempre di più se persino il rappresentante del Movimento contro il razzismo e per l’amicizia tra i popoli (Mrap), Mouloud Aounit, ha perso di vista i diritti dell’uomo quando ha definito “provocatorie” le affermazioni di Redeker e “inammissibili” le minacce di morte, stigmatizzando “ogni forma di violenza che purtroppo ne richiama altre e ancora più estremiste”. Persino il Monde s’accorge del paradosso “Il Mrap – spiega Julliard – ha messo sullo stesso piano aggredito e aggressori. Non ha capito che cosa è realmente successo. Rappresenta dunque una prova lampante di quell’islamizzazione mentale rampante che Redeker ha cercato di denunciare”. Come Julliard la pensa anche Claude Lanzmann, direttore della rivista fondata da Jean Paul Sartre, Temps Modernes (nel cui comitato di redazione siede lo stesso Redeker), che in suo sostegno ha lanciato un appello. “Oggi c’è una grande paura – ha detto Lanzmann – Siamo arrivati a vietare un’opera di Mozart a Berlino, come se gli ebrei chiedessero di tagliare dal ‘Mercante di Venezia’ di Shakespeare la scena della libbra di carne richiesta dall’usurario Shylock”. Che in questo tiepido reagire ci fosse qualcosa di strano se ne è accorto persino il Monde, il campione del politically correct, che ieri ha pubblicato l’appello – sottoscritto da André Glucksmann, Alain Finkielkraut, Alexandre Adler, Bernard-Henry Lévy, Pascal Bruckner, Elisabeth Badinter e molti altri – per ribadire che “non è questo il momento della vigliaccheria”. La politica tace, gli intellettuali no. “Nell’insieme, hanno avuto la reazione che ci si aspettava – osserva Julliard – Anche se devo constatare che alcuni noti anticlericali da qualche tempo restano in silenzio. Non faccio nomi. Ma molti intellettuali in Francia trovano più comodo attaccare il cristianesimo, che ormai non minaccia nessuno, piuttosto che criticare l’islam, che è una minaccia per tutti”.
Infine, un'intervista di Amy Rosenthal allo storico Walter Laqeur, sull'Europa:
Il declino dell’Europa è inarrestabile, dice Walter Laqueur, uno dei più importanti storici di medio oriente nel mondo anglosassone, che sta per pubblicare un libro che si intitola per l’appunto “The last days of Europe”, gli ultimi giorni dell’Europa. “Non prendetelo alla lettera – dice sorridendo Laqueur al Foglio – non c’è un vulcano che seppellirà il Vecchio continente come Pompei”, ma il dilemma sociale nei confronti dell’islam e il trend demografico negativo non possono che condannare l’Europa alla decadenza. Anche perché si considera “l’integrazione sempre una strada a senso unico, ma se chi deve essere integrato non partecipa al processo non c’è molto che si possa fare”. Il dilemma è emerso nella sua drammaticità dopo il discorso di Regensburg del Papa, un discorso coraggioso fatto dall’unica autorità “che ha voluto chiamare i musulmani a una discussione più grande” e che per questo è stata attaccata dall’islam radicale: “La grande domanda è se l’invito al dialogo interreligioso da parte di Benedetto XVI sarà percepito come sincero o se invece sarà usato dai jihadisti per rafforzare la loro convinzione che sia in corso un eterno scontro con l’occidente cristiano”. Questa convinzione affonda le sue radici nell’antisemitismo, come ricorda Laqueur, che appena ventenne scappò dalla Germania nazista. Il suo libro pubblicato a giugno – ha 85 anni ma è un “non stop writer” – parla proprio di questo (“The changing face of antisemitism”): spiega che l’antisemitismo originariamente era un’ideologia che si ritrovava nella chiesa cattolica e nei partiti di destra, ma oggi non è più così, perché “i più strenui antiebrei sono nelle file della sinistra europea, così come nei movimenti no global e musulmani”. Il confine tra antisemitismo e antisionismo non è più distinguibile: Israele, sionismo, giudaismo ed ebreo sono termini usati come “sinonimi”. “L’estrema destra e i comunisti sotto Stalin usavano ‘sionisti’ quando volevano dire ‘ebrei’, ma oggi sono soprattutto esponenti di sinistra che dicono di non aver nulla contro gli ebrei ma soltanto contro le politiche adottate da Israele. E questo, se fosse vero, non costituirebbe alcun problema: i governi sbagliano. Ma spesso Israele è isolato perché fa cose che anche gli altri stati fanno”. Infatti, alla fine della guerra contro Hezbollah, in America il governo israeliano aveva un sostegno del 53 per cento, in Europa, tra Francia, Spagna e Gran Bretagna, “meno del 20”. L’occidente rinuncia ai suoi valori, usa come sinonimi termini che sinonimi non sono, lascia che sia la paura a dettare le regole. E l’Europa non fa neppure più figli.
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