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Apologia degli ebrei – Zalkind Hourwitz Casa Editrice Medusa Venditore ambulante per necessità e filosofo per vocazione, trasandatissimo nel vestire ma poliglotta, figlio di un rabbino ma fieramente avverso all’autorità dei maestri della Torah. Zalkind Hourwitz fu un ebreo fuori luogo, che riuscì a lasciare una traccia nella storia del pensiero europeo, nonostante il proprio destino d’irregolare. Nato nei pressi di Lublino, in Polonia, nel 1751, si trasferisce quasi subito a Berlino per avvicinarsi alla cerchia di Moses Mendelssohn, il principe dell’illuminismo ebraico. Ma la città di Federico il Grande non è che l’inizio di una parabola di sradicamento, a cui fanno seguito Nancy, Metz, Strasburgo e infine Parigi. Nella capitale francese, Hourwitz offre di giorno la propria merce per la strada e studia di notte in un tugurio della rue Saint-Denis finchè, nel 1789, arriva la svolta. La rivoluzione scuote dalle fondamenta anche la condizione ebraica e Zalkind non si lascia sfuggire l’occasione. Entra nella Guardia nazionale e soprattutto si fa notare con un’apologia degli ebrei che attira, fra gli altri, gli elogi di Mirabeau. Grazie a questo testo, scritto in uno stile ironico e disinvolto, si assicura la fama di difensore pubblico degli ebrei e ottiene il posto di conservatore dei manoscritti orientali alla Biblioteca reale. L’”Apologia”, pubblicata ora per la prima volta in italiano da Medusa,rispondeva ad un quesito lanciato dall’Accademia delle scienze e delle arti di Metz: “Esistono sistemi per rendere gli ebrei più utili e più felici in Francia?”. Di fronte al razionalismo illuminista della domanda, la risposta di Hourwitz suona provocatoriamente semplice: “Smettere di renderli infelici e inutili, accordando o piuttosto restituendo loro il diritto di cittadinanza, di cui sono stati privati in contrasto con tutte le leggi divine e umane”. La forza del pamphlet viene soprattutto dallo spaesamento dell’autore, da quel suo sentirsi abitante di un territorio culturale sospeso tra un “non più” e un “non ancora”. Hourwitz sa di non appartenere più alla tradizione religiosa del giudaismo, che pur conosce bene. Allo stesso tempo sa che la Francia, come gran parte dell’Europa, giudica ancora gli ebrei secondo pregiudizi millenari. Ed è per questo che la sua prosa ritorna ostinatamente al concetto di normalità, per dimostrare che non esiste alcun caso giudaico, se non nell’immaginario collettivo di chi ha “oppresso gli ebrei per parecchi secoli senza nemmeno sapere perché”. Proprio le persecuzioni e la condizione di inferiorità in cui sono costretti a vivere rende gli ebrei “infelici e inutili per lo Stato”, scrive Hourwitz, mentre sarebbe assai semplice trovare loro un posto in un nuovo ordine sociale. La ricetta si basa sui principi rivoluzionari: libertà di movimento e commercio ed eguaglianza con gli altri cittadini. Non manca qualche affondo polemico contro il potere dei rabbi. Secondo Hourwitz, l’emancipazione ebraica deve infatti accompagnarsi con l’assoluto divieto per i rabbini di esercitare qualsiasi autorità al di fuori della sinagoga. Ma questa polemica in nome della ragione non impedisce a Hourwitz di condannare l’antigiudaismo di molti illuministi, primi fra tutti Rosseau e Voltaire, che “hanno calunniato un popolo infelice l’uno per spirito di paradosso e l’altro per risentimento personale”. Negli anni del “terrore”, Hourwitz prese le distanze da processi rivoluzionari e si ritirò dalla vita pubblica. Morì in grande povertà nel 1812,mentre lavorava febbrilmente al grande sogno della sua vita, quello di una lingua universale, che unisse gli uomini in una semantica della normalità. Giulio Busi |
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