Dal FOGLIO del 2 ottobre 2006:
Ho paura. Non mi succede spesso, ma ho paura. Ed è utile che lo racconti al lettore. Io adesso ho appreso dal Foglio e dall’Herald Tribune di sabato mattina che Robert Redecker, professore di filosofia in un liceo francese, ha scritto sul Figaro che l’islam è violento, che nel Corano abita la violenza della conversione forzata, della spada al servizio della fede. Un’opinione forte, intransigente, ma un’opinione. Che sia suffragata o no, o in che misura, dall’esegesi dei testi, dalla conoscenza storica, dall’intelligenza delle cose, questo non m’importa, non importa, non dovrebbe importare ad alcuno. E’ un’opinione. Da qualche giorno, per averla pubblicamente espressa, per essersi considerato libero di esercitare la critica di una religione e di una cultura, per essersi considerato libero di comportarsi da europeo e da laico nel suo paese, nella sua comunità civile, il professor Redecker è costretto a vivere in clandestinità.
Ora io scriverò (lo sto già scrivendo) che questo è intollerabile, che la libertà va difesa , che una democrazia soccombe quando tollera la trasformazione della libertà di pensiero in dissidenza clandestina. Lo ha detto André Gliucksmann al Foglio, lo dice Finkielkraut, lo diranno in tanti e si firmeranno appelli, figuriamoci, e anche i liberal e i multiculturalisti ortodossi, perfino quelli più bigotti, ci raggiungeranno nella solenne censura dell’oscurantismo fatto di minacce, violenze , assassinii rituali come quello di Theo Van Gogh e cento altri casi di intimidazione come quello che ha cacciato Ayan Hirsi Ali dall’Europa eccetera.
Sappiamo , più o meno, che siamo a uno stadio in cui è ancora lecito per gli occidentali difendere la loro visione delle cose e solidarizzare concettualmente con chi è invece diventato preda del fanatismo, oggetto di un’oscura voglia di ammazzare ritualmente il nemico della fede islamica, chi ha osato criticarne le fondamenta testuali.
Se scrivo con affetto solidale (lo sto facendo) di un professore trasformato per un articolo in clandestino, nessuno mi farà niente. Nessuno mi toccherà. La difesa è autorizzata. La sorveglianza islamica, quella che vive nell’ombra rituale della comunità, della ummah, e che si manifesta di tanto in tanto nel modello della fatwa khomeinista, nella minaccia di uccidere per interposta fede, con il richiamo via web a una fede sentita come dovere bellico da un miliardo e trecentomila musulmani e dalla folta avanguardia di Mohammed B., l’assassino di Van Gogh, che abita le nostre città, i nostri quartieri, e legge i nostri articoli e libri; la sorveglianza islamica – dicevo – tollera ancora la rivendicazione dei principi di libertà, la professata tutela della loro inviolabilità in occidente. Possiamo anche manifestare in difesa: in difesa delle vittime per mano islamista del World Trade Center (10 novembre2001), in difesa di Israele attaccato dagli shahid o minacciato di estinzione come entità sionista (15 aprile 2002 alla sinagoga di Roma o 3 novembre 2005 davanti all’ambasciata iraniana).
Ma sraà tollerato il passo successivo? Sarà possibile criticare la condizione islamica, la strategia islamica di penetrazione e dominio, di sorveglianza e punizione in casa nostra, il fondamento di fede dell'intolleranza islamica, sarà possibile andare alla radice del problema? Possiamo cioè dire in attacco, e senza paura, quello che pensiamo? Possiamo prendere atto di uno scontro di civiltà per affermare la indispensabilità per noi della sopravvivenza della nostra civiltà (no lo sto facendo vedete, ricorro all'espediente retorico del punto di domanda)? Possiamo dire che non vogliamo tra i coglioni gente che ci minaccia sul fondamento di un odio secolare nei nostri confronti, e che o ci pensano loro a liberarcene, se quel "loro" esista nel famoso islam plurale e moderato o dobbiamo pensarci noi? Possiamo farlo, ma senza paura no, senza circonluzioni no, senza tecniche elusive no, non possiamo.
Il Papa, persino il Papa, ha provato a essere libero citando un imperatore bizzantino del XVI secolo e svolgendo una lezione garbata, mite, sul conflitto tra le culture, sul rapporto tra fede e ragione, addirittura sulla filosofia greca e sulla sua incorporazione nel cristianesimo: e perfino quel signore vestito di bianco ha rischiato di diventare una preda come le altre, protetto dalla sommità carisnatica, dal suo status bimillenario, ma in perfetta solitudine. E io chi sono, il Papa? Io ho paura. Scrivo tra le righe. Non è un buon segno.
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