Il MATTINO del 2 ottobre 2006 affianca, come suo solito, a una sospetta attenzione (sempre in negativo!) per tutto ciò che accade in Israele una censura su tutti i guasti che affliggono la società palestinese. A quest’ultima viene rivolta particolare attenzione solo se c’è da accusare Israele.
Non a caso le violenze tra fazioni a Gaza vengono confinate in poche e conclusive righe ( e in un sottotitolo) di una articolo che tratta con la solita faziosità (perché non viene ricordato che la mancata liberazione dei soldati israeliani è una palese violazione della risoluzione 1701?) del ritiro israeliano dal sud del Libano. Anche il titolo verte su questo avvenimento e solo il sottotitolo riferisce dei fatti di sangue a Gaza.
Ecco l'articolo, di Michele Giorgio:
Gerusalemme. Ieri all'alba, a poche ore dallo Yom Kippur, la più importante delle ricorrenze religiose ebraiche, gli ultimi reparti corazzati con la Stella di David sono usciti dal Libano. Hanno così avuto fine le operazioni militari israeliane cominciate il 12 luglio, giorno in cui vennero catturati due soldati da parte di un commando di Hezbollah, la scintilla di un conflitto durato oltre un mese e che è costato la vita ad almeno 1.200 libanesi e a quasi 150 israeliani, senza dimenticare le distruzioni immense subite in particolare dal Paese dei Cedri. Il passo compiuto da Israele consolida la tregua e consente un ulteriore dispiegamento dell'esercito libanese e delle truppe internazionali dell'Unifil (contingente italiano in testa) nelle estreme regioni meridionali, a ridosso della linea di confine. Le truppe israeliane restano ancora a Ghajar, villaggio contenso sulla frontiera e alla Fattorie di Sheeba, il territorio di cui il Libano chiede
la restituzione. Eppure per Israele, che attraverso la risoluzione dell'Onu 1701 ha ottenuto l'allontanamento di Hezbollah delle aree lungo il confine, quello di ieri è stato un giorno di commenti amari dei giornali e da parte di esperti e uomini politici, consapevoli che il disarmo di Hezbollah difficilmente avverrà e che i due soldati catturati torneranno in Israele solo nel quadro di uno scambio di prigionieri, ovvero ciò che il premier Olmert, sempre più sotto pressione, sosteneva di voler evitare attraverso l'offensiva militare in Libano. Pessimismo e scetticismo dominano da settimane il dibattito in Israele, dove peraltro un po' tutti sono convinti della «inevitabilità» di un prossimo attacco alle centrali atomiche iraniane, se non verrà trovata una soluzione diplomatica alla crisi esplosa intorno al programma nucleare di Teheran. Lo spettro di una nuova guerra dunque. Ben diverso era ieri l'umore in Libano, che pure è uscito a pezzi dalla guerra, dove le popolazioni dei villaggi meridionali hanno salutato con sospiri di sollievo e qualche sventolio di bandiere, non escluse quelle gialle di Hezbollah, la partenza dei soldati israeliani. Soddisfatto anche il premier Fuad Siniora, il quale da giorni denunciava l'occupazione israeliana. In Libano al centro del dibattito c'è il tema delle regole d'ingaggio dell'Unifil. Israele vuole azioni di forza contro Hezbollah, il Libano al contrario le esclude. Le spiegazioni date dai responsabili della missione sono state vaghe sino ad oggi, ma tra le indiscrezioni emerse spicca il diritto di uso della forza attribuito ai soldati dell'Unifil contro ogni gruppo armato che compia genericamente «attività ostili di qualsiasi natura» nel teatro della missione. Intanto notizie drammatiche sono giunte ieri dalla Striscia di Gaza dove almeno sette palestinesi sono rimasti uccisi e un’ottantina feriti negli scontri tra miliziani del movimento islamico Hamas e agenti di polizia fedeli al presidente Abu Mazen, che da giorni protestano per il mancato pagamento dei loro salari. A Ramallah (Cisgiordania) inoltre i militanti di Fatah, il partito del presidente, che hanno attaccato, devastato e dato alle fiamme alcuni uffici, vuoti, del governo, al termine di una manifestazione al grido di «fuori Hamas». Nelle violenze molti hanno scorto un'avvisaglia di guerra civile, alla luce delle crescenti difficoltà che Abu Mazen incontra nel formare un governo di unità nazionale al posto del monocolore di Hamas in carica dalla scorsa primavera ed isolato internazionalmente.
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