L'occupazione di Gaza è finita, ma Israele è sempre responsabile di tutti i mali e per "una sola" atomica iraniana non c'è da preoccuparsi troppo
Testata: Il Manifesto Data: 30 settembre 2006 Pagina: 11 Autore: Michele Giorgio - Luca Casarini Titolo: «I piccoli di Gaza, sciuscià per forza - A Roma e Padova, contro guerre e muri di sinistra»
Da pagina 11 del MANIFESTO del 30 settembre 2006 riportiamo un reportage propagandistico da Gaza di Michele Giorgio. Ecco il testo, intervallato dai nostri commenti:
Alle 18 in punto il piccolo e magro Hammudi fa la sua apparizione nella sala d'attesa dell'ospedale Shifa di Gaza, tenendo ben sollevato, fino all'altezza del naso, il vassoio con una teiera annerita dal fuoco e un paio di piccoli bicchieri di vetro. Ha avuto solo pochi minuti per consumare il suo eftar, la cena che interrompe il digiuno che nel mese di Ramadan i musulmani osservano dal sorgere del sole al tramonto. In sella alla sua bicicletta arrugginita ha raggiunto l'ospedale per servire ai degenti e ai loro parenti ed amici il tè preparato dalla madre. Mezzo shekel (15 centesimi di euro) a bicchiere non è molto ma gli 8-9 shekel (meno di 2 euro) che Hammudi riesce a portare a casa ogni sera sono importanti per la sua famiglia. «Se vado a scuola? Si, insomma...non sempre, non ho tempo per i compiti da fare a casa», ammette stringendo tra le dita una sigaretta. «Certo che fumo, ho 12 anni», dice con tono perentorio dopo aver notato il nostro sguardo di rimprovero. Hammudi serve bicchieri di tè ma vive anche di vari espedienti, come tanti bambini e ragazzi di Gaza, strappati allo studio e al gioco da un vita sempre più difficile, sempre più povera, senza sogni né aspirazioni. Tra loro non manca chi vive di attività illegali ma che a Gaza considerano perfettamente lecite di fronte alla miseria dilagante. Suher, 10 anni, chiamato «Susu» dai suoi compagni, ha l'espressione sveglia e l'atteggiamento da guascone degli scugnizzi napoletani. Indossa una maglietta verde con l'immagine scolorita di Micky Mouse e vende stecche di sigarette. Naturalmente non quelle con il marchio dell'Autorità nazionale palestinese ma quelle «tax-free» che entrano nella Striscia attraverso i tunnel sotterranei che la collegano all'Egitto, scavati dagli uomini-talpa al servizio dei trafficanti di Rafah che fanno affari con i beduini del Sinai. Un stecca illegale di sigarette a Gaza city si vende a 30 shekel ma a Susu vanno solo due shekel, il resto entra nelle tasche del suo «datore di lavoro». Eppure anche quei pochi soldi aiutano la famiglia. «Mio padre è pescatore - spiega - e da mesi non porta a casa un centesimo (per le restrizioni israeliane che impediscono ai pescherecci palestinesi di uscire in mare, ndr)».
Non certo per danneggiare l'economia palestinese ma per garantire la sicurezza delle coste israeliane e impedire il contrabbando d'armi
Il Radaman di Susu, come quello di Hammudi, non è fatto di piatti tradizionali, zucchero filato e giocattoli, ma di lotte quotidiane per andare avanti. Non ci sono statistiche ufficiali aggiornate, ma il lavoro minorile e l'evasione scolastica sono un dato di fatto nell'enorme prigione in cui Israele ha trasformato la Striscia. Anche in passato era frequente vedere ragazzini in botteghe artigiane o in officine meccaniche, ma il tutto rientrava nei binari della «normale» tragedia di Gaza. Adesso la povertà si è trasformata in miseria totale, nella impossibilità di chiedere aiuto ad amici e parenti, e gli stenti attanagliano chi appena un anno fa poteva dirsi un «privilegiato», ovvero le decine di migliaia di dipendenti pubblici ora senza stipendio per il boicottaggio internazionale dell'Anp scattato dopo la vittoria elettorale di Hamas. «La chiusura totale di Gaza attuata dall'esercito israeliano (dopo la cattura del soldato Ghilad Shalit da parte di un commando palestinese, lo scorso 25 giugno, ndr)
Ghilad Shalit non è stato "catturato", non essendo un criminale, ma sequestrato in territorio israeliano. Di lui non si sa più nulla di certo: nè la Croce rossa, nè altri organismi internazionali possono visitarlo nel luogo nel quale è segregato.
sta avendo effetti catastrofici. Tutti sono chiamati a lottare per sopravvivere e così aumenta il numero dei bambini chiamati a portare a casa qualche soldo, anche a scapito della scuola e delle ore di svago», spiega Raji Sourani del Centro palestinese per i diritti umani. «Alle conseguenze dello strangolamento israeliano della nostra terra, si aggiunge il degrado sociale, con un aumento spaventoso della presenza di armi da fuoco nelle case.
Giorgio non spiega che l'aumento delle armi è dovuto ai gruppi terroristici, che hanno alimentato il caos e al cultura della violenza, a Gaza come in Cigiordania
Le faide familiari sfociano in conflitti armati e l'ordine pubblico è fuori controllo», continua Sourani, sottolineando subito dopo che «la riapertura dei transiti è nelle mani di Israele, che può sigillarli in ogni momento». La chiusura del valico di Rafah - che negli ultimi tre mesi è rimasto aperto solo dieci di giorni - ha creato un'emergenza umanitaria sul versante egiziano del confine, dove si ammassano centinaia, talvolta migliaia, di palestinesi in attesa di rientrare a Gaza. La situazione è talmente grave che nei giorni scorsi John Dugard, relatore dell'Onu per i diritti umani nei Territori occupati, ha denunciato che «il 75% della popolazione di Gaza dipende dagli aiuti alimentari per sopravvivere» e che la crisi in atto è causata da politica di Tel Aviv.
Giorgio non spiega che il calico di Rafah è stato chiuso per le perduranti minacce di attentati e per contrastare l'infiltrazione di armi
Intento a sistemare utensili da cucina sugli scaffali del suo negozio in Via Omar Mukhtar, in pieno centro a Gaza city, Sami Yiazij ricorda le celebrazioni per il Ramadan di qualche tempo fa. «La vita qui non è mai stata facile, ma fino a qualche anno fa il Ramadan era comunque un periodo speciale - racconta passando un panno umido sulla scrivania -, mia madre preparava pietanze a base di pollo e agnello pronte per l'eftar. Quei tempi sono lontani. Oggi è fortunato chi riesce ad assicurare alla famiglia un pasto due volte al giorno». Sui marciapiedi gli ambulanti hanno sistemato i giocattoli che si regalano ai bambini per l'Eid el-Fitr, la festa che chiude il Ramadan. La gente però passa veloce senza badare alle bamboline con il velo islamico, ai fucili di plastica e ai palloni colorati. A Gaza è atteso il presidente Abu Mazen, intenzionato a formare un governo di unità nazionale, ma sono ben pochi coloro che prestano attenzione alla trattativa in corso. «Hamas e Fatah lanciano proclami e fanno promesse - commenta Tareq un operaio di Bani Suheila - ma i miei figli vivono di pane e non di parole». Ieri decine di migliaia di sostenitori di Hamas hanno attraversato in corteo le strade di Gaza. Un deputato Mushir Masri, rivolgendosi alla folla, ha riaffermato che Hamas non riconoscerà Israele e ha chiesto a Dio di punire coloro che chiedono al movimento islamico di rinunciare alla resistenza. Sempre ieri due fratelli di 16 e 14 anni, Anwar e Hamam Hamdan, sono stati uccisi da colpi sparati da reparti israeliani mentre passeggiavano in bicicletta nelle campagne di Beit Hanun. Per il portavoce militare invece «intendevano lanciare razzi».
Giorgio fornisce la versione israeliana bollandola come falsa e natiralmente non spiega che i gruppi terroristici effettivamente utilizzano giovani ed adolescenti ed educano anche i bambini palestinesi all'ideologia del martirio e al culto della morte.
A pagina 9, Luca Casarini scrive
Israele tiene ben salde per noi le centinaia di atomiche che riempiono i suoi granai, ma la preoccupazione è che l'Iran ne costruisca una.
Ma Israele non ha mai utilizzato una bomba atomica contro i suoi nemici, pur potendolo fare senza temere una risposta. Ahmadinejad , invece, ha espresso chiaramente la volontà di cancellare Israele dalla faccia della terra. Mentre un "pragmatico" come l'ex presidente Rafsanjani ha discusso la "razionalità" di una guerra nucleare nella quale muoiano 5 milioni di ebrei israeliani e 15 milioni di musulmani, cancellando l'"Entità sionista" ma facendo sopravvivere l'umma. Ecco perchè è giusto e doveroso preoccuparsi molto di più di una sola bomba atomica iraniana che di cento israeliane.
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